La luna e i falò

Autore: Cesare Pavese

 

Giudizio: ****

 

Un uomo maturo riscopre la terra dalla quale è voluto scappare ed alla quale è voluto tornare, non da vincitore, ma apparentemente pacificato per aver fatto ciò che voleva fare.

 

Poco o nulla è mutato, i luoghi gli ricordano tutto ciò che lui è stato: trovatello allevato da persone a cui ha voluto bene e che per quel "fardello" percepivano un contributo. Poi lui a servizio da una famiglia ricca, apparentemente come una persona di famiglia. Una famiglia da amare e dalla quale scappare perché la tenuta della Mora era "angusta". Anguilla, come lo chiamavano tutti, voleva andare lontano dove mai nessuno dei suoi compaesani era stato. Pur nel benessere di quel casale dove viveva con sor Matteo e le tre figlie, Irene, Silvia, Santa, Anguilla aveva bisogno di fare altro, di lasciarsi alle spalle questa vita. Scoprirà solo al suo ritorno le drammatiche vicende della famiglia.

 

Oltre ai luoghi ritrova il vecchio amico Nuto e con lui rivive i ricordi dell'infanzia e della giovinezza. Nuto resta l'amico nel cuore del ragazzino e dell'uomo adulto che è ora, l'amico che lo spingeva a leggere per capire, a leggere per conoscere e liberarsi da false credenze popolari, affrancarsi dall'ignoranza. Nuto ha abbandonato la vita da suonatore di clarinetto, sempre in giro per le feste di paese. Ora fa il falegname, come il padre, ma resta il compagno saggio, quello che capisce le cose della vita. Quello che ha vissuto la guerra in paese mentre Anguilla era in America. Un partigiano nell'anima, che sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, che non è salito tra i monti con i partigiani per senso di responsabilità ed impedire che fosse messa a fuoco la sua casa.

 

Al suo ritorno Anguilla conosce Cinto, un ragazzino storpio che gli ricorda com'era alla sua età. Cinto vive nella stessa casa dove anche lui ha vissuto con la famiglia adottiva. Anguilla si affeziona a questo ragazzino, lo vuole aiutare, ma alla tragedia dell'handicap fisico se ne sommerà un'altra. Cinto rimarrà a casa con la famiglia di Nuto mentre Anguilla se ne andrà, di nuovo, non senza promettere il suo ritorno.

 

La luna segna i ritmi delle stagioni, i falò possono essere propiziatori, o nascondere, o distruggere. Una vita in fuga per raggiungere il luogo da cui è partito e ripartire per un equilibrio forse non ancora trovato seguendo la luna e cercando i falò della sua infanzia.

 

Fedeltà

Autore: Marco Missiroli

 

Giudizio: ****

 

È facile essere fedeli al proprio amore? Sì, no, forse, ma poi qual è la condizione migliore se la fedeltà è un "amore ridotto" rispetto all'"amore aumentato", pur in presenza del tradimento?

 

Una giovane coppia, lei agente immobiliare, lui docente universitario precario. Si amano eppure entrambi sono scossi dall'ipotesi del tradimento. Un tradimento che si insinua nelle loto teste e non recide il loro amore perché quell'amore non mette nel conto la fedeltà come possibile gancio per scardinarlo.

 

Lui è un "uomo incompiuto", vorrebbe scrivere, non riesce a farlo. Si invaghisce di una studentessa, ma si ferma perché anche il tradimento per lui è un atto incompiuto. Almeno qui, almeno ora. Poi si vedrà, come tutto, come sempre, si vedrà.

Lei è una donna volitiva, risoluta, determinata e quando trova la ragione per essere infedele lo è in modo deciso e solo una volta, ma vale per sempre. Nonostante abbia scelto l'"uomo sbagliato" che resterà un amico.

La studentessa trova rifugio affettivo nel negozio del padre e nel ricordo della madre. L'amante/amico di lei persegue una via agonistica nel combattimento, letteralmente incontrollato ed incontrollabile.

Le famiglie di provenienza sono luoghi di affetto e tormento, di preoccupazione e rifugio. L'ineffabile resta tale, macera, ma non rode. Inevitabile come il meteo che muta indipendentemente dalle tue speranze. Si torna sempre a casa, la casa che è tutto e per sempre.

 

Nulla è semplice se non sei disponibile a farlo risultare semplice e tutto è complicato se credi che possa essere meno complicato.

 

Filosofia da divano

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ***

 

Se state leggendo queste righe comodamente adagiati sul divano siete predisposti alla ribellione che, se non vi salverà la vita, potrebbe almeno salvarvi l'anima.

 

Si pensa al divano come al luogo di perdizione utile solo a far perdere tempo invece di produrre, correre, consumare. Detto altrimenti non solo un oggetto inutile, ma pure dannoso. Il divano è per il capitalismo quello che la kryptonite è per superman.

È giunto il momento di mettere a frutto l'impatto storico e culturale che ha il divano, cioè curare i semi sparsi perché possa esserci un ampio raccolto. Il divano è il luogo dove possiamo decidere di fare ciò che ci procura piacere, qualsiasi cosa essa sia, senza dover rendere conto a nessuno: accocolarsi con il proprio amore, leggere un libro o un fumetto, rivedere per la centesima volta un film di cui conosciamo i dialoghi a menadito e che però ogni volta accende un'appassionata e piacevole visione, ascoltare la musica preferita. Oppure dormire (sulla pennichella post prandiale ci sarebbe tanto da dire) ed in generale riposare, cosa massimamente inopportuna, azione della quale dovremmo solo vergognarci perché non porta a nulla. Avere cura del proprio piacere, qualunque esso sia, poter impiegare il proprio tempo libero dando respiro a noi, è tutt'altro che il nulla, è il tutto. Ma questo tutto non è nell'agenda di una società capitalista orientata al mero profitto. Oziare fa guadagnare chi ozia e non fa salire il pil.

 

Se avete un divano, una predisposizione a volervi bene, un'innata indole ribelle, una travolgente passione per assecondare i vostri piaceri, prendetevi qualche ora di tempo per leggere questo libro che attraversando storia e suggestioni di un oggetto di arredamento parla alle nostre anime.

 

Citofonare Hegel

Autore: Paolo Pagani

 

Giudizio: ***

 

I filosofi, e la loro filosofia, sono grimaldelli in grado di rovesciare il comune sentire e scardinare la realtà per indagarla. Rispondono in modo mai ovvio a questioni solo apparentemente ovvie. Non è spirito di contraddizione fine a sé stesso, ma spirito di esplorazione che non smette mai di stupire, anche a secoli di distanza quando, quelle stesse domande e le relative risposte, si dimostrano attuali più che mai.

 

L'autore presenta temi cruciali della nostra vita organizzando i contributi di filosofi e personaggi letterali che sembra parlino a noi oggi. Seppur molto anteriori al nostro quotidiano, questi contributi sono la scintilla scoccata su temi già scottanti nei tempi andati ed ancora presenti.

Contributi che si avviano con la tragedia della guerra che Kant abolirebbe a fronte di Tolstoj che la vede come accidente fatale ed inevitabile. Procedono sulla provvisorietà delle teorie scientifiche che per Popper non possono essere vere ed intoccabile per sempre. Eppoi ci imbattiamo in Bergson che ci dice come non sia possibile descrivere gli accadimenti della vita in una prospettiva calcolabile e quantitativa: le vite umane sono anche altro.

Ben altro, e ne è esempio una domanda attualissima: uomo o donna si nasce o si diventa? Se lo è chiesto la de Beaouvoir molto prima che venisse introdotto il concetto della fluidità di genere. Una volta non vi era dubbio alcuno, erano i genitali che sancivano il genere, ma la filosofa supera il primato meramente biologico ed approda ad una indagine culturale e politica. Socrate dà una sua risposta, seppur non strettamente connessa all'indagine della de Beaouvoir: l'uomo [e la donna] è la sua anima. Chiedere a Gulliver cosa possa significare questo quando ci si ritrova in un mondo differente dal proprio.

L'autore riserva un ampio spazio per tutto ciò che, a mio avviso, attiene alle "dinamiche sociali a distanza": il linguaggio, le fake news e la ragione. I sofisti, "artigiani della parola" (i migliori erano veri e propri artisti) capaci di dire tutto ed il contrario di tutto perché l'obiettivo non è la verità, che non esiste, ma persuadere l'interlocutore. Wittgenstein aggiunge un grado di difficoltà: i nostri pensieri sono ingabbiati dal nostro linguaggio e quindi, per loro natura, limitati dai limiti del linguaggio. Heiddeger ci parla dell'inautenticità, ovvero di quanto non corrisponda al vero quello che viene pubblicato sui social. È solo chiacchiericcio, viene pubblicato ciò che ci si attende. Sui social indossiamo l'armatura forte e romantica con la quale conquisteremo l'amore e la gloria come Don Chisciotte che combatte i mulini a vento per conquistare Dulcinea.

Non dobbiamo cercare di "scansare" i pregiudizi perché secondo Gadamer il superamento di ogni pregiudizio, apparirà a sua volta come un pregiudizio che pure è parte essenziale per interpretare ciò che leggiamo: il pregiudizio ci può aiutare a comprendere e non è necessariamente negativo. Sui social media siamo tutti dei Pinocchio, l'autore precisa insopportabili Pinocchio. Ci dichiariamo interessati ad apprendere, ma senza fare la fatica necessaria per apprendere. In fondo per lo scettico Pirrone non possiamo aspirare alla verità, possiamo solo accontentarci di ciò che percepiamo e rimanere imperturbabili e ricchi nella nostra assenza di opinioni proclamandoci liberi da qualsiasi dogma. Se non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, la realtà è un accumulo di punti di vista che non fanno luce sulla verità che siamo impossibilitati a conoscere. Cercare la verità è un'intenzione, ma come tutte le avventure umane è fallibile. Ed Husserl ci spiega come la realtà sia la composizione di diversi punti di vista soggettivi e sempre parziali.

Per tornare all'analogico l'autore affronta due colossi: lavoro e natura. Per il primo si chiede come sia stata possibile la sua svalutazione nonostante la prominenza valoriale nella nostra Costituzione. Marx ha intuito che il capitalismo è un sistema che conduce a periodici e distruttivi tracolli. Il capitalismo è cambiato dai tempi di Marx per sopravvivere e mantenere nel profitto la sola linea guida. Keynes cerca una via etica all'economia, ma tra le sue ricerche e soluzioni e le teorie di Marx troviamo il ragionier Fantozzi, sfruttato, vessato, umiliato, costretto a vivere per lavorare. Detto altrimenti, uno schiavo.

Non meno drammatiche sono le vicende che riguardano la natura. Secondo la teoria di Darwin non esiste un progetto universale precostituito dal Supremo che ha creato ogni cosa, ma il tutto che vediamo è risultato di lenta evoluzione. Quindi non un Dio, ma un Bio e, come per il contemporaneo Marx, si staglia sull'orizzonte l'idea che non è Dio che ha creato l'uomo, ma l'uomo che ha creato Dio. E dire che Darwin aspirava ad essere un religioso di campagna. Prima di questi due rivoluzionari frequentò questa pianeta un rabbino mancato, cacciato dal Portogallo perché ebreo ed accolto in Olanda, ma cacciato come eretico dalla sua comunità perché sosteneva che Dio è la Natura. Con tanti saluti all'immagine antropomorfa che ci siamo fatti del Creatore.

In conclusione la partita si gioca, tra due tedeschi e due francesi, su ragione e credere. Hegel che intorno e con la ragione costruisce un sistema mastodontico in grado di afferrare, collocare e spiegare il tutto attraverso la dialettica (ipotesi, tesi, sintesi). Sistema talmente potente che può essere utilizzato per smontare sé stesso (Marx docet). La ragione trova un'accezione ben diversa quando viene identificata dall'illuminista Voltaire come l'elemento essenziale per convivere. Senza la ragione sarebbe tutto un gran guazzabuglio. Come dargli torto?

Un altro francese, geniale, approda al credere per via matematica. È una scommessa statisticamente vincente e per lui la fede diventa anche l'unica cosa per cui valga la pena vivere. Al contrario il distruttivo Nietzsche, colui che filosofeggiava con il martello, vive la stagione in cui la scienza pare essere in grado di spiegare tutto. Viene meno la necessità dell'autorità cristiana perché sostituita dalla nuova autorità della scienza. Dio è morto e siamo noi che lo abbiamo ucciso.

 

Una lettura semplice, ma per nulla semplicistica. L'obiettivo di attualizzare pensatori passati sposa con chirurgica precisione temi che sono la nostra quotidianità. Citofonare ad Hegel è una sfida stimolante. In tutti i casi, se lo cercate, non fatelo all'ora di colazione perché sta leggendo il giornale, il social media ante litteram. Nessuno è esentato dal cercare di capire dove si trova ed ognuno deve avvalersi degli strumenti a sua disposizione, con l'accortezza di non farsi ingannare dagli stessi.

 

Il sospetto

Autore: Friedrich Dürrenmatt

 

Giudizio: ****

 

Il vecchio commissario si trova in ospedale dopo aver subito un difficile intervento chirurgico. L'operazione è andata a bene, ma la verità è che gli resterà ancora poco tempo da vivere. Cerca svago nelle riviste che sono a sua disposizione e si imbatte in una foto di un medico nazista che sta operando senza anestesia. La cosa lo disgusta al punto da mostrare la foto al suo amico medico che ne resta turbato. Non tanto e non solo per il pensiero di cosa rappresentasse quella foto, ma perché riconosce nel medico nazista un suo vecchio compagno universitario.

 

Il commissario, al quale viene comunicato dal suo superiore l'imminente pensionamento che avverrà in settimana, pur rimanendo fermo nel letto dell'ospedale, muove tutte le pedine ancora a sua disposizione per smontare l'alibi che lo stesso amico medico darebbe al suo ex compagno di corso, prima, e poi per verificare la correttezza del sospetto. È una questione di giustizia alla quale il commissario è destinato.

 

Saremo coinvolti in un'indagine metafisica perché puramente cerebrale, se così si può dire. In essa convergono le indoli dei protagonisti, a partire dal commissario che, nonostante tutto, non può arrendersi a non verificare il sospetto. Il dottore turbato anch'esso dal sospetto, ma impreparato ad affrontare sospetti che non conducono a diagnosi, ma che conducono al colpevole, ora divenuto il famoso medico dei ricchi in città. Apparirà anche un personaggio che in campo di concentramento subì un intervento senza anestesia e per questo fatto la sua vita ha ricevuto un destino ben determinato. Naturalmente troveremo anche il sospettato che sarà succosa portata di questo banchetto narrativo.

 

L'autore affronta il tema dell'ineludibilità delle scelte umane guidate dalle singole pulsioni delle persone. La paura, il piacere, la debolezza, la ricerca della verità come compito assoluto, l'opportunismo, la distrazione, l'innocenza e la colpevolezza sono presenti nei dialoghi e nei comportamenti cuciti addosso ad ognuno dei personaggi. Una pacificazione impossibile rispetto alle pulsioni incontrollabili ed, infine, incontrollate. In un finale letteralmente scandito come se fossimo in presenza di una bomba ad orologeria il sospetto si mostra per quello che è.

 

Bomba atomica

Autore: Roberto Mercadini

 

Giudizio: ***

 

Questa è la storia della Bomba. Quella bomba che portò Einstein a dire "Non so con quali armi verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre." (Fonte: wikipedia.it). Online però si trova anche una prosecuzione del ragionamento del grande fisico che dice "In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio". Quest'ultima affermazione, di cui non ero a conoscenza, si inserirebbe perfettamente nelle dinamiche scelte dall'autore per rappresentare la storia narrata in questo libro.

 

Un libro che racconta di come un "errore" possa diventare la scoperta (terrificante) del secolo che porterà un marziano (come tutti i fisici ungheresi vengono identificati) all'intuizione della possibilità di innescare una reazione a catena. Potrebbe essere una barzelletta: c'è un italiano (spaghetti), un ungherese (marziano), un americano (però comunista), ed un danese (il papa) che si trovano al bar. Poi ci sono i tedeschi che, nonostante siano geniacci, arrivano alla conclusione che la bomba non si può fare. Sì, si possono fare reattori nucleari che generano energia, ma non si possono trasportare su un aereo per bombardare il nemico. Tra i tedeschi ci sarà chi si dispera come un bambino al momento della scoperta che i nemici ci sono riusciti, che gli altri hanno visto quello che loro non hanno visto. Uno smacco accademico, con buona pace delle centinaia di migliaia di morti giapponesi.

C'è un filo conduttore che attraversa questa vicenda ed è l'idea che questa arma di distruzione di massa debba essere usata contro Hitler, il nemico mortale o sarebbe meglio scrivere contro il popolo tedesco. Però le vicende si svolgeranno in modo tale che sarà il popolo giapponese a subire il bombardamento.

La storia della Bomba è costellata di casualità che correggono percorsi o scelte errate per andare in direzioni giuste. È fatta da persone che da seconde diventano prime (Fermi), da persone chiamate a fare ciò che avrebbe dovuto fare qualcun'altro (Truman), da persone coinvolte casualmente nel progetto e che poi ne diventeranno i primi responsabili (Oppenheimer), da persone che capiscono sole e prima e contro tutti gli altri che Fermi non aveva creato un nuovo elemento chimico, ausonio, ma aveva scisso un atomo di uranio (Noddack), da persone date per finite, per la fisica, che però producono la scintilla ultima e necessaria in grado di realizzare l'innesco (Bohr).

 

Tutto è bene quel che finisce bene, se fosse una favola. Questa non è una favola è la rappresentazione di come il destino si concretizza per vie sghembe e per volontà umana e non per colpa di un destino cinico e baro. Qui il confine tra bene e male smette di avere quel significato granitico ed insuperabile perché siamo sicuri che un male usato a fin di bene possa essere riconosciuto come un bene? È l'umanità, baby.

 

Poco mossi gli altri mari

Autore: Alessandro Della Santunione

 

Giudizio: ***

 

Seppure in tutto c'è un equilibrio non è mai definitivo. Di definitivo c'è solo la morte e se quella scompare dalle buone abitudini tutto può essere e non essere, anche contemporaneamente.

 

Una decisione collettiva, molto seria e comunista ha un'inattesa conseguenza. La famiglia del protagonista decide di rimanere unita, per sempre. O meglio il lato materno della famiglia, perché il lato paterno non ci pensa un attimo e di loro si perdono le tracce.

Però nella famiglia unita si verifica un fatto impensabile del quale l'ideatore non poteva sapere: si smette di morire. Con tutte le novità e necessità organizzative che questo comporta. Sistemare stanze per mogli e mariti dei giovani che entrano in famiglia. Ma non solo perché la vita non è solo casalinga, si sviluppa e si misura anche con il confronto esterno. Le dinamiche e le inerzie tipiche del paese possono trovare difficoltà nel collocare luoghi e persone. L'ispezione dell'Inps non rileva alcuna irregolarità nell'assenza di decessi e tutto prosegue. Radio Campogalliano si sente forte e chiara con i giusti tempi ed argomenti, a suo modo migliore delle altre. Il frigorifero direttamente collegato alla Siberia è un gioiello di economia verde.

Eppure c'è qualcosa di imperfetto in questo progetto comune, come se l'eternità fosse troppo fragile per garantire un equilibrio eterno che sia amare la moglie, giocare a pallone, danzare in balera, donare sangue, capire la trisavola che quando parla in dialetto arcaico è incomprensibile. Questo equilibrio va ricercato nell'invenzione, o nella scoperta, o nella reinvenzione a partire dalla Festa de l'Unità e dal riutiluzzo delle Lire. L'eterno presente conduce alla nostalgia della nostalgia, per molti mai provata.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, si verifica un lutto. Il più inaspettato e supremo dei lutti possibili. Una nuova condizione che getterà nello sconforto alieno, seppure tangibile, che scuote nel profondo gli animi fino a quel momento protetti dalla morte.

 

La vita prosegue anche se non è la nostra, anche se non potremo raccontarla o sentirla, anche se non la capiamo perché così va la vita, avrebbe detto il buon caro vecchio Kurt Vonnegut.

 

La parola a don Chisciotte

Autore: Rick DuFer

 

Giudizio: ***

 

L'intervista come approfondimento di personaggi di fantasia è impossibile. Proprio per questo ne possiamo leggere ben nove (otto + una, ma con arguta giustificazione per l'ultima) perché è fantasia.

 

Queste interviste a personaggi, e non solo, di pura fantasia rappresentano un'appassionata indagine su quanto la lettura possa fornirci riscontri concreti e reali seppur passando da opere di fantasia. E non penso alla "morale" che ogni libro può o potrebbe annunciarci. Penso invece ad un gioco intellettuale che ci porta a conoscere ciò che l'autore vuole farci sapere per gioco, per esigenza personale, per convinzione. Esattamente come avviene in ogni intervista che ci mostra intervistatore ed intervistato.

 

In queste pagine si spazia, letteralmente, da colloqui con pianeti a deità dormienti, da conversazioni con amortali e androidi, a chiacchiere con padroni e servi, maghi e filosofi. E non è necessario avere una preparazione specifica sulle singole categorie "incarnate" dai personaggi di fantasia perché quanto serve per sapere di cosa si parla viene (de)scritto. Ogni personaggio è parto della fantasia di un padre (solo in un caso si deve parlare di madre) al quale potremmo perfino essere (dis)interessati. Perché è il potere della fantasia e non il mezzo incidentalmente umano che ci suggestiona.

 

L'autore invita a "concludere" il testo "redigendo" la personale decima intervista per portare a compimento l'opera raggiungendo il numero tondo per eccellenza. Personalmente credo che il numero nove, tre volte il numero perfetto tre, sia di per sé perfetto, ammesso che possa esistere un numero perfetto. Una lettura che mostra come nulla è impossibile anche se tutto è limitato.

 

Il tempo invecchia in fretta

Autore: Antonio Tabucchi

 

Giudizion: ****

 

Prendendo a prestito una parola dalla protagonista di uno dei racconti di questa raccolta si potrebbe dire carinissima. Tale termine, però, non si può utilizzare sempre. Prenderò quindi in prestito dalla stessa ragazzina la parola singolare perché, sì, questa raccolta di racconti è indubbiamente singolare. Il tempo è singolare pur essendo passato, presente e futuro, cioè molteplice.

