Tra inizio e fine, la storia da ricordare

10 settembre 1980, primo giorno alla scuola media San Carlo.

 

Androne d'ingresso del San Carlo. Stanza immensa e gremita da bambini che paiono inscatolati come sardine. Non sono felice.
Inizia la "chiamata". Il mio nome, numero 1 della IA, viene letto per primo. Mi affanno a dire "permesso, devo passare!" per farmi spazio. Sottolineo il "devo", ma la folla è indifferente al mio "obbligo"; non mi ostacola e non mi favorisce. E' chiaro che non sarò dalla prof. prima che venga pronunciato il secondo nome. Cresce l'ansia. Dopo interminabili secondi e tanti "devo", risento il mio nome, ma io sono ancora bloccato dalla folla. Urlare questa condizione è inutile. Leggono un altro nome e mi pare di aver perso la possibilità di fare quello che dovevo. Non sono felice.
Tra le persone che mi circondano vedo 2 compagne delle elementari. Vorrei fermarmi: "Anna, Debora, cosa fate qua?". Naturalmente non è possibile che le 2 bambine siano nella mia scuola, loro staranno "sgomitando" nelle loro scuole. Il mio cervello materializza ricordi felici in una situazione che non mi fa felice.
Finalmente termino il tragitto ostacolato da corpi lì per i miei stessi motivi. Arrivo alle scale e salgo fino al primo pianerottolo. La prof. mi intima: "Tu chi sei?". Io, timoroso, rispondo. La prof. annuisce rassicurata, sono nella lista. C'è già Daniele, lo conosco, abitiamo nella stessa via. Lo saluto, lui mi saluta, ma mi sembra triste, io gli sembrerò triste.
La classe si completa. Saliamo le scale, ma nessuno di noi sa dove andiamo. Al secondo piano giriamo a destra e si apre ai nostri occhi un grande e lungo corridoio. Vedo la porta della IA e varco la soglia: sono entrato nella scuola media!
La prof., dopo che abbiamo trovato posto nei banchi, inizia ad enunciare le dovute informazioni. Recepisco le parole in modo burocratico, come un indottrinamento: a che ora arrivare, quando salire, quando c'è ricreazione, quando scendere. Scorrendo l'elenco, la prof. identifica 2 bambini fratelli di studenti della III A. Questi bambini saranno aiutati dai fratelli maggiori? Non so, però non sono soli. Io mi sento solo, non ho amici perché vengo da un'altra zona della città e questo mi fa provare un po' di invidia per le due coppie di fratelli.
Finito di parlare la prof. chiede se ci sono domande. Io non saprei cosa chiedere, i miei pensieri sono legati a come affronterò la nuova scuola. Cinzia invece alza il braccio, cosa potrà mai chiedere? Ci è stato dettagliato tutto il possibile e, per complemento, deduciamo tutto il non possibile. "Prof. è vero che per andare in bagno dobbiamo fare questo gesto?", Cinzia ha il braccio ancora alzato, il pugno chiuso e tiene dito indice e dito medio dritti e divaricati. Ma che domanda è? Alle elementari il bagno era in classe e ci si andava al bisogno semplicemente alzandosi. Scopro che i bagni qui sono esterni e che per andare devi essere autorizzato. Il gesto che fa Cinzia è simbolo della "vittoria", l’ho visto fare ad un signore ciccione in una foto su un libro. Questo gesto cosa c'entra con l'andare al bagno? La vittoria si nasconde dietro la conquista dell'autorizzazione? Non sono felice.

15 giugno 1983, ultimo giorno alla scuola media San Carlo.

 

Per le prove scritte ci portano in un'altra aula. Non capiamo lo spostamento. L'aula nuova è più brutta, è buia nonostante il sole. Un'inquietante aggiunta alla normale paura di un esame. Alla stanza buia preferiamo la nostra lucente “tana” dove, in giorni di pioggia, dal soffitto sgorga l'acqua che va a “scalfire” le morbide pietre rosse del pavimento. Soggettività della bellezza.
Il giorno della prova orale torniamo nella nostra tana. I banchi sono disposti a ferro di cavallo. I professori danno la schiena alla porta. Io davanti a loro, non proprio tranquillo, quasi accerchiato e con l'ostacolo dei banchi nel caso tentassi la fuga. L'ipotesi della fuga dalla finestra dell'ultimo piano la scarto a priori. Non sono felice.
Inizio con educazione tecnica. "Parla della catena di montaggio" dice il prof., riferendosi ad un "esperimento". Una mattina ci disse: “Adesso costruite una busta”. Ma come erano fatte le buste? Il prof. si era anche un po' irritato per la nostra abulia e saltò sul suo cavallo di battaglia: non eravamo attenti osservatori! Spesso lanciava cariche inarrestabili e sbaragliava le nostre file, distribuendo parecchie insufficienze. A salvarci, nell'occasione, fu una catenina: Patrizia aveva un ciondolo a forma di busta, ce lo mostrò e capimmo. Il prof. ci cronometrò per verificare i tempi. Poi parcellizzò il processo produttivo in tante attività semplici ed un gruppo costruì la busta secondo tale divisione: era molto più veloce di ogni singolo.
Un rapido passaggio e sono interrogato in matematica su monomi e sistemi. Me la cavo bene, sto andando come un treno!
La prof. di italiano mi chiede della lettura di "Piccolo mondo antico" fatta in classe. Quel libro non mi è piaciuto, ma evito di paragonarlo ai libri degli anni precedenti, "Aniceto o la bocca della verità" e "Il compagno Don Camillo", per me molto più belli. Do la mia risposta neutra che soddisfa la docente.
In geografia e storia mi sento "forte", ma la prof. non mi interroga. Peccato.
Passo ad inglese. La docente legge un brano in lingua. Capisco vagamente il senso, ma temo che le mie risposte nella conversazione che segue facciano capire alla prof. che la lingua straniera mi è estranea. Per fortuna mi salva il prof. di educazione tecnica: per i tempi stabiliti bisogna andare oltre.
Il prof. di educazione artistica sfoglia le mie "opere" e fa qualche commento. Poi si alza ed esce. Indubbiamente non sono portato per la materia e lui lo sa bene.
Infine educazione musicale. La prof. è entusiasta, parla della completezza con cui ho redatto le schede di autori che ci ha assegnato quell'anno. Addirittura chiede se posso lasciargliele. Io sono stupito, non mi pare di aver fatto granché. Le do comunque le schede, inutile rischiare di irritare chi, tra pochi minuti, deciderà di me. Vengo congedato. Passa qualche minuto ed invitano il successivo.
Mentre sto andando esce la prof. di inglese. Penso: "Ora mi fa la ramanzina: mi devo impegnare e studiare di più". Arriverà un "colpo" fuori tempo massimo e mi preparo. La prof. invece dice: "Caiazzo, che è un cittadino libero, ora scende al bar e mi prende un the al limone". Sta per prendere i soldi dalla borsa, ma fulminea Lisa dice: "No prof., posso andare io?". La docente non fa una piega e consegna missione e denaro a Lisa. Sollevato, saluto e scendo per le scale. Penso che mai più farò il percorso in senso inverso. Ma sono felice?

La fine è più tranquilla dell'inizio. Non ci sono "sgomitate": per uscire in via dei Servi, nell’androne d’ingresso del San Carlo, ora sono solo. Non attraverserò più il portone per entrare. Ma sono felice? C'è l'inizio e c'è la fine, in mezzo la storia da ricordare, ma è troppo lunga, troppo lontana e, nonostante tutto, troppo bella!