 

Dal passato affiorano ricordi, veri o falsi che siano, e tracimano in un presente, dolente o leggero, ma necessario per guardare al futuro, qualunque esso sia. Ricordare la nonna che parla. Stare con la zia che si prende cura del bambino e trovarsi adulto con la schiena che duole, ma sempre con lei, in ospedale, per accompagnarla oltre. Conoscere l'amore, prometterlo e poi perderlo in una vita votata al Paese e sfregiata dalla sconfitta. Poi la riabilitazione ed arrivare al momento in cui si realizza che i tre giorni più belli della vita sono stati trascorsi giocando a scacchi ed andando a teatro con l'antico nemico, che nemico non era, comandava solo l'altra parte della barricata. Dichiararsi innamorato del film che non è mai stato girato, ma del quale sei stato promotore ed interprete. Godere della serenità raggiunta nonostante quello che sai e che non puoi dire. Ricordare quella canzone, cantata da una mamma con tra le braccia un bambino. Prevedere il futuro, diversamente segnato, leggendo le nubi con un signore ed una bambina sconosciuti eppure amici del mare. Sapere di essere in un posto che non è cambiato pur essendo diventato un altro posto. Vivere il racconto fino all'estremo dove non è possibile valicare la parola fine.

 

Il tempo ci accompagna imperturbabile ed eterno. Invecchia con noi e rende difficile l'orientamento tra passato, presente, futuro. Ed è questo che gli fa acquisire velocità o lentezza. In tutti i casi contraria a quanto noi vorremmo. Singolare e molteplice, il senso è comunque unico.

 

Sono mancato all'affetto dei miei cari

Autore: Andrea Vitali

 

Giudizio: ***

 

Un finale atteso già nel titolo, eppure a suo modo inaspettato, si manifesta in questo breve diario di un uomo semplice, orgoglioso, spigoloso che è marito, padre, commerciante.

 

Il negozio di ferramenta sotto casa è suo. La vita scandita dai perfetti orari di apertura: sveglia ore 6, apertura ore 7, pranzo servito dalla moglie alle 12.30, riposino pomeridiano e poi via, di nuovo in negozio fino alle 19. Alle 21,30 pronto a dormire nel letto dopo un assaggio già fatto sul divano. In questa quotidianità tutta la professionalità e tutto l'orgoglio di saper fare il suo mestiere e di sapere come si affronta la vita.

 

Eppure... eppure proprio la vita, così precisa, puntuale, professionale viene messa a dura prova dai cari perché il "mestiere" di marito e padre non è stato adeguatamente "curato" come fatto con i clienti. All'orizzonte si addensano le nubi dei tre figli che crescono e nessuno dei tre sarà in grado di dargli tranquillità prima e sicurezza poi.

 

Lui così sicuro nelle sue certezze, tanto che "se la cosa non ti sta bene la porta per uscire è sempre lì", si ritrova a ad affrontare situazioni inconcepibile create dal sangue del suo sangue, in parte dovute al suo agire ed in parte dovute al suo non agire. E gli errori, attivi e passivi che siano, vengono tutti al pettine prima del gran finale.

 

Smells like Kurt spirit

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

Ma cosa vuoi che sia una canzone?

Voglio solo che sia una rivoluzione.

E rivoluzione sia.

 

Quanto è bello, e devastante, poter fare la migliore cosa possibile e restare imprigionato nell'impossibilità di ciò che credevi possibile. Questo libro non racconta la storia di Kurt Cobain e dei Nirvana, o meglio racconta "solo" la loro intenzione, racconta "solo" la loro aspirazione. E quel "solo" è comunque tantissimo, talmente tanto che ancora oggi ci sono persone che indossano le loro magliette anche se, forse, per motivi diversi rispetto alle intenzioni.

Kurt ed i Nirvana hanno creato quella miscela da cui è scaturito un suono, ed una vita, diversamente punk, diversamente pop, diversamente rock. È quella cosa che è stata etichettata grunge perché ogni tassello dello spettacolo deve essere identificato e classificato per continuare a vendere e divertire, ma soprattutto a vendere.

La loro rivoluzione è immaginata prendendo il potere dall'interno del sistema per farlo marcire, ma senza mettere adeguatamente in conto che il sistema avrebbe proseguito imperterrito e si sarebbe alimentato della loro rivoluzione passando sopra la testa di tutti e di tutto. La generazione dei giovani apatici, dei giovani disinteressati a tutto, la generazione tradita da un mondo che nega un futuro, la generazione che non conosceva i Nirvana prima della fama, si appassionerà alle loro parole perché accompagnate da chitarre distorte avvinghiate a suadenti melodie pop. I Nirvana vengono compresi su un piano diverso rispetto a come Kurt avrebbe voluto fossero compresi. Quando un prodotto "si vende", seppur rivoluzionario, resta un prodotto che il pubblico consuma.

Kurt si sentirà marcire dentro perché anche lui ha tradito. Ha tradito chi doveva essere tradito perché fascista più del fascismo, quelli per cui l'indipendente non può esplorare altri generi e men che meno vendere, vendere tanto, ed ha tradito le persone alle quali voleva mostrare la rivoluzione di essere liberi di fare e dire ciò che a loro piaceva. Le persone non l'hanno capito e si sono innamorate del "prodotto". Si sono innamorate della rockstar senza cogliere il fatto che quella rockstar non era interessata a vendere il prodotto per marciare, ricca e maestosa, sulla strada del successo commerciale seppure Kurt volesse diventare una famosa rockstar. Contraddizioni ce ne sono e sono parte di quella generazione, dei diseredati e degli yuppie.

 

Nel nome, scelto non a caso per la band, si identifica quello stato che si raggiunge nel momento in cui c'è il superamento del dolore, di tutto il dolore. Un dolore fisico ed un dolore metafisico. Per il primo c'è l'eroina, per il secondo c'è la ricerca di una serenità che arriva quando si suona. Ma non bastano, non bastano mai e ne vuoi altro, e altro, e altro e gli intervalli tra l'uno e l'altro diventano sempre più insopportabili.

Sappiamo come è finita. Forse adesso pensiamo che non poteva finire diversamente perché era un "gioco" troppo grande o, forse, troppo ingenuo. L'ingenuità è uno schermo che protegge fino a che non si apre la porta che risucchia l'anima: mostra tutte le contraddizioni che portiamo con noi senza che lo schermo dell'ingenuità ci possa proteggere. Ora accendo lo stereo e torno ad essere il ventenne che aveva ascoltato, apprezzato, sognato e che non aveva capito.

 

Senza mai arrivare in cima. Viaggio in Himalaya

Autore: Paolo Cognetti

 

Giudizio: ***

 

Forse è proprio come se lo aspettava, certamente aggiornato dagli anni in cui qualcuno glielo ha "raccontato". Nel dubbio quel racconto se lo porta con se, nel suo zaino. Insieme a due amici che camminano al suo fianco.

 

Era un sogno che si avvera. Nel suo manifestarsi mi pare non ci sia nulla di avventuroso, come lo intendiamo abitualmente. Eppure l'avventura c'è già nei tre amici che decidono di fare quel viaggio per vedere luoghi che li accomunano, montanari, o alpinisti, o pittori, o scrittori che siano.

Il titolo già sottintende che l'avventura è esserci stati, non essere saliti sul picco. L'avventura sta nell'essere derubato in modo ingenuo proprio il giorno dell'arrivo. L'avventura sta nel conoscere una maestra che vive in un luogo da abbandonare quando arriva l'inverno, perché lì sarebbe troppo freddo, e raggiungere un altro luogo dopo 3/4 giorni di viaggio per insegnare ai suoi studenti. 3/4 giorni di viaggio è un tempo che si comprende solo se hai visto e camminato in quei territori per te che in 12 ore sei arrivato dell'Italia con l'aereo. L'avventura è non sapere nemmeno come si chiama questa maestra che parla un inglese inaspettato. L'avventura sta nel non ricordare come sei entrato in tenda e nel sacco a pelo e svegliarti alla mattina successiva chiedendo agli amici chi ti abbia aiutato. Non eri ubriaco, eri sotto gli effetti del male di altura che ti colpisce intorno ai 3mila e 500 metri. Tu non credevi saresti mai stato tanto in alto quanto la vetta del monte Bianco ed invece ora sei sopra quella quota, pur non avendo scalato. L'avventura è solo immaginare di aver visto il felino di quei territori perché è talmente abile nel mimetizzarsi che lui vede te, ma tu non vedi lui. L'avventura è adottare temporaneamente un cane che ti segue senza che tu sia il suo migliore amico. L'avventura è ricordarsi all'ultimo minuto di fare una foto di gruppo con tutti i ragazzi che hanno governato muli ed attrezzato i campi e preparato da mangiare per ogni freddissima notte. Poi c'è la storia, la geografia, la geopolitica, ma questa è un'altra avventura, parallela e diversa.

 

Poteva essere una semplice "scampagnata" ed invece è stata una splendida avventura.

 

Underworld

Autore: Don DeLillo

 

Giudizio: ****

 

Gli Stati Uniti d'America, le stelle e le strisce, danzano a partire da una partita di baseball che diventa l'epica dell'uno contro uno: Ettore contro Achille, Davide contro Golia. Tutti sono parte di una comunità ma, al tempo stesso, tutto si riduce al singolo contro il singolo, oppure all'amico verso l'amico. Che sia amicizia, fraternità,  amore, sesso occasionale, rancore è pur sempre la solitudine l'elemento comune.

 

Nell'epica scorre l'odio, l'amore, la paura, la rabbia, la delusione. In una parola scorre la vita di chi si ritrova solo anche quando è parte di una comunità.

Quindi i New York Giants contro i Brooklyn Dodgers diventano Thomson contro Branca. La Guerra Fredda e la rincorsa agli armamenti diventa la ragione di vita per americani e sovietici, ma è sempre un uno contro uno. Qui si racconta di Hoover e, seppur assente, possiamo immaginare l'omologo sovietico. Oggi ha vinto il secondo, ma domani... domani la gestione dei rifiuti diventerà essenziale e chi ha perso la "guerra fredda" si trova nella miserabile condizione di aiutare chi l'ha vinta grazie alla corsa agli armamenti. Non lo fa per altruismo, ma per denaro pur sapendo che il costo è infinito dolore umano. Dolore umano che accomuna vinti e vincitori.

Come per denaro, e dubbia autenticità, il romanzo viene attraversato da leggendari passamano della palla da baseball colpita e scagliata fuori campo nella partita che entra nella storia il 3 ottobre 1951. Noi che leggiamo sappiamo che è storia vera, ma i protagonisti ripongono solo fiducia in chi si trovano di fronte per il loro acquisto. Ed hanno ragione, è fiducia ben riposta, anche se non potranno mai dimostrarlo, anche se è dimostrarlo quello che conta.

 

Ogni data ha una storia, per alcuni l'una più fortunata di altre. Ed ogni storia è data di inizio dalla quale si dipana un'evoluzione tragica, o triste perché non può essere altrimenti. La gioia non è del sottomondo imprigionato in vite che non possono aspirare ad essere epiche perché invariabilmente identiche le une alle altre e senza gloria. La devota donna di origine irlandese abbandonata con due figli da un marito italoamericano di cui non si sa: è fuga o rapimento? La tragedia del figlio maggiore che accetta inconsapevole una sfida mortale dopo essersi innamorato di un'artista anaffettiva che rivedrà anni dopo. Il fratello minore che potrebbe essere campione di scacchi, ma che sceglie l'esercito per "scarso agonismo". Agonismo che non sa trasmettergli il maestro e dovrebbe trasmettergli un prete perché vincere non è uccidere. Il ragazzino nero che si intrufola nello stadio per la partita di baseball dell'anno e sa vincere la personale partita con il vicino, diventato amico fraterno come può accadere solo tra chi condivide la stessa fede sportiva, fino a che tra loro non ci si mette di mezzo la palla della gloria. Ragazzino che sarà poi sconfitto e tradito dal padre. Comico istrionico, ucciso dal suo istrionismo. Professore di scienze che si innamora e sposa l'artista; crede che lei non lo ami perché poco ambizioso, mentre lei non sa amare. Una suora rude ed acida che riesce a vedere la santità anche dove forse non c'è santità ma solo tragedia, quella tragedia che ha visto ed alimentato per anni. Il sottomondo che deve restare sepolto perché qui sono tutti vinti.

 

Questa non è l'America, questo è il sottomondo che raccoglie le vite di chi ce l'ha fatta e di chi non ce l'ha fatta secondo gli standard americani. L'America è i suoi standard. Standard rudi e puntuali tanto da far dire che Lenny Bruce, Clyde Tolson, Ralph Branca non ce l'hanno fatta pur facendocela. Un momento di gloria è pur sempre solo un momento mentre il sottomondo è un atteggiamento, un'intenzione dovuta alla quale è impossibile sottrarsi.

 

Tempo fuori luogo

Autore: Philip K. Dick

 

Giudizio: ****

 

Titolo che in Italia è tradotto anche "Tempo fuor di sesto".

 

Le esperienze che viviamo sono reali, ma non è detto che siano completamente vere.

 

Anni '50 del secolo scorso, quartiere residenziale di una tranquilla cittadina statunitense. Il protagonista, Ragle Gumm, vive a casa della sorella e del cognato la frustrazione di un uomo che non ha trovato lavoro, non ha trovato moglie, non ha messo su famiglia. Eppure è famoso, in città lo riconoscono e conoscono tutti perché ha un hobby nel quale è indiscutibilmente il migliore. Il quotidiano locale pubblica tutti i giorni un gioco a premi intitolato "Dove apparirà l'omino verde?" nel quale i partecipanti devono indovinare in quale casella di una scacchiera si troverà il personaggio del gioco. Ragle vince quasi tutti i giorni, la sua foto viene pubblicata sul giornale e lui diventa famoso, un vero eroe popolare.

In questo modo guadagna qualche dollaro, ma questo non modifica il suo malessere di vivere una vita diversa da quella che vorrebbe, da quella che hanno tutti. A peggiorare la sua situazione Ragle inizia a notare strane incongruenze, la sparizione della cordicella per accendere la luce del bagno, alcuni oggetti sostituiti da foglietti con su scritto il loro nome. Sospetta di essere malato di mente, ma scopre che anche ai parenti succedono cose anomale. Qualcosa di inspiegabile sta accadendo, questo pensiero si insinua nella mente di Ragle. La necessità di trovare una spiegazione condurrà il protagonista alla scoperta di una realtà inaspettata seppur pienamente giustificabile per chi l'ha creata. La vita del protagonista è la sua vita, ma modellata alle necessità di un bene superiore a lui oscurato per garantire la sua piena partecipazione ed affidabilità.

La sua non è malattia mentale, non è paranoia, esiste un vero e proprio complotto a fin di bene, ammesso che un complotto possa avere un fin di bene per colui che ne diventa oggetto e soggetto protagonista e dal quale dipendono le sorti del mondo intero così come conosciuto da Ragle stesso. Forse quello che lui vorrebbe per sé ma non gli è concesso.

 

Sette brevi lezioni sull'epicureismo. Epicuro e l'arte della felicità

Autore: John Sellars

 

Giudizio: ***

 

Sono solo sette e sono brevi, per davvero. Questa è una verità anche se quel che per l'autore e per me è breve potrebbe non esserlo per altri. Anche questa è una verità. Chi si aspetta qui valutazioni da "persona informata sui fatti", lasci perdere. Io sono all'oscuro di tutto, posso solo abbozzare la filosofia di Epicuro per tramite dell'autore affermandone la ragionevolezza e non la verità assoluta. 

 

Di che cosa abbiamo realmente bisogno per vivere una vita felice? La risposta che fornisce Epicuro è la tranquillità. Nulla di più lontano da quanto si possa immaginare per il filosofo tratteggiato come dedito a "sesso, droga e rock'n'roll" ante litteram nella comune non comune che fondò nei pressi di Atene. Per Epicuro la felicità sta nell'assenza del dolore, che sia fisico o dell'anima. In base al concetto attuale che tutti noi possiamo attribuire al termine "felicità" si può dire che Epicuro sia fuori tempo. Ed è letteralmente vero, ma possiamo escludere che la sua filosofia abbia un fondamento di verità? Forse no. Forse l'essere felici non è "il di più" a cui oggi tutto ci spinge.

 

Epicuro afferma che il dolore fisico può essere alleviato dal piacere mentale. Questo dolore è meno gravoso del dolore dell'anima perché se non è grave passerà in poco tempo, mentre se è più intenso cesserà rapidamente conducendo alla morte. In entrambi i casi ci si troverà nella condizione di "assenza del dolore". È possibile obiettare che non si potrà trovare felicità nella morte, ma Epicuro afferma che la morte è la condizione di non esistenza e quindi non paragonabile con la vita che è la condizione di esistenza. La morte è una cosa diversa e non deve spaventare perché, prima o poi, riguarderà con certezza tutti, e dopo di essa non esisterà più quell'io che provava dolore.

Epicuro è convinto che il dolore sia il male, mentre il piacere sia il bene purché ricercato in modo calcolato e non fine al suo mero inseguimento per perpetuarlo. Il dolore fisico può essere alleviato dal piacere mentale. Il ricordo di momenti piacevoli, la conversazione con un amico, possono aiutare e lenire il dolore. Ma non tutti gli atti di piacere sono privi di conseguenze dolorose e quindi il piacere deve essere ricercato con oculatezza.

Se avere fame è una sensazione dolorosa, al contrario essere sazi produce una sensazione di piacere e questo piacere non aumenta se continuiamo a mangiare, anzi, se proseguissimo potrebbe condurre ad una dolorosa indigestione. Se la povertà può gettare nello sconforto e nella dolorosa disperazione del non sapere come vivere, un'eccessiva ricchezza può generare la preoccupazione di come difendere i propri beni. Questo condurrebbe all'assenza di tranquillità che secondo Epicuro è la condizione necessaria per vivere una vita felice. La felicità è puntuale, quando la si raggiunge non può essere aumentata, anzi tentare di farlo potrebbe rendere infelici.

 

Per Epicuro una vita piacevole non è quella trascorsa tra feste, buon cibo e vino, piaceri carnali ma quella che affrontiamo nel sobrio ragionare che indaga cause e conseguenze di ogni atto da noi scelto o rifiutato. In particolare su dèi e destino dopo la morte, cioè quello che oggi chiameremmo soprannaturale, e che è fonte di profondo turbamento mentale che è superiore al dolore fisico. È vuota quella filosofia che non contribuisce a curare la malattia dell'anima. Quindi la filosofia come terapia per ricercare felicità, bene, piacere, la filosofia come terapia necessaria perché la vita è foriera di dolore e sofferenza da limitare e superare.

Per questo motivo è necessario osservare, studiare, capire. Non appaia quindi una stranezza gli studi che Epicuro dedicò alla natura ed alle condizioni meteorologiche. Sapere che le saette non sono lanciate in modo più o meno casuale da un dio furioso, poterle prevedere in qualche misura perché frutto di una combinazione di elementi naturali è condizione che dà all'essere umano tranquillità ed aiuta a trovare la serenità nel sapere che gli eventi accadono in quanto naturali e non sovrannaturali. Prova ne sia la lettera che Epicuro scrisse a un amico il giorno della sua morte. Tra i profondi dolori fisici a cui forse non era preparato, trovò sollievo scrivendo all'amico della persistente serenità e tranquillità raggiunta data dal fatto che, come era naturale, tutto quel dolore sarebbe finito in breve alleviato dal ricordo del piacere goduto in vita.

 

La bambina filosofica. Come rendersi impopolari

Autrice: Vanna Vinci

 

Giudizio: ***

 

L'impopolarità è la via per sopravvivere ad un presente che ti uccide nella rincorsa alla popolarità.

 

Chi potrebbe pensare quello che si trova in questa raccolta di aforismi disegnati? Nessuno tranne lei, la bambina filosofica. Lei sceglie il sentiero impervio, quello meno battuto che porta a rimirare in splendida solitudine un suggestivo tramonto che l'umanità non merita. Trovato un luogo comune molto frequentato la bambina filosofica lo ribalta, squassa con meticolosa perizia e fa in modo che il luogo comune stesso venga svuotato dal significato originale e ne assuma un altro. E lo splendido tramonto diventa alba.

La bambina filosofica ama cullarsi nel sentimento della distanza. Nulla le è troppo vicino, nemmeno i suoi pensieri. Che siano riottosi, pigri, incuranti, critici, sarcastici è il distacco tra lei e loro che li contraddistingue. Perché per rendersi veramente impopolare lo deve fare anche con sé stessa. È un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare.

 

In questo periodo natalizio leggere questo libro mi ha ricordato quanto la popolarità sia prodotto del marketing dei bisogni indotti ma non necessari. Il volume si legge in fretta, fa ridere, addirittura fa riflettere e non produce incubi notturni.

 

Filosofia di Fantozzi

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

A tutti succede di riconoscersi in quel servile, impacciato, sfortunatissimo ragionier Ugo Fantozzi. È un supereroe (post)moderno al pari di quel rissoso, irascibile, carissimo Braccio di Ferro. Ma Fantozzi è quello che perde, perde sempre, perde comunque, perde anche quando vince. Tanto che fantozziano diventa un aggettivo della lingua italiana: "Di persona, impacciato e servile con i superiori. Anche, di accadimento, penoso e ridicolo" (Fonte: treccani.it).

 

Fantozzi nasce, vive e soffre per farci ridere. Ridere nonostante tutto. Ridere della società in cui viviamo. Ridere dei canoni culturali che contraddistinguono le nostre esistenze. Ridere delle disgrazie altrui perché "meglio a lui che a me". Ridi che ti passa e fatti una risata ogni tanto perché tu non sei Fantozzi, sei solo tale e quale però in carne ed ossa. Quante volte hai programmato un fine settimana al mare e, dopo interminabili ore di coda al casello per colpa di un proditorio sciopero dei casellanti che rivendicano sul lavoro quello che tu non hai, arrivi in spiaggia ed inizia a piovere? Sei Fantozzi, fatto e finito.

 

Scrima ci racconta di come Paolo Villaggio innervi nel suo personaggio una profonda critica sociale e culturale. La catastrofe è sempre lì che aspetta Fantozzi, o come dicon tutti Fantocci, fulcro imprescindibile di un sistema dal quale non può sfuggire perché è la sua esistenza stessa che garantisce il perdurare del sistema. Serve un "ultimo" sul quale tutti possano contare per dimostrare la loro "forza", che sia il potentissimo presidente, come è umano lei, oppure colleghi assenteisti che lasciamo a Fantozzi l'incombenza di coprire le loro assenze. E l'unico sanzionato per assenteismo sarà il nostro fantozziano ragioniere.

 

Fantozzi cerca di districarsi da questa melma adottando pratiche analoghe a quelle che subisce, ma che invariabilmente gli si ritorcono contro per incapacità, goffaggine, vigliaccheria. Anche quando si ribella al vile destino da ragioniere Fantozzi è sempre lui a subirne le conseguenze. Ribellarsi all'ennesima visione del film colto, infrangere la vetrata dell'azienda, vincere a biliardo per un inaspettato scatto di orgoglio contro il mega dirigente che lo ha bullizzato per tutta la partita, consolare la figlia irrisa dalla direzione aziendale nel corso della recita natalizia, lottare per difendere la stima, e non l'amore, che la moglie ha nei suoi confronti.

 

L'infelicità aleggia come un avvoltoio nelle diseguaglianze di una società in cui tutti cercano di migliorare la propria condizione contro, e non con, gli altri. Fantozzi è emblema di tutti e di tutto, quando nacque dalla penna di Villaggio negli anni '70, ma lo resta ancora oggi in una società che è figlia di quella e che mantiene immutate le eredità più detestabili e deprecabili. Possiamo riderci sopra.

 

Ufo 78

Autore: Wu Ming

 

Giudizio: *****

 

La vita [e la morte] sul pianeta terra nel 1978, per citare in modo bislacco Giuseppe Genna, scrittore di cui viene citato un sogno dell'epoca.

 

Tasselli affastellati che, collocati nel modo più opportuno, vanno a ricomporre un puzzle tra gli infiniti puzzle possibili del 1978. Avvistamento di Ufo, rapimento ed uccisione di Aldo Moro, la lotta politica, la lotta armata, la scomparsa di ragazzi per colpa di alieni, la droga, le utopie di una comunità, le differenze sociali che esplodono, il malessere generazionale, la musica, l'amore e l'odio, Gladio, lo studio di parti di tutto questo perché non è possibile abbracciare tutto.

 

Al contrario questo romanzo abbraccia tutto. Dà una sola risposta attraverso la testimonianza di una bellissima foto, ipotizzandone le conseguenze, e narra le vicende che collegano in modo casuale persone lontanissime che in quel 1978 si ritrovano vicine fisicamente ed emotivamente.

Uno scrittore di successo, un paleocosmologo, viene attratto da una vicenda che è tanto personale quanto legata agli argomenti di cui lui si occupa. Una giovane antropologa viene attratta da una vicenda che è tanto legata agli interessi professionali quanto diventa poi personalissima. Un forestale di poche parole che, silenzioso, macera il dolore per la sparizione di due scout su un monte di cui è custode e sommo esperto. Ufologi che inseguono gli avvistamenti per smascherare l'inganno. Ufofili che sono interessati solo all'esperienza dell'avvistamento e non alla sua catalogazione. Un luogo "magico" di streghe, di alieni, di strategia della tensione e di guerra fredda. Una comunità di pari, che si dimostra essere utopia, in una lotta impari per la sua sopravvivenza e che per questa si trasforma perdendo cuori, amori, purezza, o ipotesi migliori per cui vale la pena vivere. Ex tossico dipendenti che, riusciti a trovare una misura di vita nella comunità, dubitano della forza che hanno trovato nella comunità, e che altri potrebbero trovare, e temono la loro debolezza.

 

Su queste vicende aleggiano tre scomparse eminenti: due giovanissimi scout sul monte Quarzerone, Jacopo e Margherita, ed Aldo Moro a Roma che scrive ai notabili del suo partito "Il sacrificio degli innocenti è inammissibile".

Questo libro è un'opera che squarcia un periodo della Repubblica italiana che non ha trovato le risposte a fronte delle tante domande che ci pone.

 

Comica finale

Autore: Kurt Vonnegut

 

Giudizio: ***

 

Come fortuna e sfortuna siano facce della stessa medaglia, comiche per le quali non possiamo che ridere perché così va la vita. E dopo un film serio arriva sempre la comica finale.

 

Una coppia di rampolli di famiglie ricchissime si sposa ed ha due gemelli, un maschio ed una femmina. Ma questi sono mostruosi, talmente brutti che i genitori decidono di segregarli in una delle loro residenze dove li vanno a trovare solo il giorno del compleanno. Per il resto dell'anno sono affidati alle cure di dipendenti. Uno dei due, il maschio, è l'autore di questa che può definirsi la cosa più prossima alla sua autobiografia che, però, inizia altrove.

E precisamente inizia quando lui, Presidente degli Stati Uniti di America, decaduto, vive sull'isola di Manhattan con una nipote sedicenne, incinta di un ragazzino coetaneo che vive con loro. Nella zona tutti, a parte un gruppo di sopravvissuti a qualche isolato di distanza, sono morti per colpa di virus e di una misteriosa malattia chiamata la morte verde. A questo va aggiunto che la forza di gravità del pianeta ha subito delle modifiche che hanno portato al collasso il Paese sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista economico. Gli Stati Uniti come li avevamo conosciuti non esistono più. Così va la vita.

È da queste condizioni che il Presidente Wilbur Rockefeller Swain Giunchiglia-11 inizia a scrivere la sua vita a partire da ciò che la sorella gemella, Eliza, ha rappresentato per lui. Infatti i due, completamente isolati dal mondo, maturarono la necessaria curiosità e capacità all'autoformazione, ma senza mostrarlo. Di anno in anno i genitori andavano a trovarli e li trovavano sempre mostruosi e stupidi, incapaci di qualsiasi possibilità relazionale non sapendo nemmeno parlare. In realtà i due avevano un'intelligenza straordinaria che si manifestava tanto più quanto più erano vicini. Grazie a queste stupefacente intelligenza impararono da soli la lingua, anche lingue antiche. Inoltre erano tra loro complementari: Wilbur sapeva leggere e scrivere perché questo era il suo compito nella coppia. Come se Wilbur ed Eliza fossero due parti separate dello stesso cervello: Wilbur la parte razionale e logica, Eliza la parte emozionale e creativa.

Il giorno del loro quindicesimo compleanno decisero di fare una sorpresa ai genitori. Capirono che mamma e papà non avrebbero retto alla persistente stupidità dei figli. Fino a quel momento l'avevano ritenuta necessaria in quella anomala dinamica familiare, ma ascoltando di nascosto parole terribili pronunciate dalla madre decisero di presentarsi per quello che erano diventati. Quindi parlarono e mostrarono le competenze acquisite avendo letto tutti i libri presenti nella residenza. Il colpo fu durissimo per i genitori, ma ebbe un risultato amaro per i due ragazzi. Siccome Eliza non sapeva né leggere né scrivere venne rinchiusa in una clinica psichiatrica mentre Wilbur, ritenuto più intelligente, fu mandato all'università a studiare medicina. Così va la vita.

Nel suo percorso universitario alquanto stentato, Wilbur sarà l'ultimo del suo corso, nasce un contenzioso con la sorella che riesce a sfuggire legalmente alla reclusione nella clinica psichiatrica incolpando la madre e Wilbur del suo tragico destino e chiedendo un risarcimento. Ma in fondo i due gemelli si vogliono bene e Wilbur, nonostante tutto, si impegna a garantire alla sorella tutte le opportunità che la porteranno a morire su Marte. Così va la vita.

Oltre alle angosce familiari Wilbur matura anche una intuizione che lo porterà alla presidenza. Sostiene infatti che la solitudine delle persone sta dilagando, il paese ha bisogno di famiglie allargate in modo tale che nessuno possa mai più essere solo. Per questo scopo adotta lo slogan elettorale "Non più soli". E la cosa funziona. Lui diventa Presidente degli Stati Uniti e ad ognuno viene assegnato un nome aggiuntivo che lo farà entrare a far parte di quel clan. Wilbur, per esempio, farà parte della famiglia allargata Giunchiglia di cui sarà fiero e riconosciuto componente fino alla morte. Così va la vita.

 

Il libro è dedicato a Stanlio ed Ollio che ancora oggi ci fanno ridere. Nella premessa dell'autore per l'edizione italiana, si trovano le ragioni per cui Vonnegut adottò tre nipoti, figli della sorella più giovane defunta, il viaggio fatto in aereo con il fratello maggiore per andare al funerale, quali fossero le profonde differenze tra i due ed il motivo per cui decise di iniziare a scrivere. È un racconto che da solo merita la lettura perché così va la vita.

 

Il giocatore

Autore: Fëdor Dostoevskij

 

Giudizio: ***

 

Il gioco vince su tutto, anche sull'amore. Parola di giocatore innamorato, ci scommetto!

 

Anche il più disinteressato può cadere nella trappola, lo testimonia il protagonista di questo romanzo, Aleksej. Questi inizialmente è un giocatore prudente ed oculato, letteralmente non interessato al gioco e costretto dalle richieste che gli fa la donna che ama seppur da lei non corrisposto, Polina. Lui è il precettore dei bambini della famiglia della donna il cui capofamiglia, un generale russo a riposo e follemente innamorato di mademoiselle Blanche, ha messo a rischio la stabilità economica della famiglia ipotecando i patrimoni familiari a favore di un marchese francese. Aleksej si dichiara a Polina disposto a tutto pur di entrare nelle sue grazie e la donna gli chiede di giocare per lei per garantire le finanze della famiglia messe a rischio dalla condotta del patrigno, il generale. 

 

La prudenza è eccessiva, il gioco non garantisce i risultati richiesti da Polina e quindi non resta altro che sperare nell'imminente morte della nonna che sta in Russia e nella sua eredità. Quotidiani telegrammi vengono spediti dalla Germania, dove alloggia la famiglia, in Russia per avere notizia sullo stato di salute dell'anziana signora che però si riprende e decide di raggiungere la turbolenta famigliola in Germania. Con irruenza e spavalderia anche lei si getta nel gioco chiedendo di essere accompagnata da Aleksej ed è un successo che la fa vincere una cifra clamorosa, anche grazie alla sua saggezza che le consente di staccarsi dal tavolo al momento opportuno. Però la notte non è buona consigliera e l'indomani, nonostante gli accorati appelli di Aleksej, la signora torna al tavolo e perde tutto, anzi più di tutto, tanto da dover tornare in Russia con il primo treno.

Quello che accadrà successivamente è un gorgo nel quale Aleksej viene trascinato. Persa ogni speranza per l'amore di Polina si getta anima e corpo nel gioco come unica ragione di vita, con un finale beffardo al quale Aleksej non si sottrae, anzi se ne rende artefice.

 

Non si può tralasciare che Dostoevskij scrisse questo romanzo nel momento in cui aveva perso tutto al gioco. Un contratto capestro, sottoscritto precedentemente con l'editore, lo costringeva a consegnare un romanzo in un tempo brevissimo per salvare i diritti di tutte le sue opere future. Raggiunse l'obiettivo solo grazie all'idea di amici che gli presentarono una valente dattilografa alla quale dettò il testo consegnandolo nei tempi richiesti. La ragazza era una sua ammiratrice e successivamente diventerà la sua seconda moglie. Tra gioco ed amore è una lotta eterna.

 

Mattatoio n. 5 ovvero la crociata dei bambini (rivista in fumetto)

Autori: Ryan North ed Albert Monteys

 

Giudizio: ****

 

Fumetto tratto dall'omonimo romanzo di Kurt Vonnegut

 

Alle prese con il racconto di una storia (vera), di satira e con una spruzzata di fantascientifico che rende il racconto molto più sorprendente di quanto già non sia, la riduzione in fumetto si presta in modo splendido per quei fortunati che non avessero già letto il romanzo di Vonnegut perché, quando giungerà il momento, avranno tra le mani un libro bellissimo da leggere dopo essersi dilettati in precedenza con il fumetto. Per chi avesse già letto Vonnegut a Dresda con altri bambini in guerra sarà un tuffo in un modo diverso di rileggere la stessa storia.

 

Il protagonista Billy Pilgrim è in perenne viaggio, ma in modo non ordinario, in un senso molto diverso da cosa si intende comunemente con il termine viaggio. A partire dall'abbracciare una fede religiosa che lo porterà in guerra, a ritrovarsi prigioniero di guerra a Dresda durante i bombardamenti degli alleati, dal venir riconosciuto malato di mente come reduce di guerra, a diventare un noto è ricco oculista con una famiglia che si "preoccupa" per lui, dal diventare amico di Kilgore Trout, a tenere conferenze come guida intellettuale del Paese perché ha capito alcune cose e le vuole condividere con il resto dell'umanità, fino alla morte. Così va la vita.

 

Amaro e divertente, non si può fare a meno di ridere e piangere perché ci si imbatte in sentimenti forti, seppure bislacchi e sghembi per come li intendiamo comunemente. Leggere il fumetto non è un surrogato del romanzo è solo una (possibile) rappresentazione, fedele nelle differenze, che trova spazio in un altro linguaggio. Un po' come gli abitanti del pianeta Tralfamadore hanno un'idea di tempo e di vita diversa da noi terrestri. La vita di Billy Pilgrim, tra un riavvolgi (reload), un manda avanti veloce (fast forward) ed un possibile ricomincia daccapo (rewind), prova a raccontarle entrambe.

 

Lo stadio di Wimbledon

Autore: Daniele Del Giudice

 

Giudizio: ***

 

Si può essere riconosciuto scrittore senza aver mai pubblicato nulla, ma solo per aver scritto tanto e detto altrettanto bene in vita.

 

Il protagonista inizia il viaggio alla ricerca di ciò che vuole trovare e, fatalità, il treno che lo trasporta ha un guasto. Succede a poca distanza dalla stazione, quando si dice la fortuna, ma quanto basta per rendere accidentato fin da subito il percorso che il protagonista vuole affrontare: ricostruire attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto la vicenda umana di Roberto Bazlen, scrittore defunto, ma per lui meritevole di memoria.

 

È Trieste la città dove si trova e dove tornerà diverse volte. È una libreria, quale altro posto sennò?, dalla quale parte ed alla quale ritorna per cercare di ricostruire i fili di questo personaggio che appare inafferrabile. Prima di spostarsi a Londra, in questa città parla con amici che rivelano aspetti prevedibili seppur sorprendenti: Bazlen era il più bravo di tutti, il più intelligente, meritevole di ben altro destino, ma proprio per questo non scrisse nulla perché quella scrittura non sarebbe stata all'altezza della sua bravura. Un destino ineguagliabile nel quale il suo stile è stato scrivere la vita degli altri in fitti carteggi privati.

 

Il protagonista si ritrova a percorrere le vie, i caffè, le piazze di Trieste sulle quali aleggiano Saba, Svevo, Montale e, per la sua ricerca, ricorre il nome di Ljuba Blumenthal indicata dai molti come colei che più potrebbe dire di e su Bazlen. Lei è ebrea, fuggita dall'Italia all'epoca delle leggi razziali, ora vive a Londra e precisamente a Wimbledon. Il protagonista la raggiunge ed ha due colloqui con lei che, anche se non portano a compimento la ricerca, aprono alla risposta di cosa possa significare scrivere e vivere che, forse, fin dall'inizio era l'obiettivo.

 

Elogio dell'idiozia

Autore: Rick Dufer

 

Giudizio: ***

 

L'idiozia è sfuggente anche se siamo indotti a non valutare questa sua scivolosità. Siamo spesso portati a pensarla come un monolite di facile identificazione (questa è pura idiozia, solo un idiota poteva fare quella cosa), ma ciò che è ancora più facile è identificare l'idiozia sempre esterna a noi. L'idiota è sempre l'altro, anche se a volte lo vediamo riflesso nello specchio.

 

Il mondo, la vita, sono colmi di idiozie e spesso sono quelle che diventano motore del mondo e della vita stessa, come conosciuti da noi oggi, anche se al primo impatto apparivano idiozie assolute. Detto altrimenti nel libro si evidenzia come l'uomo ha esplorato questo pianeta (in senso ampio e per ogni disciplina), spesso contro il comune buon senso, apparendo un vero idiota per i contemporanei. Eppure senza questa idiozia di partenza forse oggi non potremmo elencare tutto quello che con idee idiote abbiamo scoperto. Del resto qual è quell'idiota che, a rischio della propria vita, si imbarcherebbe sedendo su una "bomba" per essere sparato nell'inesplorato spazio ed arrivare sulla luna? Ci sarà certamente un idiota che affermerà che non può esistere idiozia più grande, da cui consegue che nessun uomo ha calpestato il suolo lunare. Il dibattito è aperto.

Da questo punto di vista l'autore gratifica il lettore con passaggi consolatori ed al tempo stesso lo annichilisce: quando scrive che il seme dell'idiozia alberga in tutti, includendo per primo sé stesso, intende proprio tutti e quindi anche il lettore che sta leggendo le pagine del libro. È consolatorio perché il lettore sta leggendo l'elogio di sé stesso, ma negli aspetti che più vorrebbe nascondere. Così va la vita (cit. Vonnegut).

Qualcuno potrebbe uscire dalla lettura del libro pensando "che idiozia ho fatto leggendo questo libro" e qualcun altro potrebbe pensare l'esatto opposto, eppure entrambi hanno una cosa che li accomuna: sono portatori del seme di idiozia che alberga in ognuno, ma che riconoscono solo nell'altro. Stupefacente.

 

L'autore rivendica il diritto ad essere idiota, ma non come l'inafferrabile modo d'esistere in antitesi all'intelligenza genericamente intesa, bensì come possibile ipotesi di intensificazione del pensiero e delle azioni che conducono alla genialità. Va inteso: non tutte le cose idiote diventano geniali. Se in Italia il codice della strada prevede di tenere la destra è idiota tenere la sinistra ed in questo non c'è nulla di geniale. L'idiozia è quindi una scintilla che può condurre alla fiamma della genialità solo se quella scintilla attecchisce su un materiale combustibile e controllabile che non diventi distruttivo. Detto con le parole dell'autore che la definisco "l'idiozia è ignoranza incolpevole in movimento".

 

Infine mi è parso molto interessante la parte conclusiva del testo nella quale vengono presentati tre "brillanti idioti", diventati autori di culto, che hanno costruito un universo letterario: Lovecraft, Dick, Tolkien. Ognuno con la propria prospettiva letteraria e seguendo una propria direzione hanno esplorato universi da loro immaginati e costruiti e dai quali, io per primo, in molti abbiamo attinto sollecitazioni, stimoli, piacere. È o non è un'idiozia? Io non mi sbilancio, ho la presunzione di essere troppo idiota per farlo.

 

Il metodo del dottor Fonseca

Autore: Andrea Vitali

 

Giudizio: ***

 

In un luogo di nessuno, accade ciò che nessuno potrebbe accettare, tranne l'uomo, il miglior predatore sulla faccia della terra.

 

Al protagonista viene assegnato, finalmente, un nuovo incarico operativo dopo mesi di "reclusione" alla scrivania a redigere e sistemare scartoffie. Motivo di tale pena un "eccesso di zelo", o tragica spavalderia, se così possiamo definire l'uso improprio dell'arma nel corso di una operazione.

 

Sta di fatto che questa repentina riabilitazione ha il sapore della beffa. Infatti è sì un caso di omicidio, ma apparentemente è già stato risolto dalle autorità locali di un luogo ameno che si trova sperduto lungo il confine. Sia come sia, questa notizia viene comunque accolta dal protagonista con il dovuto entusiasmo perché gli consentirà due "giorni d'aria" da quella maledetta scrivania.

 

Eppure, forse, le cose non stanno proprio come gliele ha presentate il suo capo. Forse il fiuto dell'investigatore che, nonostante l'evidente sciatteria professionale che alberga nel protagonista, gli fa notare alcune cose "strane" fino a pensare che il colpevole, non ancora arrestato, sia solo un capro espiatorio. Un capro espiatorio utile a coprire altro di cui però nulla si immagina. In questo ha un ruolo fondamentale la conoscenza dell'unico altro ospite dell'albergo del paesino che si trova lì per aver accompagnato il fratello in una rinomata clinica che ha sede vicino al paese.

 

Da questi elementi nasce una ricostruzione dei fatti sorprendente sotto molti punti di vista e decisamente inattesa di cui nulla si può dire. Buona lettura.

 

Il prigioniero dell'interno 7

Autore: Marco Presta

 

Giudizio: ***

 

Una pandemia che, nelle dinamiche alle quali ha costretto tutte le persone, dona una maggiore consapevolezza al prigioniero: non è solo come vorrebbe.

 

Il protagonista scrive pezzi satirici sulla realtà che sbircia da articoli e da titoli di giornali. Estrae ogni elemento, più o meno ridicolo, facendone satira di costume. Ride e noi, con lui, ridiamo di noi. Forse per questo è riluttante a far parte di un tutto più grande del suo tutto ma, costretto dai fatti, deve accorgersi della vita vera che accade come un fatto di cronaca nel suo condominio.

 

Scopre un gentile ed austero vicino di pianerottolo che perde la memoria e che deve aiutare perché letteralmente solo al mondo. Si accorge di una coppia in difficoltà perché il marito deve chiudere il bar per la pandemia, appena aperto, restando privi di reddito. È costretto ad interloquire con la vicina no vax che poi si scopre essere donna non così supponente come appare, tanto da sapersi prendere cura di chi ha bisogno. Viene coinvolto in gesti di altruismo imposto da un'altra vicina, tanto insistente quanto dolce, da indurlo ad un clamoroso qui pro quo. Capisce che la vicina del piano di sopra "affitta" il cane per dare un alibi a chi non avrebbe giustificazione per uscire di casa nel corso della pandemia ed anche lui, preso da sconforto, potrà ricorrere a questo espediente. Si affeziona alla comodità dell'acquisto e consegna a domicilio dei generi alimentari. Non e-commerce su scala industriale, ma rivitalizzazione di un rapporto tra consumatore ed esercente sulle basi dell'umanità che passa da un filo telefonico ed il titolare che ti porta a casa la spesa.

 

In tutto questo trova il tempo di litigare con un collega scrittore, dalla nomea altisonante, ma riuscendo poi a recuperare il litigio, che subisce e che non voleva, con un atto di devozione che fatica a spiegarsi.

Poi, inattesa, è costretto alla convivenza con la fidanzata che credeva persa. Lei si presenta a casa sua e lì si piazza, la donna dei suoi sogni per la quale il protagonista si chiede come possa avere scelto lui tra i tanti migliori di lui. Lei è sfuggente e difficile da "gestire" nelle dinamiche della convivenza, ma è il suo amore, oppure così appare.

Infine la madre, vive lontana in un'altra città e sta sola con una badante. La sente con regolarità pagando lo scotto del senso di colpa del figlio degenere che non si occupa adeguatamente del genitore. Anche della madre scoprirà cose inattese che alla fine, insieme a tutte le scoperte fatte nel corso della pandemia, arricchiranno la vita del protagonista che sarà, da quel momento in poi, lontana dalla vita precedente.

 

Divertente e leggero quanto basta da lasciarci lo spazio per pensare a tutte quelle cose che ci circondano ed alle quali non facciamo caso.

 

La ragazza con la Leica

Autrice: Helena Janeczek

 

Giudizio: ***

 

La ragazza con la macchina fotografica è una stella. Attorno a lei ruotano astri di una galassia audace e indomita, capace di gioia, amore, malinconia.

 

Gerda, protagonista per sempre nel ricordo di vite appassionate, muore giovane, bella ed amata. È la prima fotografa morta nel corso della guerra civile di Spagna. Gli amici le sopravvivono nel dolore e nel rimpianto di ciò che lei rappresentò per ognuno di loro. Gerda era la gioia di vivere determinata dalla libertà che sapeva prendersi, nonostante tutti e tutto. Gerda sapeva far ridere e disperare, dava il brio sincero ad una situazione altrimenti devastante: l'avvento del nazismo, le leggi razziali, la difesa della repubblica spagnola. Quella Gerda che era tedesca, ebrea e di sinistra.

 

Gli amici, ognuno dei quali a suo modo sapeva brillare di luce propria, restano legati a lei per quello che era stata e per quello che ognuno di loro aveva provato nei suoi confronti. Robert le insegnò ad usare la Leica. Furono felici come due compagni in lotta per la Repubblica spagnola. Ruth l'amica premurosa di una vita troppo breve. Con Gerda fuggirono dalla Germania per Parigi e fu compagna pronta ad affrontare le difficoltà alle quali la vita le sottopose. Willy l'amico fedele e non amato come lui avrebbe voluto. Georg il compagno impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali ed attraverso il quale sarà possibile il rocambolesco recupero di alcune foto.

Gerda è stata capace di deluderli e ferirli un po' tutti ma, a suo modo, di farsi perdonare ed amare per la sua gioia di vivere, nonostante tutto, per la ricerca di libertà che è tale solo se è di tutti e per tutti. Un inno al fare ciò che si ritiene sia più giusto, nonostante i rischi che ciò comporta e con Gerda ogni cosa appariva possibile e giusta.

 

La lentezza

Autore: Milan Kundera 

 

Giudizio: **** 

 

Il passato si affaccia sul presente in un castello riadattato per diventare albergo, con tanto di piscina, dove si intrecciano due storie amorose distanti tra loro due secoli tra Vincent e Julie e Madame de T. ed il Cavaliere.

 

L'amore, se così possiamo chiamare ciò che sarebbe più appropriato chiamare piacere, è il fondale sul quale viene tratteggiato il fatale incrocio dell'essere e dell'apparire in ogni aspetto della vita e non solo in amore. La sottile macchinazione di Madame de T. lascerà il Cavaliere senza amore, ma non senza una notte di passione. E la folle visione ed audace passione di Vincent lascerà lui e Julie altrettanto spogliati di ciò che, per un momento, hanno pensato potesse essere amore.

 

L'intreccio delle diverse storie introduce "maschere" tutte pronte a giocare un ruolo da protagonista se non indossassero il travestimento a loro concesso. Vincent, amico di Pontevin, vive di riflesso della saggezza e dell'arguzia dell'amico cercando invano di imitarlo, ma senza averne doti dialettiche e vocali. Julie, dimessa e posta in disparte sulla scena, vede in Vincent il suo possibile "salvatore" al quale si concede con tutto il corpo, più che con l'anima. Pontevin stesso può contare su una corte di amici che lo assecondano e lo riconoscono come loro mentore sagace e pronto ad indicare tutti i mali ed i vizi dei personaggi pubblici. Berck, uomo politico oggetto delle feroci critiche di Pontevin, più interessato al prestigio mediatico che a quello morale. Immacolata, ex amata da parte di Berck, che lo scaricò in gioventù e che ora lo vuole riconquistare a costo di distruggere il suo attuale compagno più che il loro rapporto. Il professore del quale nessuno sa né pronunciare né scrivere il nome, entomologo ceco emarginato dal regime comunista e costretto a vivere facendo il muratore, crede nel riscatto che gli offre l'occidente, ma si accorge che è solo opportunismo senza capirne il senso, come se fosse un marziano sceso sulla terra e si culla nella forza fisica che gli ha dato fare il muratore per vent'anni.

 

In questo gioco di maschere, a volte tragiche, a volte comiche, l'autore, per bocca di Pontevin, introduce la figura del "ballerino". Il "ballerino" cerca costantemente attenzioni e gratificazioni da un pubblico plaudente. E se per errore non le trovasse le insegue ossessivamente. Si pone sempre dalla "parte giusta", purché in favore di telecamera. Sfiderà il mondo intero, i suoi avversari, ma non assumerà nessuna responsabilità affinché quella "parte giusta" possa avere ragione perché lui si sarà già spostato sul palco. In fondo il "ballerino" si muove velocemente e con grazia all'interno di ciò che per lui altro non è che una finzione, funzionale al racconto di sé che vuole comporre.

In queste vicende il tema della lentezza sembra fuori luogo e parrebbe più appropriato il suo contrario. La velocità con la quale Berck passa dalla solidarietà ai malati di AIDS alla solidarietà ai bambini somali, la velocità con cui Vincent trova e disperde l'amore di Julie, la velocità con cui il professore ceco si rivela uno specchietto per le allodole del quale non si conosce e non si vuol sapere nulla di più che la sua presenza in sala. Queste "velocità" assumono tutte valori negativi facendo emergere come la lentezza sia la condizione migliore da ricercare.

 

Un titolo da leggere in negativo rispetto ai contenuti.

 

L'alba dei nuovi dèi. Da Platone ai Big data

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

Giudizio: ***

 

Potrebbe non essere un'apocalisse se... dietro questo "se" la ricostruzione di un percorso lungo millenni e la prese d'atto che potrebbe essere il momento di rimettersi in cammino.

 

La filosofia nasce in un momento di rottura nel quale l'uomo si libera dal "dio che parla nella sua testa" e si rende consapevole del proprio pensare, del proprio ragionare in autonomia. Gli eroi dell'antica Grecia sono uomini che agiscono su "suggerimento divino", la nascita della filosofia introduce l'elemento di rottura di questa "sensazione". Induce la consapevolezza che il pensiero è proprio dell'essere umano e non un suggerimento divino. Socrate ancora "sentiva un demone" che lo induceva a fare la cosa giusta, ma con Platone questa sensazione viene superata. Questo elemento di "rottura", insanabile, garantirà i progressi della Ragione e la fuga dagli dèi. A partire da Platone, per arrivare ai giorni nostri passando dall'illuminismo, viene costruita una scenografia di certezze provate, illustrate, approfondite, migliorate. Tutte le certezze che oggi noi ci portiamo appresso e che ora non ci paiono così evidenti.

 

I due autori mettono in parallelo la situazione in cui nasce la filosofia, così come l'abbiamo conosciuta per oltre due millenni, con l'attuale situazione nella quale si trova l'essere umano. Allora ci fu una crisi dovuta alla frattura tra gli dèi e l'umanità. Tale crisi fu affrontata, ma non sanata dalla filosofia. Ed oggi, carichi delle scoperte dovute al percorso della Ragione, ci troviamo in una società in crisi nella quale vengono meno le certezze che credevamo consolidate. Ora dobbiamo capire cosa vogliamo e cogliere dalle nuove condizioni che si sono create quegli elementi che potrebbero essere un'opportunità per evitare l'imminente apocalisse. Difficile, ma non impossibile purché si tenga presente il nuovo "ecosistema" in cui siamo collocati. Isolati, alienati, precarizzati, bombardati da informazioni che ci raggiungono in tempo reale sui nostri smartphone, ci sentiamo persi ed abbandonati nella tempesta. Abbiamo creduto di potere tutto ed ora abbiamo il riscontro tangibile di essere impotenti di fronte alla realtà da affrontare. Forse è giunto il momento di fare i conti con l'incertezza che sarà sempre presente perché non potremo avere tutto sotto controllo anche se, creando le "opportune reti di salvataggio", potremmo ragionevolmente affrontare il futuro con maggiore fiducia. I nodi delle reti non sono solo discipline interlacciate, ma sono esseri umani in grado di affrontare insieme gli inevitabili rischi.

 

Spinoza e popcorn

Autore: Rick DuFer

 

Giudizio: ***

 

Una "spensierata" passeggiata tra filosofia, serie televisive e realtà. Quest'ultima indagata dalla prima e utilizzata dalle seconde per raccontare "storie che non sono la realtà", ma che si agganciano al pensiero filosofico. Roba da passeggiate tutt'altro che "spensierate": oddio!, la filosofia anche quando non voglio pensare! Maledetta!

 

Ho conosciuto questo autore in modo casuale, cercando online le ragioni (inesistenti) per cui la cultura russa è stata messa al bando come "effetto collaterale" della guerra di invasione che la Russia ha scatenato nei confronti dell'Ucraina (come se avessimo smesso di leggere e studiare Goethe, Schopenhauer, Hesse, Brecht, pochi tra i molti altri, per colpa dell'Olocausto) ed ho scoperto un autore curioso.

Per pari curiosità ho letto questo libro che analizza quanto l'influenza di grandi filosofi abbia riscontri nelle sceneggiature delle moderne serie televisive. La filosofia, che nel luogo comune esiste solo in trattati ostici e spesso imperscrutabili per i non addetti ai lavori, qui viene presentata come parte fondante di serie televisive che guardiamo per diletto o per svago e che concedono per qualche ora di sganciarci dalla realtà spesso grigia, certamente difficoltosa ed ansiogena.

 

Il titolo stesso dà il senso della misura irriverente e consapevole di ciò che si trova nel libro: quanto di più sacro alla cultura, il filosofo per eccellenza, unito alla pratica più disimpegnata dell'intrattenimento accompagnato dai popcorn. L'autore però ci mette in guardia fin dalle premesse: questo libro non è il "manuale" adatto per studiare la filosofia. Per fare questo si devono leggere i testi dei filosofi. Semmai nel libro si troveranno spunti di riflessione curiosi e sorprendenti che potrebbero spingere ad approfondimenti illuminanti. E se mai qualcuno per "colpa" di questi approfondimenti diventasse un "filosofo", potrà scrivere nelle sue note biografiche che si è appassionato alla filosofia perché, in un libro assai divertente, lesse delle implicazioni filosofiche presenti nelle sue serie TV preferite.

 

Il quartetto Razumovsky

Autore: Paolo Maurensig

 

Giudizio: ***

 

La memoria, il timore di perderla e non poter dare la propria versione dei fatti. Tra questi un grande segreto, anzi due grandi segreti, l'uno inopportuno all'altro, l'altro inopportuno a dirsi al mondo. Quale l'uno, quale l'altro, poco importa.

 

Il narratore racconta in prima persona la propria vita, ora che è vecchio e prossimo alla morte, ma più prossimo di quanto potrebbe essere naturale per un vecchio come lui. Narra del personale orgoglio di aver fatto parte del quartetto Razumovsky. Erano giovani, erano i più bravi, erano i più apprezzati. Poi la guerra e la fine di tutto, la fine del sogno di gloria eterna. Quindi la necessità di fuggire dalla Germania distrutta e ricostruire una vita nuova negli Stati Uniti. Nuova, ma non per tutto: i segreti che nasconde lo accompagneranno in ogni cittadina nella quale andrà ad abitare libero seppure fuggiasco a sé stesso ed al mondo intero.

 

In questo girovagare senza voler mettere radici, per caso, incontra un componente del quartetto che lo porta ad incontrarne un altro ancora, il leader del gruppo. Riprendono a suonare e riprendono a sognare. Il timore che i grandi segreti vengano scoperti, perché entrambi legati al quartetto, aleggia in modo persistente eppure suonare sublima tutto.

È impossibile ricomporre il quartetto originale perché la quarta componente, anch'essa approdata negli USA, è affetta da un male degenerativo e non può suonare, non può parlare ed il vecchio protagonista spera che non possa nemmeno ricordare. Questo è un bene per i suoi segreti indicibili ed il quarto componente viene ricoperto da una ragazzina americana che poi avrà una brillante carriera come solista. Tutto scorre fino alle prove generali prima dello spettacolo che, per scelta del leader, sarà anche quello finale. Tutto giunge a compimento e la vicenda prende un'accelerazione tale che costringe il vecchio a ricordare.

 

Auto da fé

Autore: Elias Canetti

 

Giudizio: ***

 

La realtà può essere comica, grottesca, crudele, meschina e in nessun caso può essere interpretata da un essere solo ed incapace di vederla per quello che è e non per quello che vorrebbe fosse.

 

Kien, sinologo di fama internazionale, vive in un appartamento nel quale custodisce migliaia di testi preziosissimi che ha letto e studiato. Li padroneggia e li ama come null'altro al mondo, sono la sua vita e la sua fede. Non crede nell'umanità, a partire dai colleghi professori, e diffida del mondo non curandosi delle necessità della vita. Quando esce dal suo mondo, i libri, trova il mondo reale nel quale è sperso, fuori luogo, goffo, grottesco. È cosciente della sua grande statura intellettuale che ostenta e non riesce a conciliarsi con la vita reale che per lui è solo leggere e studiare, null'altro. Lui è destinato a questo e non sa e non vuole occuparsi delle miserie umane come cucinare e tenere casa in ordine.

Per queste inutili piccolezze c'è Therese, la governante. I due sono quanto di più lontano si possa immaginare: se l'uno cita Confucio, l'altra parla dei prezzi al mercato e delle sue innate virtù domestiche e morali. Nonostante questa lontananza i due si sposano: l'uno per essere sgravato definitivamente da tutto ciò che non è la lettura, l'altra per un malinteso miglioramento della condizione sociale. Un matrimonio grottesco che trova ragione nella comunione di intenti che rafforzano l'esclusione del mondo al quale appartiene il congiunto.

Le loro vite si attorcigliano in un crescendo di tensione tra i due ai quali si affiancano altri grotteschi personaggi come il portiere, ex poliziotto in pensione, figure dei bassifondi di Vienna che Kien frequenta una volta cacciato da casa ed infine il fratello di Kien che potrebbe portare equilibrio, ma vi riesce solo in modo apparente separando ciò che era stato unito in modo forzoso e maldestro. Il finale sarà sfavillante, luminoso, caldo, inevitabile.

 

Per me una lettura ostica, colma di situazioni surreali alle quali puoi dare credito solo se volti pagina scoprendo che quanto raccontato nella pagina precedente è necessario preambolo di una situazione ancora più grottesca. Viene rappresentata la fotografia di una società colma di individualità che interpretano il vicino come un antagonista e scelgono, e cambiano, le alleanze in funzione di un beneficio personale immediato. Su tutto aleggia la superbia dei personaggi ognuno dei quali mette sé stesso su un piedistallo: Kien il più grande sinologo mondiale, Therese la cui statura morale è inarrivabile, l'irreprensibile Pfaff, ora portiere, ma ex poliziotto integerrimo, Fischerle il più grande scacchista del mondo temuto dal campione mondiale Capablanca, lo stesso fratello di Kien preso dalla sua missione di psichiatra che ottiene riconoscimenti ed apprezzamenti da colleghi e pazienti. Tutti capaci di vedere solo in sé stessi una reale consistenza e contribuendo a creare un insieme di egoismi ed opportunismi collettivi.

 

Solaris

Autore: Stanislaw Lem

 

Giudizio: ****

 

In questo libro non si narra solo di un'esplorazione spaziale, ma si descrive anche la più ostica e travolgente esplorazione dell'anima, se così possiamo chiamare tutto ciò che sono i sentimenti, i ricordi, le relazioni con altre entità intelligenti raccolti come esperienze di un essere umano.

 

Solaris è un pianeta che gravita intorno a due stelle, particolarità che lo rende interessante per gli scienziati. Il pianeta è ricoperto da un oceano gelatinoso che pare sia il reale artefice della possibilità, che nega le leggi della fisica terrestre, di gravitare intorno a due stelle. Partendo da queste basi viene addirittura creata una disciplina, chiamata Solaristica, che è impegnata ad indagare questo strano pianeta. Dagli studi pionieristici emerge che l'oceano potrebbe essere qualcosa di più e di diverso rispetto all'iniziale ipotesi di soggetto fisico che regola le dinamiche gravitazionali. Alcuni scienziati valutano che l'oceano sia un vero e proprio essere pensante, dotato di intelligenza propria, ovvero che sia un essere vivente, l'unico abitante del pianeta secondo il metro umano.

L'attività dell'oceano si manifesta in modo mastodontico ed incomprensibile. Genera complicate e gigantesche strutture che persistono per un certo periodo e poi si sciolgono. Gli scienziati hanno catalogato tali manifestazioni della natura Solaristica e le hanno esplorate dando loro nomi stranissimi. Queste esplorazioni purtroppo costano la vita a diversi scienziati e piloti anche se il protagonista, Kris, intravede negli incidenti una strana avventatezza degli esploratori più che una reale intenzione dell'oceano di "difendersi". L'oceano pare ritrarsi per accogliere, per lasciar vedere fin dove è possibile. È l'uomo che si trova davanti all'inatteso e non riesce a gestire la novità.

 

Kris è uno psicologo e viene comandato a raggiungere tre colleghi scienziati sulla base del pianeta sospesa a diversi chilometri dall'oceano. Al suo arrivo viene accolto da un collega, Snaut, che parla in modo illogico quasi a voler nascondere qualcosa ed al tempo stesso voler mettere in guardia il nuovo arrivato. L'evoluzione dei primi accadimenti sul pianeta porteranno il protagonista ad incontri strazianti e dolci, inspiegabili e reali. Sarà l'inatteso che dovrà gestire.

 

Il libro è intriso della volontà dell'uomo di estendere le proprie conoscenze, ma mostra come questo avvenga per "conquista" e non per "collaborazione". Allo stesso tempo l'autore descrive la frustrazione indotta dall'impossibilità di comunicare, ovvero l'impossibilità di comunicare attraverso i canoni scelti dall'umano. Ma soprattutto l'uomo è pervaso dal terrore che il pianeta sappia ascoltarlo, conosca i suoi segreti più reconditi, ma non riesca a comprenderli. Un'entità che sa cosa pensi eppure non ti comprende è un ostacolo che per l'umano è insormontabile perché non pone al centro l'antropocentrismo che caratterizza l'umano da sempre. Seppur grandioso e mastodontico ciò che l'uomo esplora può essere catalogato, ma non accettato, forse perché l'oceano non è un essere vivente come l'uomo lo immagina, ma una moltitudine che lo osserva e che non lo sa capire. Questo schianta filosofia, scienza e cultura di una specie intera, quella che l'esploratore ritiene l'unica possibile.

 

Roger Federer è esistito davvero

Autore: Emanuele Atturo

 

Giudizio: ****

 

Questo è un volo sulla carriera di un grandissimo campione del tennis contemporaneo. Decolla dall'ultima finale di Wimbledon ad oggi, ma dubito ve ne possano essere altre, persa contro Djokovic e senza riuscire a concretizzare due match-point a suo favore. L'autore parte da qui e, per sintetizzare all'estremo, definisce Federer come il più bel giocatore di tennis anche se non il più forte capace di vincere i punti importanti.

 

La carriera di Federer muta nel tempo. Da ragazzo irascibile e propenso a rompere racchette, diventa giocatore apparentemente glaciale e "chirurgico" nel superare l'avversario, per approdare poi alla scoperta di essere più fragile di quanto appare quando si trova di fronte in particolare a due colleghi. La classe cristallina di Federer, inizialmente, non viene identificata da tutti come tale, a partire da campioni come Agassi. Nella testa di Federer, per ogni colpo, ci sono talmente tante opzioni disponibili solo a lui che paradossalmente non lo rendono più "forte", ma lo rendono più "debole". Però la sua maturazione interiore lo porta a trovare un equilibrio che gli consente di dominare incontrastato per qualche stagione il circuito tennistico. Apparentemente senza sforzo, lui è in grado di fare cose che per gli altri non sono nemmeno immaginabili. David Foster Wallace inventa il "momento Federer", quella magia che lo porta alla conquista di un punto che va contro ogni legge di fisica e di logica. Il suo tennis non è "utilitaristico", ma è il più bel tennis che si sia visto negli ultimi decenni, sicuramente da quando gli attrezzi di gioco si sono evoluti da racchette di legno a strumenti maggiorati e costruiti con materiali più vicini all'ingegneria aerospaziale che all'artigianato della zattera.

 

La seconda fase della sua carriera è quindi sontuosa ed inarrivabile. Gli avversari di quel periodo sono sgominati uno dopo l'altro, sembra che non ci sia per nessuno di loro una concreta possibilità di impensierire il Re.

Eppure all'orizzonte si manifesta un avversario irriducibile, colui che si mostrerà spina nel fianco da quel momento: Nadal che arriva anche a sconfiggerlo a Wimbledon. Poi arriverà Djokovic e, seppure in tono minore, Murray che però sarà in grado di negare a Federer l'oro olimpico alle olimpiadi di Londra 2012 nel giardino preferito di Federer, Wimbledon.

 

Pur non essendo più il numero uno incontrastato, Federer riesce a rimanere al vertice con il suo gioco fatto di estro, destrezza e longevità. Un gioco che, visti i modelli tennistici dei suoi avversari, appare contro intuitivo tanto da far pensare che Federer non possa essere esistito, mentre è stata una splendida apparizione che ha ridato lustro ai cosiddetti "gesti bianchi". Mi sento di sottoscrivere il pensiero dell'autore: se non si può dire che Federer è il più forte di tutti i tempi, però si può dire che è quello che ci ha mostrato il tennis più bello.

 

E ti vengo a cercare

Autore: Andrea Scanzi

 

Giudizio: ***

 

Non chiamatelo maestro, è termine che riteneva improprio e che lo infastidiva, però potete ascoltarlo e godere di tutto ciò che ha prodotto.

 

Questo libretto non racconta nulla di nuovo per gli esegeti dell'opera di Battiato. Però rappresenta, in modo accessibile e senza troppi orpelli filosofici e filologici, l'evoluzione artistica (ed umana) di colui che non voleva essere chiamato maestro. Siamo in presenza di una apologia dichiarata, esplicita, all'interno della quale l'autore si ritrova spesso a scrivere la locuzione "uno delle cose migliori mai scritte" dichiarando al contempo che questa è frase troppo inflazionata per non incorrere nel rischio di depotenziare l'intrinseco valore che vuole enfatizzare. Però, al netto di questa propensione che ogni sincero ammiratore mostra nei confronti della persona che ammira, chi non conosce Battiato, o lo conosce solo per sentito dire, credo possa trovare in questo libro una buona via per approfondire.

 

Il talento (genio?... ma forse non gli sarebbe piaciuto) di Battiato gli ha consentito di esplorare i canoni della musica dal pop alla classica, dalla sperimentale alla melodica, senza negarsi cinema e pittura. Ogni suo estimatore può apprezzare solo piccoli spicchi della sua opera e negare la bontà del resto. Succede a tutte le persone di grande talento che possono spaziare senza essere capite fino in fondo.

Io non conosco la fase sperimentale di Battiato e non sento il bisogno di conoscerla perché mi apparirebbe incomprensibile, non sarei in grado di apprezzarla o disprezzarla. Al contrario sono ancorato al periodo più popolare, per certi versi altrettanto incomprensibile nei testi, quello nel quale la radio mi faceva sentire brani come "L'era del cinghiale bianco", "Up patriots to arm", "Prospettiva Nevski", "Bandiera bianca", "Cuccuruccuccù", "Centro di gravità permanente", "Scalo a Grado", "Voglio vederti danzare", "La stagione dell'amore", "E ti vengo a cercare", "Povera patria", "La cura", "Shock in my town". Io ascoltavo rapito e gasato, succube ed appassionato. Parole leggere, apparentemente casuali ed imperscrutabili, su un tappeto musicale che mi entrava in profondità nella testa. La profondità raggiunta per effetto della leggerezza.

Per il resto non so, e forse nemmeno mi interessa, perché a me questo è bastato.

 

Aneddoto personale:

Nell'agosto del 1982, dodicenne, stavo aiutando i miei a ritinteggiare l'appartamento. La radio era accesa e partì "Bandiera bianca". Ricordo ancora il mio pensiero: quanto dovevo sentirmi fortunato per vivere nel periodo in cui l'Italia era campione del mondo di calcio e la radio trasmetteva canzoni così belle come quelle di Battiato.

 

Sembrava bellezza

Autrice: Teresa Ciabatti

 

Giudizio: ***

 

Tutto ciò che leggerete in questo libro è (para)verità. La para era quella particolare gomma, di superficie irregolare e granulosa, di color marroncino chiaro, che veniva utilizzata nei sandali di colore blu "con gli occhi" e, negli anni '70, tutti i ragazzini erano convinti che con quelle calzature si potesse correre più velocemente. Era una (para)verità, ma tutti ne erano convinti.

 

La scrittrice e la protagonista del libro sono la stessa persona. Nessuna finzione, nessun inganno, lo scrive la scrittrice stessa, nonché protagonista. Questa, ora, è una donna famosa, intervistata, ricercata in televisione grazie alle sue grandi capacità, la migliore scrittrice italiana. In questa vita di apparente soddisfazione personale porta in sé un senso di colpa, nascosto per prima a lei stessa ed anche ai diversi analisti che l'hanno avuta in terapia. Una vita che si potrebbe definire travagliata: separata, eppure ancora si riferisce al marito come il marito che pure l'ha lasciata per un'altra donna, una figlia, Anita, con la quale ha un rapporto estremamente conflittuale, completamente rifiutata dalla ragazza che la ritiene responsabile della fine del matrimonio dei genitori, forse perché sa dei tradimenti coniugali della protagonista, iniziati il giorno prima del matrimonio. Tradimenti occasionali, così li chiama la scrittrice.

 

La fama raggiunta la riporta in contatto con la migliore amica dell'adolescenza, Federica, sorella minore della ragazza più bella della scuola, Livia, a sua volta fidanzata del ragazzo più bello della scuola, Massimo. Un quadretto perfetto se non fosse che la scrittrice in questo quadretto non si inserisce. Emarginata perché è la provinciale arrivata nella grande città a "cercare la ruota", figlia di una madre della quale si vergogna, chiaramente sovrappeso ed imperfetta, asimmetrica, si riferiscono a lei come la cicciona che è uscita con Federica e non la invitano alle feste. Ora la scrittrice viene contattata da Federica che le racconta di come ha seguito da lontano la sua brillante carriera, di come ha tenuto i ritagli dei giornali come una ammiratrice.

 

Inizialmente la protagonista è più disturbata che lusingata, non vuole entrare in questo vortice di ricordi che per lei potrebbero essere dolorosi. Poi accetta, forse per rivalsa perché adesso è lei quella famosa, e si rituffa nella sua adolescenza. Con Federica scavano nel loro passato e si confidano le rispettive e successive vite, si raccontando reciprocamente tutti gli errori, tutte le frustrazioni e tutte le difficoltà. La scrittrice vive questa intimità come un tuffo nell'adolescenza che in fondo non ha mai abbandonato perché non si è mai sentita adulta, nemmeno quando è diventata madre. 

E rivede anche Livia, immutata, letteralmente immutata, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di visto comportamentale: lei è ferma ai suoi 18 anni. Questa constatazione ed il racconto che le fa Federica dell'evento oscuro del passato, nel quale anche la scrittrice è coinvolta, fa salire in quest'ultima il senso di colpa del non fatto quando avrebbe potuto fare. Quel senso di rivalsa iniziale non viene meno, anzi viene acuito, ora la scrittrice può dimostrare di essere lei la benefattrice. 

È un continuo ribaltamento del ruolo per la protagonista che al contempo si vede nel giusto e nello sbagliato, sarà poi vero che lei è davvero quello che si sente, migliore? Incontra Massimo e fatica a riconoscerlo. Era il ragazzo più bello della scuola, anche lei se n'era innamorata, ma non veniva degnata di uno sguardo. Ora è invecchiato, ingrassato di trenta chili, con la barba. Eppure la protagonista sceglie di avere un rapporto occasionale anche con Massimo, quel ragazzo che le faceva battere il cuore. Così tradisce Livia, ed anche Federica, nonostante Massimo e Livia si siano lasciati in quei fatali 18 anni e per trent'anni non si siano più visti. Dove sta la bontà e dove la cattiveria?

 

Il 28 maggio però tutto avrà una fine, inaspettata, sembrava bellezza.

 

Un uomo felice

Autore: Arto Paasilinna

 

Giudizio: ***

 

Nella connaturata propensione all'infelicità umana (ricordate la "natura matrigna"?) in questo libro si narra la vicenda di un uomo che affronta tutto ciò che trova davanti a sé per giungere ad essere felice. E, pur raggiungendo questo stato agognato da chiunque, ogni azione che mette in atto non ha di per sé l'obiettivo della felicità, ma risponde al suo essere, ovvero non essere un uomo qualunque. Cocciutamente agonista, egocentrico seppur con oculata parsimonia, propenso a percorrere la via del giusto, docilmente attratto dal piacere, è la sfida che lo rende felice.

 

L'uomo felice si chiama Jaatinen ed è un ingegnere giunto in un piccolo paese per rifare il ponte sul fiume Eccidio, il luogo della storia locale, adeguatamente rimodellata dalla classe dirigente dalla comunità del posto. In questo contesto il protagonista si caratterizza nello spazio di pochissimi giorni per la sua straordinaria non conformità al luogo trovando negli operai del posto i più convinti sostenitori e nei notabili del paese i più convinti detrattori. Il personale agonismo ed irrequietezza gli impedisce di sottostare a ciò che ritiene ingiusto, per sé o per altri, e porta lo scontro ad un costante crescendo. L'ingegnere affronta uno ad uno tutti i detrattori che cercano di ostacolarlo. Non è una "sfida alla O.K. Corral" (anche se qualche colpo viene esploso), è una sfida al riconoscimento della propria libertà di azione e di scelta.

 

A ben vedere il comportamento di Jaatinen non è sempre limpido, ci sono passaggi controversi dettati dall'ingegno e dalla spregiudicatezza necessaria nella condizione dell'"uno contro tutti". Va pur detto che alla fine di ogni scontro anche gli sconfitti trovano una loro pace che può essere interpretata come la loro felicità. Si può quindi dire che il titolo è riduttivo perché, tutti i giocatori e tutte le giocatrici, traggono un beneficio personale e collettivo che li conduce verso la felicità.

 

L'uomo del titolo è forse una metafora della comunità intera. Infatti all'inizio della storia la comunità è apparentemente felice, seppur con qualche afflizione, ma alla fine della storia lo è maggiormente: quanto potrà durare questa ulteriore apparenza? È il protagonista stesso che, raggiunta una felicità letteralmente fuori dal comune, si interroga sul fatto che sia possibile un'altra felicità, diversa, più ampia ed esterna a quella che lui stesso dichiara di vivere. Si interroga se questa sfida per una nuova felicità accresciuta sarebbe davvero maggiore felicità, sminuendo quindi quella attuale. La risposta sta nell'età e nel fatto che, se prima la felicità è stata nella sfida, oggi la felicità sta in altro. Ogni età ha una sua felicità, l'importante è coglierla per ciò che è e non per ciò che potrebbe essere e forse, per questo, Jaatinen è un uomo felice.

Il lettore sul lettino

Autore: Guido Vitiello

 

Giudizio: ***

 

Chi più, chi meno, siamo tutti lettori, eppure in questo libro non si scrive di tutti, ma si scrive solo di quella cerchia (ristretta?) di "condannati all'essere lettori". Per molti questo "status", essere lettore, è la grazia, la gioia che sfocia nel quotidiano piacere della lettura, ma che si trascina appresso annessi e connessi. Chi avrà la curiosità di leggere questo libricino potrà ritrovarsi "dotato" di questi accessori e della "pena" a cui conducono. Riderne o piangerne è una libera scelta come decidere di leggere l'uno o l'altro libro appoggiato sul comodino. Lo scrittore si espone apertamente creando quell'empatia inarrestabile che sgorga dal pensiero "lo faccio anche io", oppure "succede anche a me". Quando scatta questa scintilla ideale non si può che diventare buoni compagni di viaggio anche se, come scrive l'autore, massimamente seduti sul divano o sdraiati sul letto. 

 

Il percorso proposto al lettore ha un ricco corredo di ossessioni ed ansie tipiche dei cosiddetti "lettori forti" e che spesso non hanno nulla a che vedere con la lettura in sé. Succede infatti che uno dei tabù che il lettore deve affrontare è l'azione di prestare un libro. Il più delle volte tale gesto, che è un semplice invito alla condivisione della lettura, si traduce nella tragedia dello smarrimento del libro che non verrà mai restituito. Tragedia alla quale persone di "buon senso" non possono esporsi ed un possibile stratagemma per non subire questo sacrificio è occultare la propria biblioteca (per i più facoltosi) o libreria per evitare la fatidica domanda: "me lo presti?".

Seppure di senso diverso le stesse ansie possono risiedere nei libri regalati. In questo caso non è la mancata restituzione o, nell'ipotesi non necessariamente migliore, le pessime condizioni nelle quali viene restituito il volume, perché il libro regalato non è mai solo un oggetto. In realtà è un soggetto dotato di anima e vita propria in grado di "spostarsi", di "offendersi" e di "filiare". Donare soggetti in grado di "autodeterminarsi" è una responsabilità immane soprattutto se il libro non si dimostra all'altezza del compito perché mediocre o insignificante per colui che lo ha ricevuto in dono. E che dire se non venisse nemmeno letto?

 

Non possiamo però prescindere dalla "corsa all'accaparramento" tipica dei momenti di crisi. Il lettore forte è avvolto da una crisi perenne per cui entra in libreria per acquistare un volume e ne esce con tre!, quattro!, dieci! Questo comportamento ossessivo compulsivo trova una parziale risposta nella "necessità" di leggere tutto. Operazione aritmeticamente impossibile, ma che davanti agli scaffali, davanti alla bancherella viene oscurata. Ed il lettore forte si ritrova il "classico" comodino sommerso di libri dei quali, al primo trasloco o spostamento, non ricorderà nemmeno l'acquisto.

Questa ossessione per il "tendere ideale a leggere tutto", anche nell'impossibilità letterale di poterlo fare, ha l'altra faccia della medaglia nel dichiarare come letti libri mai letti perché ci sono classici che "non puoi non aver letto".

 

Per non parlare dell'approccio alla "manipolazione" del volume. C'è chi lo legge allargando all'inverosimile l'apertura possibile tra le pagine e chi invece scosta le pagine con tale cautela ed attenzione che alla fine della lettura il libro sembra non essere stato nemmeno sfogliato. Poi ci sono quelli che fanno le orecchie alle pagine, scrivono note a margine, a matita o a penna, sottolineano anche con evidenziatori. Questi comportamenti sono tutti autoescludenti, se fai parte della "tribù" che sottolinea solo a matita rifuggirai il sottolineatore con penna o peggio con evidenziatore. Se scosterai le pagine con cautela non potrai mai solidarizzare con chi squarcia la rilegatura o fa le orecchie alle pagine. Eppure tutti leggono apprezzano, o disprezzano, lo stesso libro. È un modo diverso per affrontare la "vita della lettura", chi è più passionale, chi è più riservato e non ce n'è uno più giusto dell'altro.

 

Ed a proposito della vita ci sono interessanti passaggi sul concetto del vivere. È d'uso comune, peraltro supportato dal pensiero di grandi intellettuali, esortare alla lettura perché solo con questa potrai garantirti centinaia, migliaia (ma solo per i lettori fortissimi) di vite. Al contempo altri intellettuali e scrittori metabolizzano il fatto di aver letto troppo e di sentire la necessità di "gettarsi nella vita vera" e non restare rinchiusi nella vita romanzesca, finta per definizione. A queste due posizioni, ovviamente contrapposte, si contrappone la realtà dei fatti: se è vero che la vita romanzesca non è la vita vera, è pur vero che la vita vera non è dato sapere cosa sia precisamente, che fare la coda in posta o al supermercato, non ti rende più "vissuto" che aver letto un romanzo cavalleresco, seppure ora sai che la vita è colma di code e di attese, mentre forse può renderti più "vissuto" avere un travolgente amore o prendersi cura di chi ti sta accanto. Per certo non si è vissuto di più se si pubblica su un social media che si sta leggendo il tal libro, o si sta mangiando in tal posto, o si sta vedendo il tal film, o si ha mal di testa per un colpo dato allo scaffale mentre si recuperavano le attrezzature per un'escursione in Kenia. La vita è dove sei, qualunque cosa tu faccia, per questo io sono della scuola del "leggi tanto", ma non trascurare quello che fai quando non hai un libro aperto in mano perché la vita vera è questa, non trascurare.

 

Infine, ma il libro non finisce qui e non finisce così, si scrive dei lettori monogami e poligami. Il parallelismo amoroso può apparire improprio, ma solo se si prescinde dalla anima e vita propria che un libro possiede. Per questo ci sono lettori che non si sentono di "tradire" il volume in corso di lettura con altri testi, mentre altri lettori rinnovano quotidianamente l'esperienza di lettura facendo avanzare i progressi di più libri parallelamente. Ne scrivo ora, in conclusione, perché la lettura è amore, cultura, fantasia, passione ed ognuno sceglie di viverla come meglio crede. Del resto amare, o non amare, la lettura non deve diventare uno stigma, ognuno proceda per quanto può, per quanto riesce, per quanto vuole a prescindere dalla "tribù" alla quale appartiene, o meglio nella quale viene catalogato.

 

Note personali:

Io sono uno di quei lettori che non riesce a scrivere, sottolineare, fare le orecchie alle pagine dei libri.

Non ho letto Don Chisciotte e Madame Bovary, ma nemmeno L'Idiota, I fratelli Karamazov, Guerra e pace, L'uomo senza qualità, Sulla strada, Furore, Uomini e topi, Moby Dick, Le affinità elettive, Senilità, It, Il signore degli anelli, Il ritratto di Dorian Gray e tanti altri. Ad occhio e croce, in vita mia, ho letto non più di 400 libri, una miseria rispetto allo scibile umano, ma per me comunque una goduria, nonostante qualche delusione (per fortuna poche).

Tendo a leggere un libro per volta. La prima eccezione l'ho prodotta nel corso della lettura di Infinite Jest: nelle due estati (corrispondenti a sei settimane di villeggiatura) nelle quali ho terminato il libro, ho inframezzato con altri libri. Ad essa sono seguite poche altre letture poligame.

Ho abbandonato la lettura di tre libri: Sulla strada, L'isola del giorno prima (anche se di Eco ho amato Il nome della Rosa, ma soprattutto il pendolo di Foucault), Il signore degli anelli (anche se di Tolkien mi sono divorato Lo hobbit e faticosamente conquistato Il Silmarillion, quest'ultimo per me lettura assai difficile).

Su tutti ho un autore dal quale non sono mai stato tradito o deluso: Kurt Vonnegut. Escludendo i lavori di questo straordinario scrittore provo un sincero amore nei confronti de I ragazzi della via Pal (l'unico libro che mi è stato letto da bambino, ho riletto da bambino scolarizzato, ho riletto da ragazzo, ho riletto da adulto), Il giro del mondo in 80 giorni, Se questo è un uomo, Addio alle armi, Metello. Tanti altri libri mi hanno tenuti aperti gli occhi, ma tanti altri li ho dimenticati, non per colpa loro, ma per colpa del mio essere finito, limitato, parziale. Così va la vita (scrive Kurt Vonnegut in Mattatoio n. 5, o la crociata dei bambini)

 

Il Mago di Riga

Autore: Giorgio Fontana

 

Giudizio: ****


La storia di una vita geniale e malandata rievocata in presa diretta nel corso dell'ultima partita di scacchi.

Miša, il protagonista, è il genio precoce e fuori dai ranghi. È completamente privo di quella disciplina con la quale la scuola di scacchi sovietica ha forgiato i suoi campioni. Ne è privo non solo quando si trova di fronte alla scacchiera, ma anche nella vita vissuta. Uomo gentile, capace di grande attenzione e cura nei confronti delle persone che gli stanno accanto, quanto distaccato e distratto, pronto a sacrificare tutto per uno sviluppo imponderabile. Purché ci siano gli scacchi lui farà correre i singoli pezzi nel modo migliore su ognuna delle 64 caselle.

Gli scacchi sono letteralmente la sua ragione di vita. È capace di accettare di giocare una partita in un bar con un suo ammiratore sconosciuto che sarebbe disposto anche a pagare per avere l'onore di quella partita. Questo non è necessario perché è la gioia di poter giocare a scacchi che ripaga Miša e gioca ben volentieri con lo sconosciuto. Nel corso di una partita simultanea con una ventina di dilettanti, solo una ragazzina riesce a fare patta, ma mentre questo risultato si concretizza lei si accorge di non aver annotato le mosse della partita e scoppia in lacrime. Miša con carta e penna ricostruisce la partita insieme alla ragazza e, facendole un sorriso, le lascia l'autografo sul foglio appena redatto augurandole ogni bene.

Sulla tavola da scacchi è irruente, coraggioso, addirittura avventato. È disponibile a sacrificare ogni pezzo per quello che ha in mente per il suo gioco. Nulla è intoccabile ed impensabile, sulla scacchiera può accadere tutto perché non è mero calcolo, ma è intuito ed audacia. La maggioranza dei colleghi non la pensano come lui, ma lo temono perché sanno che da lui si possono aspettare di tutto. Si sparge addirittura voce che sia in grado di ipnotizzare gli avversari. Una sciocchezza che contribuisce a costruire il mito del più giovane campione del mondo, fino a quel momento.

Nella vita vissuta nulla è diverso. Miša è disponibile a sacrificare affetti, amicizie e pure la sua salute per continuare a giocare come vuole lui. In lui non c'è mai calcolo. Una stella talmente brillante che si brucerà rapidamente e che nell'ultima partita rincorrerà i ricordi senza avere rimpianti. Proverà ancora, e per l'ultima volta, quella sensazione per cui solo la vittoria, e nulla di meno, è possibile. Andava fatto quello che si doveva fare e lui lo sapeva fare meglio di tutti gli altri, senza superbia, con grande rispetto per tutti, anche se il costo sarà il sacrificio estremo.

 

Seneca tra gli zombie. Guida filosofica di sopravvivenza al caos

Autore: Rick Dufer

 

Giudizio: ***


Già nel titolo, e nel sottotitolo, troviamo i presupposti essenziali per la librificazione del testo: il caos, i morti viventi, una (possibile) guida per. Tanto che il buon Seneca potrebbe apparire addirittura ridondante se non fosse che, io credo, Seneca sia solo l'innesco, quella "cosa dalla quale nasce cosa" e che non è mai semplice, o semplificante, o, appunto, orpello inutile ed eccessivo. Che se poi conoscessi Seneca potrei valutare le cose altrimenti, ma questa è una storia che non posso raccontare perché non conosco Seneca.

La cosa che più mi ha intrigato di questo libro è il tentativo di indicare che se una cosa è possibile non è necessariamente (molto) probabile. In una società nella quale tutti sono zombie è possibile che io/tu sia/mo dei loro. Anche se, avendo io scritto tutti, sarebbe contro la logica che anche io non lo fossi con certezza. Come ne usciamo da questo paradosso? Intanto, molto semplicemente, perché quel tutti l'ho inserito io che non ho alcun titolo, ma il punto, a mio avviso centrale, sta nell'indagine alla quale veniamo invitati dal saggio: tu potresti essere uno zombie oppure no, però adesso lo devi verificare tu e se non lo vuoi fare è probabile che tu sia uno zombie.

L'antidoto è pensare autonomamente senza lasciare che altri lo facciano per noi. Con tutte le difficoltà del farlo nel grande rumore prodotto dall'infodemia in corso che tende a rendere circoscritti problemi che in realtà sono illimitati per dare risposte (certe) su tutto e per tutto e per sempre.
Praticare l'esercizio del dubbio è una profilassi antizombificante, ma è necessario dosarlo adeguatamente per evitare il dubbio che paralizza, ovvero per evitare che il dubbio ci attanagli a tal punto da renderci incapaci di affrontare la realtà, e non sto pensando alla scelta tra pizza margherita e pizza quattro stagioni. In tal senso la risposta viene data dal concetto di intraprudenza che vale la pena approfondire, se non altro per la curiosità indotta dal neologismo.
Trovo anche molto interessante la valutazione sul ribaltamento che il concetto di politicamente corretto ha subito che, per come la vedo io, è l'anticamera del "non sono razzista, ma..." e pure la figura metaforica dello "spigolo" che è quell'angolo della nostra vita contro il quale "sbattiamo" e che ci provoca dolore solo se non siamo zombie.

Infine due righe personalissime: leggere un saggio nel quale vengono citati Philip K. Dick, Kurt Vonnegut, David Foster Wallace, mi ha rinfrancato. Anche grazie a questo è possibile respingere l'incipiente zombificazione contro la quale non c'è shampoo che tenga.

 

La peste

Autore: Albert Camus

 

Giudizio: *****

 

Forse c'è una nota di presagio che risiede nel fatto che il luogo dove tutto accade sia un luogo brutto. Comune e brutto. Una città mal concepita che volta le spalle al mare, vicinissimo, ma dalla cui vicinanza il clima non trae benefici. Una città ordinaria nella quale le vite scorrono senza sussulti. Tutti i cittadini hanno ruoli definiti, forse definitivi, incasellati negli schemi prescritti da una normalissima città dove ci sono i quartieri per i ricchi ed i sobborghi per i poveri.

 

In quest'ordine, a suo modo rassicurante, da un giorno all'altro, si manifesta la falla: il sottosuolo decide di "spurgarsi". Migliaia di topi emergono dalle fogne per trovare la morte in superficie. Inizialmente la cosa non desta troppo allarme, come se non fosse nulla di più che un fatto della vita. L'emergenza viene vissuta come un problema di nettezza urbana che richiede impegno di mezzi ed uomini fuori dall'ordinario, ma il sentore comune è che prima o poi la città sarà liberata da questa incombenza straordinaria.

 

In realtà il pericolo all'orizzonte è ben altro e le conseguenze non tardano a mostrarsi. Ai cumuli di topi iniziano a sommarsi anche i cadaveri umani. È la peste.

Ha inizio la cronaca dei fatti che interseca le vite dei personaggi nella lotta quotidiana, sia che si mostri attiva, sia che si mostri passiva. Ogni singola aspirazione, speranza, emozione è schiacciata dalla nuova vita alla quale tutti sono costretti. Ognuno si trova di fronte ad una condizione inconcepibile fino a poche settimane prima. La città è chiusa e chi ha l'amore, i cari, lontani non potrà più raggiungerli o essere raggiunto. Pure le comunicazioni sono difficilissime e spesso prive di risposte. Ma anche chi ha la fortuna di avere le persone care vicine è costretto a rivedere la propria condizione. Quello che aleggia su tutti li costringe a ripensare a cosa sono, a cosa vogliono essere ed a cosa possono essere.

 

C'è chi vuole assolvere al proprio ruolo fino in fondo, dottore tra i malati. C'è chi vuole spiegare le ragioni profonde, ma necessarie, dei dolori che si provano, uomo di fede tra i fedeli che non devono dubitare della fede. C'è chi vuole scrivere quello a cui sta lavorando da anni, da quando ha perso la sua amata per negligenza, per non aver trovato le parole giuste. C'è chi vuole tornare dalla sua amata perché, senza di lei, pensa che per lui sarebbe il nulla. C'è chi nasconde qualcosa, forse, di terribile. C'è chi aspira ad essere santo perché non è così ambizioso da aspirare ad essere uomo.

La tempesta sanitaria avvolge la città ed ognuno è avvolto anche da una tempesta personale con i propri dubbi, le proprie paure, i propri bisogni. Tutto ha una fine, anche la peste. Alcuni di coloro che riescono ad uscirne dovranno fare i conti su cosa è cambiato in loro prima che su ciò che potrebbe essere cambiato nel rapporto con chi ritroveranno. Per altri sarà necessario fare i conti su chi hanno perso e non potranno rivedere mai più.

 

La peste non cambia mai, sono gli uomini e le donne che cambiano.

 

Canone inverso

Autore: Paolo Maurensig

 

Giudizio: ***

 

Le diverse storie e persone che trovano albergo in questo romanzo hanno la musica in comune, in alcuni casi anche in modo inconsapevole o per interposta persona.

 

Il collezionista che acquista un violino ad un'asta. Per lui è un pezzo sottovalutato, la qual cosa lo soddisfa pienamente perché lo ritiene splendido ed adeguato per entrare a far parte della sua collezione acquistandolo ad un prezzo assai vantaggioso.

Lo sconosciuto disposto a tutto, anche a comportamenti sconvenienti, per venire in possesso del violino. Non è riuscito a partecipare all'asta ed in qualche modo, con il suo atteggiamento, spaventa il collezionista. Si rivela poi sinceramente interessato solo alla constatazione dell'esistenza di quel violino, come se fosse un oggetto per lui perso nella leggenda.

Il violinista che ha conosciuto lo sconosciuto. Lo ha prima stupito ed ammaliato per la maestria nell'uso dello strumento, poi gli ha raccontato la sua vita e come è stato possibile che un musicista così valente sia finito a raccogliere spiccioli esibendosi nelle birrerie. Questa storia meriterebbe di essere scritta da parte dello sconosciuto, che è uno scrittore, ma che ha difficoltà a raccapezzarcisi.

L'amico del violinista, quello bravo tanto quanto il violinista. Si conosco nella scuola dei musicisti, quella che insegna la disciplina della musica e ruba l'arte alla musica. I due sono praticamente inconfondibili, un'affinità elettiva che li fa duettare e riconoscersi reciprocamente come se fossero fratelli di musica, quella alta, anche se provengono da condizioni sociali e familiari assai differenti.

Nel libro si percorrono e rincorrono rivoli che fuoriescono dai filoni maestri e che ne arricchiscono il misterioso progredire. C'è l'amore e l'amicizia nella musica, un legame talmente stretto che può manifestarsi anche con inattese distorsioni ed improvvise variazioni. C'è la povertà di chi non conosce l'arte della musica e la ricchezza di chi ne può godere appieno. C'è la bellezza della donna che ti bacia perché tu devi continuare a suonare così bene, come hai fatto ora, e per sempre prima che lei si perda e che tu la perda, tranne che nei tuoi sognanti ricordi. C'è la bontà dell'uomo che sa di non poter essere come se fosse il padre naturale, ma che ama talmente la madre che non può fare a meno di amarne anche il figlio essendo questo parte dell'amata. E poi c'è il canone inverso, quell'incrociarsi e duettare in contrapposizione. Un duello infinito di due anime che potrebbero essere una sola anima in due corpi distinti o un solo corpo con due anime distanti che si riconoscono nell'arte della musica.

 

Perdere l'arte significa perdere tutto, la storia, la vita, la ragione.

 

Ribellarsi con filosofia

Autore: Matteo Saudino

 

Giudizio: ****

 

La ribellione non è una filosofia, ma la filosofia è una continua ribellione. A supporto di questa affermazione chiedo aiuto ad Arthur Schopenhauer. Questi non è presente tra i "filosofi ribelli", ma sintetizza splendidamente ciò che credo sia la ribellione che è nell'arte della ricerca della verità attraverso la filosofia: "Ogni verità passa attraverso tre fasi: all’inizio è ridicolizzata, poi è violentemente contrastata, infine la si accetta come evidente." Mi scuso se la citazione non è precisa, ma non sono riuscito a trovare il volume dove la lessi anni orsono.

Senza la tensione alla ribellione come elemento necessario al pensiero filosofico, la filosofia non sarebbe quello che è: ricerca di verità progressive, in un percorso accidentato e che, per certi versi, si può anche rivelare fallace nel lungo periodo, ma che impedisce all'umanità di rimanere impantanata in una verità immutabile e precostituita fatta di credenze e pregiudizi. L'atto di fare filosofia è un percorso per una ribellione permanente per tendere ad una verità più profonda?, più adeguata?, più vera? quando sarà avvistata all'orizzonte. Non c'è fine al fare filosofia se vogliamo rimanere umani, anche se è luogo comune chiedere "a cosa serve la filosofia?" per rispondere "a nulla".

È una strada difficile, ma intrigante e senza sosta ed in questo libro l'autore raccoglie alcuni esempi di ribellione attraverso il pensiero, lo studio, la conoscenza. In alcuni casi queste ribellioni conducono alla morte (Ipazia e Olympe de Gouges, entrambe donne e forse non è casuale), in altri casi portano all'esclusione per rendere marginale il pensiero di cui il filosofo è portatore (Epicuro, Spinoza, Marx), in altri casi, nell'impossibilità intima dell'abiura, costringono il filosofo alla fuga (Protagora, grande tra i sofisti, termine che nell'odierno uso comune porta discredito su colui che viene additato come tale), ovvero alla propria forza morale (Kant) che risponde attraverso la sua filosofia senza nulla dover aggiungere. Ognuno di questi "ribelli del pensare", a partire dal più antico Anassimandro, entra in qualche modo in contrasto con il potere, politico o religioso che sia, per quanto scrive e proclama. Il potere percepisce questo come atto di sovvertimento della norma e per questo da normalizzare. Non è semplice anticonformismo, o moda, è qualcosa di più radicato, è la ricerca di una verità più profonda alla quale la norma, che resta in superficie, non sa dare risposte.

 

Sono certo che Schopenhauer, che amava più gli animali che gli uomini, direbbe che queste sono banalità umane, ma Matteo Saudino tiene aperta quella porta necessaria per cui in ogni tempo dell'esistenza di questa terra la filosofia ha saputo ricercare e trovare una via saggia da percorrere. Semmai, troppo spesso, l'errore è stato non percorrere quella strada, ma attardarsi sulle false verità figlie di interessi umani, troppo umani.

 

Due vite

Autore: Emanuele Trevi

 

Giudizio: ****

 

Tre vite al prezzo di due, ma non è un saldo, è la magia dell'amicizia. Quell'amicizia che si fa sentire lungo tutto il volume. Chi scrive racconta cosa sono le prime due persone per lui. Il racconto delle vite appare quasi incidentale perché prima delle vite, evocate nel titolo, ci sono le passioni, le delusioni, le frustrazioni, le certezze, le preoccupazioni, l'allegria, i caratteri. Insomma prima delle vite appaiono le persone per quello che sono per l'autore, amica ed amico. Lei che trova il modo di essere ponte tra i due maschi ed i due che lo sanno, l'uno più intransigente e l'altro apparentemente più indulgente. Sono persone raccontate da un punto di osservazione privilegiato che, credo, sia percepito in tale modo solo nel momento in cui l'autore decide di raccontare le due vite. La normalità delle amicizie intime di coloro che si raccontano tutto, a voce o per posta, distanti a tratti, non solo fisicamente, ma senza mai lasciare che i rapporti siano logorati a tal punto da spezzarsi.

L'amicizia è il valore supremo ed inestinguibile. Credo che l'autore l'abbia voluto custodire in questo piccolo volume perché non se ne perda la memoria.

 

Sette vite non bastano

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ***

 

Ogni riferimento al gatto, del quale l'autore è devoto servo e padrone, è puramente causale, cioè il gatto è la colpa di tutto. Non può essere un caso la raffigurazione del gatto nero in copertina che riporta, non al mai troppo rivalutato Edgar Allan Poe, ma agli ammennicoli tipici della tradizione fatalista e scaramantica che seduce da sempre gli italiani. Un altro filosofo, tale Benedetto Croce, credo disse "Non è vero, ma ci credo" a marcare una personale metafisica di ogni italiano. In tutto ciò mi sono fatto quest'idea secondo la quale solo un gatto può essere complice e mentore di tanto agire felino.

Aprendo il libretto a caso leggo la frase

"La neve è la manna dei pigri."

e poi, sempre a caso, mi imbatto in

"Nascere: prima causa di morte."

e infine, scorrendo poche pagine oltre, trovo l'epifanico

"Possiamo anche esistere, ma poi bisogna vivere."

Per questo appare evidente che sette vite non possono bastare e nemmeno si può sperare di barattarle con esso, quello che le detiene per antonomasia: il gatto.

 

Mentre nei precedenti libri ero riuscito a trovare autonomamente un'ipotetica chiave di lettura, il senso più o meno profondo dell'opera (magari sbagliando, però avevo fatto tutto da solo) in questo caso mi sono lasciato fuorviare da un micro dialogo avuto con Stefano Scrima. In quel frangente l'autore mi indicava lo scaffale dei libri inutili come luogo dove recuperare il testo in libreria. La cosa sorprendente è che aveva torto, ma nel senso peggiore dei termini: la filosofia è materia sommamente inutile, talmente inutile che nella mia libreria nemmeno lo avevano questo libro. Così con sprezzo del pericolo, e della reputazione, l'ho ordinato. Nessuno però me lo ha segnalato come testo potenzialmente inutile e, dopo pochi giorni, l'ho letto in pochi minuti.

 

Per quanto impegno metta un autore nel cercare l'inutilità, non può mai dare per scontato il risultato. Questo resta più nelle pupille e sinapsi del lettore che nelle mani del libraio. Personalmente posso scrivere una cosa che avrebbe potuto dire Benedetto Croce, non di Napoli, ma per tanti anni lì residente: accattatevillo! Il libro, non il gatto.

 

Prendila con filosofia - Manuale di fioritura personale

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

Giudizio: ***

 

Il primo avvertimento si trova nel risvolto di copertina (è un manuale, ma quanto di più lontano da un manuale) e poi il primo capitolo è intitolato FINE. Cosa ci si deve attendere?

 

Innanzi tutto un "libro game" che ti consente di leggerlo a "salti" scegliendo ad ogni fine capitolo la via che ritieni più utile?, interessante?, attinente? Scegli tu come far proseguire il viaggio. Ma il libro può essere letto anche in modo lineare, come se fosse un libro "normale", nel corso della cui lettura ti vengono proposti esercizi utili ad introiettare e metabolizzare quanto appena letto.

Puoi, non devi, costruire un "diario di bordo", sarà testimonianza della navigazione all'interno di questo manuale, e diventa compendio personale dell'esperienza una volta terminata. Terminata? Avrà poi davvero fine così come ci viene indicato al capitolo uno? Forse...

Ognuno costruirà una memoria di viaggio personale, come è giusto che sia, nel quale il paesaggio, gli ambienti, le strade che si percorrono sono uguali per tutti, ma le percezioni e le scelte differiscono tra un individuo ed un altro. Non esiste un modo giusto per scegliere il tragitto e per percorrerlo (in bicicletta?, in auto?, in poltrona?), ma esiste la possibilità di farlo in modo consapevole.

Prendila con filosofia è una frase che nel gergo comune assume un tono consolatorio. Hai lavato la macchina e la mattina stessa piove? Prendila con filosofia! Eri in coda per prenotare un biglietto di uno spettacolo imperdibile e chiudono gli accessi fermandosi alla persona che ti precede? Prendila con filosofia! Ami una persona che non ti ama? Prendila con filosofia! Questo manuale aiuta a valutare ed analizzare in modo più compiuto quello che ti succede, quello che ti riguarda ed a farne scaturire una reazione adeguata alla situazione data. Piove e resteranno gli aloni sulla macchina dove hai passato lo straccio con tanta fatica? Però gli animaletti che si erano annidati negli anfratti più remoti nell'interno dell'auto era giusto collocarli altrove. Non potrò assistere allo spettacolo, ma poi, sono sicuro che volessi realmente vedere io quello spettacolo, oppure ho traslato su di me il desiderio dell'amico, dell'amico, dell'amico di Gigi che mi ha detto che quello spettacolo era imperdibile? Io la amo e lei non mi ama, ma se io la amo voglio il suo bene e non solo il mio bene quindi spero che lei sia felice e così anche io sarò felice.

 

In questo libro non si scrive di sistemi filosofici, ma si scrive di consapevolezza, di felicità, di desideri, di obiettivi, di valori, di ansie, di fragilità. In una parola si scrive della vita e di come si possa affrontare con filosofia accompagnata dalle meraviglie di una fioritura personale.

 

Buona fioritura a tutte e tutti.

 

Il libro di sabbia

Autore: Jorge Luis Borges

 

Giudizio: *****

 

Questa è una raccolta di racconti che offrono al lettore la compagnia di ciò che è fantastico, letteralmente. Scritto altrimenti, questa è una fantastica raccolta di racconti che accompagnano il lettore lungo le strade della fantasia. Quest'ultima è circolare e si rispecchia, infinita, nell'infinito.

Nei racconti affiorano temi ricorrenti come l'infinito, appunto, il sogno, il mito, il superamento del tempo e dello spazio, l'io e l'altro, il dono, la mimetizzazione, l'orribile. Quest'ultimo è il libro infinito, che dà il titolo alla raccolta stessa, del quale non si può vedere né la prima né l'ultima pagina, ma nemmeno l'ordine delle pagine stesse che mutano ad ogni occasione nella quale vengono sfogliate. Nessuno sarà in grado di rileggere la stessa pagina, di leggere lo stesso libro. La salvezza al turbamento di tale caos sta nella sicurezza che si trova negli scaffali di una libreria.

Rivedere sé stesso, più giovane, o più vecchio, rende difficile la conversazione: l'uno e l'altro, consapevole o inconsapevole, sa cosa attendersi da sé stesso anche se l'altro è giovanissimo, oppure sul letto di morte. Ricevere in dono la memoria di Shakespeare ed accorgersi che questa non è quella che si sperava fosse. Organizzare un attentato nella solitudine più assoluta che salverà chiunque dall'essere accusato di complicità. Rendersi parte di un Parlamento che ha l'obiettivo di farsi carico di rappresentare tutti gli interessi mondani. Cercare una tigre azzurra e per questo oltrepassare le superstizioni locali spingendosi in un luogo vietato trovando pietre che si moltiplicano incontrollate ed incontrollabili.

Quello che non può essere trova gli spazi angusti, ma suggestivi, che riserviamo ad ogni panorama che possiamo ammirare solo in cartolina. È comunque una vera fortuna.

 

L'ordine del tempo

Autore: Carlo Rovelli

 

Giudizio: ****

 

È suggestivo considerare come il comune sentire possa essere il comune sbagliare che, solo in quanto comune, riteniamo erroneamente corretto. Il mal comune che diventa gaudio e nemmeno dimezzato.

In questo libro il lettore viene guidato in un viaggio impensabile che conduce alla negazione di un concetto comune a tutti: il tempo. Quel tempo che ci accompagna da sempre e per sempre fino a che ognuno di noi ne esplorerà la sua fine. 

Nel corso di questo affascinante tragitto viene strattonato il concetto di tempo fino a negarne l'esistenza, almeno nell'accezione ingenua, o romantica che noi abbiamo: i bei tempi passati, la fatica e l'affanno del presente, l'indicibilità sul futuro.

Le nostre ingenuità sono ragionevoli approssimazioni volte a razionalizzare il "quando siamo" senza condannarci ad una eterna incollocabilità temporale perché ieri non può essere oggi e men che meno domani, ma nemmeno il presente può essere se mi riferisco a quanto ho scritto tre righe sopra perché ora è già passato. L'autore ci immerge in un fiume di "congetture" fisiche e filosofiche, tentativi di definizione che attraversano per secoli le menti più brillanti dell'umanità arrivando però ad un punto non conclusivo, ma ineludibile: il tempo, come lo pensiamo noi, non esiste. È una questione di "punti di vista" e non di quelli enunciati al bar o dall'acconciatore: "io credo che il tempo esista perché 20 anni fa non avevo i capelli bianchi ed oggi ho un ciuffo candido". Il punto di vista, o di osservazione, è oggettivazione di ciò che muta al mutare del luogo in cui si trova l'osservatore. Qui si racconta di come il tempo potrebbe non essere una variabile in gioco nella grande equazione che descrive l'universo (questa frase è una mia inferenza per non ricorrere al "rifugio" fornito dalla possibile entità creatrice che, se mai ci fosse, avrebbe sancito la veridicità di quell'equazione se volesse consentirci di formalizzarla nel modo scientifico a noi noto). Infatti lo scorrere del tempo muta a seconda della distanza che l'osservatore ha dalla massa, o della velocità a cui lo stesso osservatore si muove nello spazio. Poi il tempo non è un "continuo", è discreto, un tappeto granulare che non può essere rappresentato da una linea continua composta dagli infiniti numeri reali. Queste affermazioni sono una sfida che sconfigge il senso comune che assegna al tempo un'immutabilità universale che, seppure priva di una teorizzazione conclusiva, ci lascia increduli di fronte ai paradossi che sovvertono una cosa per noi totalmente scontata. È già successo quando abbiamo capito che non era il sole che girava intorno a noi, anche se resta evidente che il sole sorge e tramonta, e succederà ancora per il tempo. Anzi, è già successo, ma ancora non sappiamo spiegarlo in modo compiuto.

Questo avrà implicazioni sulle nostre vite terrene? Non credo, in fondo la vita terrena ha continuato nella sua forma anche con la consapevolezza che era la terra a gravitare intorno al sole e non il contrario. La ragionevole approssimazione per cui è il tempo a scandire le nostre vite dalla nascita alla morte non verrà inficiata da una più precisa definizione secondo la quale il "tempo vero" è una cosa assai diversa dal riconoscerci invecchiati, con una memoria individuale del tempo trascorso, perché quest'ultima condizione persisterà.

 

Gli studenti di storia

Autore: Alan Bennett

 

Giudizio: ***

 

Quello che può succedere, quando si dice l'indicibile ed al tempo stesso non si dice l'indicibile, è indicibile e l'indicibile varia da persona a persona. È sorprendente come di fronte ad esso le reazioni siano molto diverse.

Anni '80 del secolo scorso. La scuola è terminata con successo da più o meno brillanti studenti che ora devono prepararsi all'esame di ammissione all'università. Parliamo delle possibilità di accedere a borse di studio delle più prestigiose università d'Inghilterra. Per il preside, orgoglioso ed al tempo stesso preoccupato dal limitato potenziale umano messo in campo dalla scuola che dirige, è necessario avviare un percorso di allenamento che, se fruttuoso, potrebbe dare lustro alla sua scuola. Per traslato anche a lui perché, non va detto, ma l'ambizione è umana sventura.

Per questo, oltre ai docenti ordinari, viene ingaggiato un "enfant prodige", giovane, fresco, accattivante che possa condurre "alla vittoria" la squadra degli studenti affiancando le sue capacità didattiche alle stantie pratiche del vecchio professore. Il compito del giovane insegnante è preparare gli studenti alla "performance" dell'esame e non ai contenuti dell'esame. La commissione va stupita, bisogna evitare di gettarla nella noia del "già visto e già sentito venti volte nella sessione odierna". Bisogna creare connessioni sorprendenti al limite del "ma non è vero", purché si resti nel plausibile. Insomma che uno strafalcione non sia tale perché non c'è prova che lo sia, anche se contrasta con la comune morale. Sarà ben altro che una commissione di professori a riportare ordine in proposito.

Questo approccio sorprende gli studenti abituati al rigore ed alla severità, letterale, del vecchio professore. Studiare brani a memoria è il loro pane quotidiano, anche se faticano a comprenderne l'utilità, che contrasta e li mette a disagio di fronte al nuovo approccio. Non sanno distinguere quale sia la strada per arrivare alla meta.

Del resto il vecchio professore, di suo, ha dato ampia dimostrazione di comportamenti che dovrebbero mettere a disagio. Quel suo "alzare le mani" dovrebbe apparire ben più grave rispetto al blandire con effetti speciali la commissione. Certamente lo è per il preside quando ne viene a conoscenza senza pensare che il modo in cui lo viene a sapere dovrebbe turbare personalmente anche lui, andando ben oltre l'orizzonte che vede di fronte ai suoi occhi: liberarsi del vecchio ed affidare tutto al giovane.

È così che le cose vanno, tra buoni propositi e cattive coscienze, non senza la tragedia che è inevitabile quando riguarda gli esseri umani.

 

Dubito, ergo sum

Autore: Mauro Bonazzi

 

Giudizio: ***

 

Il titolo è tanto suggestivo che, nell'immediato, non si coglie la continuità con la più famosa frase "cogito ergo sum". Indica la certezza indubitabile che l'essere umano ha di sé in quanto soggetto dubitante. Un affascinante paradosso. Senza timore di essere smentito, smentita alla quale il pensare inevitabilmente conduce, dubitare è, se così si può dire, sottoinsieme del pensare e non cosa disgiunta o esterna all'atto che ci rende esseri umani, animali diversi tra gli animali. Questa diversità risiede nella capacità di essere gli unici in grado di porsi domande e di cercare di dare loro risposte. Questa è la bellezza della filosofia, interrogarsi in modo tutt'altro che sterile, ma fecondo, sorprendente, illuminante anche se parziale, impreciso, emendabile. A torto o a ragione si cerca il torto e la ragione.

 

Queste brevi lezioni sono piccoli momenti di grandi risposte a questioni che ci riguardano direttamente, consapevolmente o inconsapevolmente. A volte possono essere "scappatoie" per giustificare quanto non saremmo in grado di giustificare altrimenti, altre volte sono arcigni molossi oltre ai quali non potremmo avanzare un solo passo senza rischiare il morso del cane posto a guardia di quella verità. Quest'ultima non rivelata, ma pensata, quando non escogitata (la via di fuga di cui sopra, tanto più efficace quanto più elegante). La ricerca della verità resta il nodo intorno al quale ruotano, appunto, i nostri dubbi. Possiamo vivere senza Dio? Il nulla esiste anche se non è? Prima l'uovo o la gallina? Possono esistere cose che non sappiamo immaginare? E come le possiamo descrivere se ci mancano le parole per farlo?

In queste pagine accarezziamo concetti quali la felicità, la bellezza, l'esistenza, la società, la scienza, la politica, l'amore ed infine il nostro essere finiti in un universo infinito. Che poi, sarà davvero solo uno?

 

La disciplina di Penelope

Autore: Gianrico Carofiglio

 

Giudizio: ***

 

Un errore nella vita segna la vita. Anche se la colpa dell'errore non è tutta tua, anche se quella colpa ricade in qualche modo solo su di te, l'errore, per parte tua, lo hai comunque commesso. La vita segnata resta la tua vita e tutto sfuma dentro questa nuova esistenza.

Penelope ex PM, ora investigatrice privata informale, cerca di far convivere il prima ed il dopo tra giusto e sbagliato. Alimentazione sana ed attività sportiva abbinate a troppo fumo ed alcol. E uomini da scaricare all'alba di una notte da dimenticare il più in fretta possibile. 

Fino a che un vecchio amico indirizza nel suo studio, un retro bar di un altro amico, un uomo che ha subito un'ingiustizia. Apparentemente è solo una questione di forma che non potrà arrecare danni a questo uomo. Per l'uomo, però, la forma è sostanza quando la figlia vorrà sapere, quando la figlia cercherà di capire. Voler sapere, cercare di capire è una forma di disciplina alla quale Penelope si è addestrata ed è questo che solletica il suo ingegno. Il lavoro che ne seguirà è un impegno a dir il vero fortunoso. L'evoluzione dell'indagine ha un profilo molto basso e Penelope ne è pienamente consapevole. Tanto consapevole che non ha saputo quantificare il suo prezzo al committente. Tutto però scorre verso la soluzione grazie a due intuizioni folgoranti che fanno la differenza e la faranno venire a capo di un errore che già ha segnato e segnerà per sempre la vita di un'altra persona.

 

Vivida mon amour

Autore: Andrea Vitali

 

Giudizio: ***

 

L'amore è cieco, ma pure sordo. In entrambi i casi è comunque amore interessato, seppure non nell'accezione comune che diamo a questa locuzione. L'interesse, in questo frangente, non sta nella ricchezza, dalla quale discendono le varianti di lusso, fama e potere. L'interesse sta nei malleoli di lei, i più belli che siano mai stati visti, oltre al fondo schiena, scelta anatomica che riporta questa vicenda nell'alveo dell'immaginario collettivo maschile, assegnando alla storia un tono meno eccentrico.

Lui non sa il nome di lei, ma già la ama. Lui viene dimenticato da lei ed ancora la ama. Lui inizia a conoscerla eppure persiste nell'amore. Così il protagonista trascorre un'estate, e poi l'autunno, e poi l'inverno, tra fragili speranza e strategie di corteggiamento deluse. Escogita piani amorosi che al momento opportuno si dimostrano inefficaci, peggio, disastrosi! Almeno fino a quando succede che ... e quello che succede è un disvelamento sorprendente. Una scialuppa di salvataggio che giunge all'ultimo momento e che condurrà ad un finale, in un graduale crescendo, guidato da una corrente che resta incontrollabile e quindi affrontata con tutte le cautele del caso. C'est l'amour! Per certi aspetti l'epilogo appare ragionevole anche se l'amore procede per imperscrutabili omissioni ed ammissioni, per altri versi apparentemente irragionevole, ma già scritto nell'incipit del racconto. Non è anatomia, ma metafisica dell'amore, nonostante tutto e grazie a tutto.

 

L'arte di soffrire. La vita malinconica

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ***

 

Il soffrire caratterizza le umane esistenze fin da quando un'entità ultraterrena scacciò uomo e donna dal paradiso terrestre: il primo avrebbe dovuto faticare a causa del lavoro, mentre la seconda avrebbe partorito con dolore. La grave colpa dei nostri progenitori era aver mangiato una mela dall'albero della conoscenza e del male, o almeno così mi par di ricordare che l'albero sia stato chiamato. Detto tra noi, questo contraddice il famoso detto popolare secondo il quale "una mela al giorno toglie il medico di torno" ed al contempo dimostra come il popolo, per quanto saggio, è comunque fallace. Da questa contraddizione non se ne può venire a capo è chiaramente uno stallo messicano.

Chi invece non crede nell'esistenza di questa entità ultraterrena che non oso nominare, ma tutti voi 25 lettori sapete benissimo a chi mi riferisco, anche se non ci credete, può constatare empiricamente che la vita è fatica e sofferenza e che tali condizioni possono indurre alla malinconia se è vero, come è vero, che la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia. Schopenhauer non credo facesse riferimento alla provvida sventura, ma alla volontà di vivere comunque nonostante la vita e non grazie alla vita.

Ebbene nel libro non si parla di tutto ciò o per lo meno non si riconduce la malinconia, o noia, o sofferenza al peccato originale ed alla natura matrigna foriera di dolore e sofferenza. Si raccolgono i presupposti, gli effetti che ne conseguono e conducono gli esseri umani ad una vita che per periodi più o meno lunghi può manifestarsi come malinconica.

Perché, va detto qui e non altrove, tutti abbiamo attraversato momenti di malinconia. La malinconia può essere indotta dalla noia, anche se è altra cosa, la noia è un sottoinsieme della malinconia. La malinconia può essere indotta dal rifiuto della realtà che ci circonda e ci scontenta e ci sovrasta e ci rende per questo tristi e malinconici. La malinconia può essere indotta dalla battaglia interna che combattiamo quotidianamente per essere all'altezza di ciò che vorremmo fare e non riusciamo a realizzare. La malinconia può essere indotta da un dolore d'amore, dalla perdita di una persona cara o dalla sua sofferenza. La malinconia può essere indotta dal ricordo di un bel tempo passato che non potrà essere più. La malinconia può essere indotta senza che vi siano fattori esterni, ma una sorta di particolare sensibilità che predispone l'essere umano alla malinconia.

La malinconia succede, ad essa siamo tutti esposti. I più fortunati o bravi, nel senso di dotati di una sensibilità ed un talento fuori dal comune, dalla malinconia sanno trarre il meglio di loro. Vivono la loro vita anche grazie alla malinconia. I più fragili, invece, subiscono la malinconia esprimendo attraverso quel sentimento l'inadeguatezza alla vita. Questi vivono la vita nonostante la malinconia che, a volte, conduce all'atto estremo. Quello che Schopenhauer condanna come atto di sottomissione al sopraggiungere della volontà di morire, volontà alla quale dovremmo reagire. Purtroppo non tutti riescono a trovare le risorse necessarie nel proprio animo per vivere nonostante tutto. Per questi il pendolo smette di oscillare e passano il testimone a chi resta malinconico per non aver capito, oppure per aver capito, ma per non aver saputo intervenire. 

 

Le mille luci di New York

Autore: Jay McInerney

 

Giudizio: ***

 

Le sorprese della vita non sono frutto del caso, ma spesso di cattive valutazioni, soprattutto se lei è una bella ragazza e tu la conosci in un bar. Diffidare sempre dei bar, ma soprattutto delle belle ragazze.

Quello che succede al protagonista di questo romanzo segue in modo quasi lineare l'errore commesso all'inizio che trasforma tutto in una valanga inarrestabile e lo trascina dove solo un paio di anni prima non avrebbe mai creduto di poter giungere. Il racconto, in prima persona, descrive questa tumultuosa discesa, tanto furiosa quanto inevitabile ed alla fine attesa, prodotta dal disastro affettivo ed emotivo del protagonista del quale non sapremo mai il nome. L'amico delle scorribande notturne lo chiama "capo", ma è evidente che a comandare è l'amico e non il protagonista che lavora al reparto verifica dei fatti di una rivista newyorkese che, più che un giornale, è un'istituzione. Il ruolo occupato al momento non è di prestigio, ma lascia spazio a prospettive luminose. Questo è il sogno del padre, sogno che però si sgretola tra le mani del protagonista quando la vita notturna gli impedisce di tenere ordine e disciplina nella vita diurna. Una persona apparentemente con la testa sul collo, colta, brillante che sbanda laddove non lo credeva possibile e perde di vista tutto, anche le sue aspirazioni, accecato forse dalle troppe luci alle quali ha pensato di poter ambire. Tante luci e troppo vicine. 


Sono diverse le situazioni evocative di un testa coda esistenziale irrecuperabile che conducono il nostro in situazioni divertenti ed al tempo stesso struggenti. Ne sono protagonisti l'amico di scorribande Tad, il fratellone Michael, seppure più piccolo di un anno, il furetto "Fred" ed un collega veterano del giornale, ma ormai perso nei fumi dell'alcol, la collega Megan, quella che ha sempre tifato per lui ed alla quale lui non è riuscito nemmeno a dire grazie senza rendersi sgradevole. Oltre naturalmente alla bella ragazza conosciuta in un bar di Kansas City, Amanda.

La parabola del frastuono che ha colpito la vita del protagonista trova un momento di ristoro per nulla effimero quando il ricordo dolce e struggente lo induce ad un baratto insolito: i suoi occhiali da sole Ray-Ban valgon bene un sacchetto di pane caldo appena sfornato. In questo ricordo, indotto dall'odore di pane appena sfornato e che accomuna la parte bella e la parte brutta della sua vita, si cela la consapevolezza che non sempre conosciamo a fondo chi ci sta vicino, per quanto essi ci siano cari. Alla fine, nonostante tutto, chi merita il nostro amore o la nostra amicizia riusciamo a comprenderlo anche grazie ad una semplice, inutile frase: "Come ti va?"

 

L'eredità di Eszter

Autore: Sandor Marai

 

Giudizio: ****

 

Questo è un racconto "ipnotico" che aggancia gli occhi del lettore attraverso la semplicità della nuda vicenda, quella che non dovrà essere perché sarebbe impossibile che fosse. Ogni attore della storia è certo che non potrà accadere di nuovo quanto già accaduto. Tutti sono pronti, ognuno con motivazioni proprie, ad essere all'altezza della situazione, ora che sanno, ora che, chi più, chi meno, tutti sono rimasti scottati. Tutti pronti tranne lei, Eszter, la più colpita di tutti che, in cuor suo, sa già che si ripeterà tutto come allora. Lei è rimasta ferma su quelle parole che non hanno avuto il seguito promesso. Per anni quelle parole hanno alimentato in cuor suo vane speranze, al tempo stesso anelate e negate.

 

Eszter non è più giovane. La vita le ha riservato amarezze profonde, a partire dal matrimonio tra la sorella maggiore, Vilma, ed il suo amato Lajos, portato nella casa di famiglia dal fratello Laci di cui Lajos era caro amico. Lajos ha avuto la forza e l'abilità di convincere tutti delle sue capacità fuori dal comune, ma in verità inesistenti. Una persona in grado di mentire con tutti e su tutto, anche sulle cose più profonde: l'amicizia e l'amore. A suo modo una persona fuori dal comune alla quale Eszter è rimasta profondamente legata anche se non lo vede da venti anni. Finché non arriva un telegramma nel quale Lajos annuncia il suo ritorno che alimenta timori ed aspettative. Eszter è incapace di sciogliere il nodo che li avrebbe potuti legare per la vita e che invece ha ancorata solo lei a ricordi controversi che non le danno la forza di reagire ad una nuova situazione nella quale si trova suo malgrado.

La caduta

Autore: Albert Camus

 

Giudizio: ****

 

La caduta è tutta nel monologo dell'avvocato Jean-Baptiste Clamence che, con garbo e dovizia di deduzioni e contro deduzioni, traccia ad un interlocutore che lo ascolta, rapito, la sua parabola di vita. Un uomo amabile che sa come farsi amare, almeno all'inizio.

È un avvocato assai capace di Parigi, tanto capace che è molto ricercato e sempre pronto ad aiutare il prossimo in difficoltà. Questo gli viene naturale perché gli procura piacere. Lui è il più dotto tra i dottori, certamente il più gentile ed amato, ma non per altruismo, bensì per egoismo. Infatti ottenere la riconoscenza altrui è la cosa che lo gratifica maggiormente in un mondo dove solo lui, e non certo i giudici, è in grado di discernere, ma senza giudicare.

 

Nel racconto emerge come questo piacere, descritto come assillante necessità personale, sia solo una maschera, molto gradevole per lui, forse patologicamente necessaria, certamente non corrispondente alla persona che è in realtà. Infatti in privato è un uomo dedito ai piaceri dell'alcol e delle donne. Queste ultime sono solo oggetti di piacere per le quali non prova alcun sentimento, come se anch'esse fossero semplici bottiglie da svuotare. Non riesce ad innamorarsi perché lui ama solo sé stesso. Attrae le donne e poi, dopo averle sedotte, le abbandona. L'unica per la quale pensa di aver provato qualcosa è quella che lui lascia senza che lei tenti di opporsi. Ma forse non è amore, è semplice rimpianto per non aver aiutato la più debole.

Poi accadono due fatti ancora più significativi, cruciali. Il primo è inspiegabile, una risata che lui sente, senza comprenderne la provenienza, e non sa spiegare se tale riso è per lui o per la sua vita bugiarda. L'altro riguarda una giovane donna che l'avvocato non aiuta, forse perché nemmeno percepisce la gravità della situazione. Clamence sta percorrendo un ponte della Senna, vede la ragazza affacciarsi dal ponte, la supera e, preso dai suoi pensieri, arriva all'altra sponda e sente il tonfo di un corpo cadere nel fiume. Ormai nulla si può fare per la giovane.

 

Resosi conto dell'insostenibilità della doppiezza della sua vita e della sua persona, decide di abbandonare la professione e di trasferirsi ad Amsterdam, al bar Mexico City, dove può proseguire a condurre una vita dissoluta tra alcol e prostitute senza alcuna necessità di finzione. In questo gorgo infinito che lo trascina sempre più in basso diventa il giudice-penitente. Confessa a chiunque le proprie colpe con l'obiettivo di indurre l'ascoltatore a pensare di aver commesso egli stesso le medesime colpe: accusando sé stesso tenta di rendere colpevole l'umanità intera. Ma ormai è troppo tardi per quello che poteva essere amore e non è stato, per quella vita che poteva essere salvata e non è stata salvata. Nemmeno nel finale si scorge un barlume di redenzione: pensa che fatica sarebbe stata e poi quanto è fredda l'acqua.

 

La vita in ordine alfabetico

Autore: Ugo Cornia

 

Giudizio: ***

 

Non è facile catalogare le vite, incasellarle assegnando a loro un punto di classificazione inequivocabile, tanto rigido e preciso da non consentire alle vite stesse di debordare perché enormi, di tracimare perché liquide, di ricollocarsi perché "stanche" dello scaffale nel quale sono state inserite. Per scelta in questo libro si racconta una vita intera senza catalogarla e rievocando i pezzi più importanti?, più significativi?, più divertenti? Non so rispondere a queste domande, anche se, senza voler dire ciò che non so, posso azzardare che in questa raccolta di ricordi tutti i pezzi messi insieme hanno un significato sentimentale prima che letterale, seppur sia stato scelto l'ordine per antonomasia delle lettere, l'alfabeto.

 

In questo libro si legge una vita raccontata per fatti, cose, persone che hanno a qualche titolo fatto parte della storia dell'autore. Scritta così pare un'ovvietà, ma le singole tracce, a loro modo semplici ed esaustive per quanto l'autore ha voluto raccontare, potrebbero ridursi ad aneddoti. Questo rischio non mi pare mai realmente corso perché brevi divagazioni, apparentemente fuori fuoco, aiutano paradossalmente a centrare il punto da raccontare senza isolarlo nel posto in cui appare. Ogni vicenda diventa parte della biografia quando si unisce, magari in modo sghembo, a tutte le altre.

 

L'autore ci racconta che il libro nasce da un'intuizione felice (da intendersi nel senso del benessere che ha dato all'autore scriverla e non nell'abusata accezione di successo che arriverà, se arriverà, a cui siamo abituati associare questa locuzione), nonostante il periodo della pandemia ed il lockdown. L'idea del dizionario ragionato è precedente, ma del resto è solo una convenzione ritenere che una biografia risulti più rappresentativa se segue la linea temporale che ne scandisce gli eventi invece di adottare un altro ordine, non meno logico, ma alternativo alla scelta del tempo.

 

Diversi elementi ricorrenti ci accompagnano dall'inizio alla fine.

L'automobile, archetipo della modernità e del movimento, in queste pagine è descritta ferma, parcheggiata, oppure abbandonata ed utile come rifugio o gioco da ragazzino, oppure guidata per anni, sempre la stessa, persa senza averla persa, ma solo dimenticata, quindi sostituita per necessità meccanica più che per rispondere a sopraggiunte e nuove esigenze nella funzione tipica dell'automobile, il movimento. Una risorsa ed al tempo stesso un peso economico. Lo spostamento dal punto A al punto B, per quanto vicino o lontano siano i due punti, si distribuisce in tutte le pagine. Spesso a piedi o in bicicletta quando l'acquazzone improvviso può causare discussioni sul come ci si deve muovere sotto i portici del centro e di come portare a spasso cani che marcano per necessità fisiologiche il territorio.

 

Delle case si scrive senza parlare delle case. Sono quasi luoghi metafisici che trascendono mura, pavimento e tetto se non fosse che acquisiscono fisicità quando si parla di insetti e dell'insettone, forse emigrato, chissà. La casa delle vacanze e della città persistono con annesse ristrutturazioni, acquisti, iniziazioni all'età adulta, dinamiche familiari, questioni di decoro condominiale e sorprendenti comunanze tra ascensori di palazzi modenesi così diversi e così simili. La porta semplicemente tirata dietro, anche se blindata, non è garanzia di sicurezza e diventa buona prassi dare due mandate che, al tempo stesso, rendono sicuro anche quando ci si trova in casa e diventano oggetto di preoccupazione quella notte in cui un malore viene scambiato per un qualcosa di molto più grave, che per fortuna non è.

 

Poi il medico di base e la presa di coscienza che può succedere che non potrà accompagnarti per tutta la vita e dovrai attrezzarti per trovarne un'altra e poi un'altra ancora. Dietro a queste ricerche si cela sfortuna e fortuna, come in tutte le cose che riguardano le vite, sia quelle classificabili come normali, sia quelle inclassificabili.

 

In questo mare, immoto, che pure fluisce in movimento perenne verso la riva, io voglio raccontare un mio personale aneddoto. Quando sono entrato in libreria, e mi sono trovato davanti al volume, mi sono detto "questo lo devo leggere, magari ci trovo dentro il mio amico". Ho proprio pensato "ci trovo dentro" che, in fondo ho scoperto solo dopo, questo libro altro non è che una grande scatola. Ed in effetti il mio amico c'è dentro, che poi il mio amico è la cosa in comune che io e l'autore abbiamo. Quindi devo ringraziare Alessandro Fili che, per trovarlo, l'ho cercato in questa scatola che è stata una lettura felice e ringraziare anche Ugo Cornia che quella lettura felice l'ha pensata e realizzata consentendomi di aprire questa scatola. Ed alla prima influenza in comune ci ritroveremo a guardare il tennis, io felice in continuità con la vita da sano, lui felice in discontinuità con la vita da sano, ma questo lo può capire solo chi ha la ventura di leggere il libro. 

 

L'invenzione del suono

Autore: Chuck Palahniuk

Giudizio: **

Tutto gravita intorno al dolore, fisico e psicologico. Ancora una volta c'è un gruppo di ascolto e di aiuto. È centrale perché istiga e redime, sollecita e perdona, guida e arresta. Ancora una volta c'è un disagio personale che sfocia, implacabile, nell'abuso di cocktail alcolici e farmacologici per non voler ricordare e quindi per non voler sapere: la sofferenza è molto più reale della realtà, la sofferenza non è finzione anche se ti viene somministrata come tale. La sofferenza può sovvertire le sorti del mondo e, certamente, può provocare altra sofferenza. Il killer è il suono della sofferenza che produce disastri nel momento dell'ascolto collettivo.
Due storie parallele confluiscono, quasi per sfinimento, in un'unica storia. Un padre che perde la figlia ancora bambina ed insegue la sua personale crociata contro la pedofilia, una figlia che perde il padre (e la madre) e prosegue nell'arte del rumorista di cui il padre era maestro. Dall'incrocio dei dolori di questi due personaggi nascerà qualcosa di speciale, il perpetuarsi di ciò che non potrà mai essere diverso quando l'arte mercificata passa sulla vita delle persone per essere riconosciuta come tale. A compendio le due storie si inseriscono in un complotto esile, minuscolo rispetto alla grandezza di ciò che è l'arte che ne scaturisce, ma fondamentale per rilanciare una star, per accettare come vere storie che non sono mai esistite, accertare la verità che altrimenti non sarebbe stato possibile raccontare. È Hollywood che va salvata da sé stessa, è Hollywood che va preservata nella sua favolosa luccicanza dove tutto è bene ciò che finisce bene, anche la sofferenza.

 

Albero di fumo

Autore: Denis Johnson

 

Giudizio: ***

 

Siamo in Vietnam tra guerriglia, bombardamenti, droghe, spionaggio, violenze sui civili e smarrimento personale di qualsiasi regola di comportamento che si è seguita fino a quel momento. Questo è il Vietnam, apparentemente niente di nuovo, eppure il romanzo si muove su direttrici non convenzionali a cui, soprattutto i film, ci hanno abituato. La guerra fu combattuta sul campo, ma anche altrove e non sempre e solo contro le postazioni nemiche. Una guerra "personale" dentro la guerra anticomunista che muove fili oscuri e che lascia allo scoperto soldati americani perché di un altro reparto, agenti nemici necessari per il doppio gioco, ma bruciati da reparti americani che non ne erano a conoscenza.

 

Il clima della guerra è terribile, ma al tempo stesso straniante, tanto da far dire ad una dei protagonisti che i soldati erano in grado di prendersi cura di cuccioli smarriti e randagi dopo aver massacrato popolazioni indigene: “Fra gli stranieri che la guerra rese irriconoscibili – anche, o soprattutto, a se stessi – c’erano una giovane vedova canadese e un giovane americano che a volte si vedeva come l’Americano Tranquillo e a volte come l’Americano Brutto, e che non voleva essere nessuno dei due, ma avrebbe voluto essere l’Americano Saggio, o il Buon Americano, e che invece finì col sentirsi il Vero Americano e infine semplicemente l’Americano Schifoso.” Il disprezzo per quello che si fa viene sublimato nel disprezzo per quello che si è diventati.

 

Il dopo guerra non sarà di redenzione, ma un inseguimento ad una verità che ti è passata a fianco e della quale non ti sei accorto. Ed anche il finale non sarà lineare. La sottile linea rossa non è narrata in questo libro perché, se c'è stata, i protagonisti non l'hanno percepita. Il nemico erano talpe da andare a cacciare in tunnel infiniti, ovvero americani che sceglievano te come carne da macello del giorno anche se eri un eroe nazionale, figurati che peso avrebbe avuto essere un contadino dell'Alabama.

 

Non è stato un buon mattino e nemmeno una buona notte.

 

 

 

V.

Autore: Thomas Pynchon

Giudizio: ***

Io non so cosa si possa indicare con un titolo così enigmatico e talmente sintetico da essere tanto vago che più vago non si può. V. può essere al tempo stesso tutto (la vita) e niente (il vuoto). Può essere un luogo mitico o una persona cercati e trovati e persi, nel corso di un lungo viaggio, nello spazio e nel tempo, organizzato proprio per la loro ricerca. V. può essere il viaggio stesso. V. può essere talmente vago da impegnare un figlio a cercare un padre che forse cercava la madre per un figlio. V. è una girandola (in)credibile di vicende intrecciate con marinai avvezzi ai fatti della vita, con donne innamorate e respinte eppure sempre innamorate, con uomini a caccia di alligatori albini nelle fogne della città, con spie intente a scoprire per non scoprire, con esploratori che narrano di visite di luoghi mitici, con preti che insegnano il Vangelo ai topi che sapranno salvarsi, con ingegneri che vogliono misurare e rilevare, ma che si trovano nel bel mezzo di una rivoluzione di neri africani contro bianchi tedeschi, con rivoluzionari venezuelani imprigionati a Firenze, con un'isola che è madre, con donne misteriose che appaiono a Firenze e scompaiono per ricomparire a La Valletta e che cambiano la storia, mutano il finale, che forse era già scritto, ma che potrebbe essere piacevole pensare mutato all'ultimo da un complotto, l'ulteriore complotto per nascondere V.

V. è trama e ordito, è letto del fiume ed acqua, è esperienza ed ingenuità. V. è la vita come la conosciamo narrata nei libri, dura, speciale, suggestiva, terribile, felice, sublime, avventurosa, speciale, fantastica, inventata, triste, sgomenta, sacra, sprecata, abbandonata, profana. V. esiste, ma dobbiamo cercarla e solo quando la riconosceremo sapremo cosa è V., ovunque essa sia.

Lettura per me difficile, se ne sconsiglia un approccio leggero, meglio armarsi di tutte le vocali e consonanti a disposizione perché ogni parola potrebbe nascondere V.

La lingua perduta delle gru

Autore: David Leavitt

Giudizio: ***

Su una coppia matura cade, tra capo e collo, il peggior evento possibile per il loro stile di vita: devono decidere se acquistare l'appartamento nel quale vivono da anni dove sono sedimentati tutti i ricordi del loro matrimonio e delle loro vite, o cercare un altro appartamento in affitto. Il problema, prima sottovalutato, poi rimandato, grava come un peso insopportabile su questa coppia, abitudinaria, che ha vissuto il proprio quartiere come un rifugio protettivo nonostante i suoi cambiamenti avvenuti negli anni. Se ci pensano hanno la certezza che questa notizia non possa garantire loro un futuro sereno. Il figlio, ormai grande ed apparentemente affrancato dalla vita della famiglia di origine, appare lontano e marginale, ma contribuirà in modo decisivo a dare una svolta inattesa, sorprendente e spiazzante alle loro vite: il figlio è omosessuale, ma non lo ha mai detto loro e, quando deciderà di farlo, si apriranno crepe preesistenti, nel rapporto tra i genitori, e mai affrontate. Verranno al pettine nodi di cose mai dette e mai volute vedere.
La narrazione scorre in un continuo rimbalzo tra presente e passato, tra rammarichi e prese di consapevolezza, tra amicizie e conoscenze, tra amori veri o presunti, che si intrecciano nelle esistenze dei protagonisti. Le vite, tutte le vite che si incrociano, sono semplicemente complesse, a volte dolorose a volte splendidamente felici. Non sono mai una vorticosa girandola di fatti o eventi che prendono il sopravvento sul lettore, ma c'è una costante tensione su vite che non possono prescindere dall'omosessualità. Per alcuni è una cosa del tutto naturale, per altri è più difficile da accettare prima, e confessare poi, per altri ancora è un conflitto perenne, risolto con scelte familiari dolorose, oppure accettato anche se non lo si è mai voluto credere possibile. Per qualcuno, in modo non differente da quanto avviene nelle relazioni eterosessuali, c'è un coinvolgimento sentimentale che non trova risposta adeguata ed all'altezza delle aspettative da parte dei partner. Per qualcun altro c'è il pieno e completo rigetto dell'omosessualità. Per qualcun altro ancora c'è la ricerca di affrancamento da una società che porta alla ghettizzazione in particolari luoghi e comportamenti e che invece trova una risposta inattesa proprio dove pensava che non avrebbe potuto esserci risposta.
Il problema dei problemi, relativo all'appartamento, assume una rilevanza marginale rispetto ai segreti che hanno percorso la famiglia per tutti gli anni. Perché è amore anche prendersi cura, perché è amore anche essere sinceri, perché è amore anche omettere. Non tutto va detto, non tutto va taciuto, ed in questo caso è vero sia l'uno che l'altro. Nonostante siano contraddittori, sono a loro modo atti di amore.

L'Arresto

Autore: Jonathan Lethem

Giudizio: ****

Succede, in modo inspiegabile, l'inatteso: una mano invisibile disattiva ogni tecnologia. Le automobili sono ferme, le televisioni sono spente, anche le armi da fuoco smettono di funzionare. La tecnologia, in qualsiasi accezione possibile, smette di supportare l'umanità. Tutto quello che si dava per scontato non è più disponibile: viaggiare e comunicare sono sommersi dalla coltre dello stop tecnologico. Non è un blackout istantaneo. È un blocco che si distribuisce nel tempo, ma riguarda ogni cosa che non sia naturale come piante, animali, amicizia, amore, paura. L'umanità viene rigettata nella preistoria e reagisce per ricostruire la storia.
La società non esiste più nell'accezione nota fino a questo momento. Le comunicazioni sono impossibili, forse una barca francese ha tentato di approdare nella zona, ma è naufragata. Il protagonista si è trovato per caso in quel territorio prima del blackout totale. Era andato a trovare la sorella nell'est degli Stati Uniti ed ora abita nel piccolo nucleo di esseri umani che vive di quello che riesce a produrre con le proprie mani. Ognuna di queste persone deve avere un compito utile alla comunità ed il ruolo del protagonista è quello di garzone perché non sa fare nulla se non scrivere. Gli viene assegnato anche l'incarico di tenere i rapporti con quelli che difendono i confini. Non si sa bene da cosa o da chi, ma questa difesa viene pagata dalla comunità in natura. Viene narrato un contesto lineare, senza dubbio post apocalittico, ma senza scosse, con una sorta di rassegnata pacificazione.
Poi arriva la "scossa" e si apre uno squarcio "spazio temporale" nel quale il garzone si ritrova protagonista in qualità di amico dell'uomo che arriva dall'ovest con una macchina, una gigantesca macchina. La tecnologia è sopravvissuta grazie a questo personaggio che narra le sue avventure per attraversare gli Stati Uniti, ma quale sarà il costo per la comunità? Cosa comporterà l'arrivo dell'uomo che viene dal passato? Ogni cambiamento ha un costo, esattamente come prima dell'apocalisse, però ora è tutto diverso, la storia è diversa e va in un'altra direzione perché è da costruire e non da ricostruire.

Un'utopia, affrancarsi dalla schiavitù delle tecnologie, che ha il sapore di conoscere cosa si è perso senza sapere cosa si è trovato. Un balzo che mette a confronto le volontà di sopravvivere con le umane indoli dei singoli che possono confliggere per individuali propensioni ad indagare, ad esplorare, a pianificare, a costruire, a garantirsi la posizione raggiunta, costi quel che costi, ed a sognare un mondo diverso, ancora diverso, e migliore.

Ghost Generation

Autore: Stefano Scrima

Giudizio: ***

Questa è uno scritto "congiunturale" nel quale si descrive la questione generazionale degli attuali trentenni italiani. Può sembrare un'inutile precisazione, ma non lo è o, perlomeno, non è sovrabbondante precisarlo. Nel seguito cercherò di spiegare perché questo libretto non dovrebbe parlare solo ai trentenni.
Ogni trentenne dovrebbe leggere questo libretto, come sempre agile e "maneggevole" nel consolidato stile dell'autore, perché dà elementi di consapevolezza. Per questo anche ogni ventenne dovrebbe leggerlo e non sarebbe tardivo se lo facesse anche un quarantenne. Certamente ogni politico, nel senso di amministratore della cosa pubblica a qualsiasi livello, lo dovrebbe leggere. Non poniamo limiti alla divina provvidenza. 
Consapevolezza è una parola preziosa, a volte un po' abusata, e troppo spesso ritenuta di per sé salvifica. Sei consapevole e di conseguenza sai come comportarti ed affrontare e risolvere i problemi. Purtroppo non è così automatico e Scrima ci spiega il perché in prima persona, attraverso il suo portato empirico che, a ben vedere, è il portato empirico della sua generazione, ma non solo.
Ogni bimbo si brucia una volta, ma poi riconosce la fiamma e capisce cos'è il fuoco e non si brucia più. Un trentenne, che oggi equivale a dire precario, purtroppo rischia di bruciarsi e bruciarsi e bruciarsi ancora senza venire mai a capo di come evitare tutte queste scottature. E non è lui che sbaglia o non capisce, è lo schema di gioco in cui è inserito che gli impedisce di trovare una soluzione alternativa. Detto altrimenti è il capitalismo all'epoca del neoliberismo, baby.
L'autore identifica le cause e descrive gli effetti in modo puntuale ed a mio avviso preciso. Per esempio è interessante il suo soffermarsi sul tema della riconoscibilità sociale che otteniamo attraverso il mestiere che facciamo (dottore, avvocato, ingegnere). Elemento che è stato il sogno italiano ("ogni operaio vuole il figlio dottore", "il pezzo di carta serve sempre", cit.) venuto meno per la generazione fantasma il cui mestiere è comunque sempre e solo precario per quanto alta sia la scolarizzazione. Questo a meno che tu non sia figlio di avvocato, ingegnere, dottore et similia. In una società nella quale è il lavoro che ti identifica, se si svalorizza il lavoro, di conseguenza si svalorizza anche la persona ritenendola inetta a prescindere dalla cura, dalla passione, dalla competenza e dall'impegno con cui svolge il proprio lavoro.
D'altro canto è assai interessante anche quando si sofferma sulle aspettative individuali, fare ciò che rende felici, lavorare per il piacere e non per il bisogno di sopravvivere. Questa è una fortuna di pochissimi. In una società capitalista consumistica la TV ci ha insegnato che tutto è merce anche la felicità. Se hai denaro sei felice, alla faccia del proverbio "la ricchezza non rende felici". Per summa dell'infelicità, ti puoi trovare condannato a fare un lavoro che non ti piace, ovvero a fare un lavoro che ti piace e però non ti dà il sostentamento necessario per sopravvivere perché discontinuo, parcellizzato, sottopagato.
L'analisi è precisa ed arguta le conclusioni credo debbano essere maggiormente raffinate perché, se è vero che per la società siamo quello che facciamo, è anche vero che affinché qualcuno possa smettere di essere il lavoro che fa ci dovrà essere qualcun altro che dovrà lavorare per consentire al primo di fare il salto. Detto altrimenti, pur convenendo che è anche un problema culturale, è altrettanto vero che non è solo un problema culturale, ma, parlando in volgare, è anche un problema "organizzativo": se alla sera, dopo il teatro, vado fuori a cena, devo trovare almeno un cuoco ed un cameriere pronto a soddisfare la mia voglia, dopo aver goduto dello spettacolo che mi è stato concesso da attori, costumisti, attrezzisti, maschere, ecc., e non è per nulla scontato che tutti costoro abbiano la fortuna di farlo per il proprio piacere. La lotta contro l'ingiustizia sociale, la disuguaglianza estrema indotta dal capitalismo neoliberista non credo si risolverà con una "battaglia campale", penso sia necessario predisporsi ad una "guerriglia" che non lasci mai solo nessuno per pigrizia, per noncuranza, per distrazione, per sottovalutazione. Le armi da utilizzare sono la cultura, la consapevolezza e la capacità di portare a sintesi le possibili contraddizioni anche quando appaiono insormontabili.
Il sistema resta capitalista e consumistico e cambiare il sistema da dentro il sistema necessita di affrontare contraddizioni senza tralasciarle come se fossero marginali. Racconta la fola che la precarietà all'inizio fu interpretata come una questione marginale e passeggera, mentre racconta la storia che la precarietà è diventata una questione epocale. Ed è per questo che, purtroppo, non sono solo i trentenni ad essere preda della precarietà. Forse lo sono in numero maggior, forse lo sono in modo meno consapevole, forse anche meno doloroso, ma chiunque perde il lavoro oggi entra nella bolla della precarietà e questo succede anche a cinquanta e sessant'anni.

Devo dire che mi sono permesso di aggiungere del mio. Anche per questo il mio invito è quello di rendere questa lettura multi generazionale. Le ragioni di fondo accomunano l'umanità e non solo la Ghost Generation del titolo. Lei qui è la generazione protagonista, ma non deve restare sola ed a sua volta dovrà rendersi stimolo e supporto per le generazioni che la seguiranno. Queste ultime ne avranno bisogno come la Ghost Generation sa meglio di altre generazioni.

Ah l'amore l'amore

Autore: Antonio Manzini

Giudizio: **

L'amore è esclamativo e senza virgole per non lasciar prender fiato. Questo è il punto.
Sì, qui dentro c'è anche un incidente di lavoro, anch'esso esclamativo da lasciare senza fiato, ma con tanto di medaglia. Un secondo incidente di lavoro che, però, forse tale non è. Quest'ultimo odora più di omicidio, o meglio puzza tanto, ma servono prove, servono indagini, rudi movimenti che restino sotto traccia, nella melma in cui ci si muove. Si arranca tra i rigagnoli di un'umanità incomprensibile nella quale si insegue il sordido interesse personale come macchina pulsante che può condurre all'omicidio.
Nulla di nuovo sotto il sole, epperò ... si intravede l'amore, l'amore non sempre canonico. L'amore per il lavoro, spesso infame, ma necessario. L'amore per gli amici, più fratelli stronzi che fratelli. L'amore contemporaneo per tre donne alle quali non sai rinunciare perché si completano, due sorelle ed una cugina, tutte maritate, un garbuglio che è impossibile anche solo raccontare. L'amore per l'unica vera amata, quella che non c'è più, anche se c'è sempre. L'amore per il sentirsi vivo solo con il gioco d'azzardo. L'amore per il lavoro che è più una missione pericolosa durante la quale hai tra le mani la vita altrui. L'amore per la vicina di casa con la quale non spiccichi nemmeno due parole e che, per farlo, ti devi preparare un discorso che suona più un verbale di polizia che una dichiarazione d'amore. Forse, senza questo titolo un po' "buttato lì", un po' "sgraziato", non avrei colto questo amore perché, forse, non c'è tutto questo amore, forse è un'invenzione del lettore, forse.

Il silenzio

Autore: Don DeLillo

Giudizio: ***

Ogni progresso, ogni passaggio di stato, porta con sé un cambiamento che non sempre riusciamo a comprendere, ad apprezzare o disprezzare. Guadagniamo qualcosa a costo della perdita di qualcos'altro e non sappiamo fare il bilancio delle novità che tutto ciò comporta per le nostre vite. O meglio prendiamo atto della contingenza in attesa di un imminente e certo futuro cambiamento, seppur fumoso. Le nostre esistenze sono più calibrate su certezze di quanto siano pervase dalla consapevolezza di ipotesi di cambiamenti. Quanto è stato raggiunto per noi è cristallizzato ed apparentemente privo di interesse pratico, a meno che non venga meno. Può quindi accadere che una serata conviviale organizzata tra amici per vedere insieme il Super Bowl venga rovinata dal silenzio esteriore e dal silenzio interiore.
Il silenzio esteriore è quello causato dal black-out incontrollato ed incontrollabile che provoca lo spegnimento di uno?, dieci?, cento?, mille?, milioni? di antiquati apparecchi televisivi, di vetusti telefoni fissi, di moderni sistemi di controllo aereo per garantire voli ed atterraggi in sicurezza, degli ordinari ascensori, delle imprescindibili luci domestiche, fino ai modernissimi smartphone che non riescono più a stabilire le connessioni con l'internet. Senza internet non sappiamo cosa sta accadendo di preciso, anche se sta accadendo a noi. Il "grande rumore" della modernità è sopraffatto da un fusibile saltato o dalla terza guerra mondiale? Si risolverà questo inconveniente e tutto tornerà come prima (la partita si starà comunque giocando?), oppure nulla sarà più come prima e la storia retrocederà alla barbarie di uno, dieci, cento, mille stati umani precedenti?
Il silenzio interiore si caratterizza contemporaneamente su un piano diverso e fa i conti con il grande rumore che esiste dentro ognuno di noi. A partire dall'inadeguatezza di quelle amicizie che, forse, non sono poi così profonde, nonostante l'evento del Super Bowl sia una delle cose più profonde che la moderna civiltà possa rappresentare al pari dei campionati del mondo di calcio che, di per sé, resta sport incomprensibile, quasi tribale. Il rumore interno viene azzerato dall'impossibilità di tollerarlo perché percepito come devianza assoluta, da silenziare qualunque essa sia: sistematizzare ricordi su taccuini, voler vedere una partita di football americano spiluccando tramezzini, avere fantasie storico-scientifiche, voler ascoltare l'ex studente, dopo che lui ha ascoltato te per anni, e non voler sentire quello che invece sentiresti se non ci fosse il silenzio.
Quello che si sente dentro, quando fuori c'è il silenzio, può lasciare senza fiato e costringere a muoversi a tentoni nell'oscurità a cui siamo giunti senza sapere, senza immaginare: non era possibile e se non era possibile, forse, non è.

Chiamate telefoniche

Autore: Roberto Bolaño 

Giudizio: ****

Mi vorrei fermare per pensare, ma poi penso che, per pensare, non ci si deve mai fermare. Non so se questo fosse un fine di questa raccolta di racconti brevi e brevissimi (aveva un fine?), ma è questa la sensazione che mi lascia. Le storie dei personaggi estremi, nel senso che vivono seduti, se non sdraiati, ai margini della società, non sono storie estreme, ma sono storie indimenticabili per il solo motivo di essere raccontate.
Scrittori falliti (uno più fallito dell'altro) che vivono di "espedienti letterari" scambiandosi indicazioni per i concorsi letterari oltre che raccontandosi reciprocamente in un lungo carteggio letterario, finché è possibile. Personaggi di cui non si conosce il nome, ma solo una lettera (l'iniziale del nome o semplicemente la prima e la seconda lettera dell'alfabeto?). L'offensiva esclusione della poesia, non inserita nella rivista che si è contribuito a fondare, che trascinerà il rancore per tutta una vita fino all'inaspettata scoperta finale: il rancore proveniva da una sola direzione. I poliziotti incapaci di comprendere fino in fondo quello che stanno facendo tenendo segregato un ex compagno di classe pensando che è lui che non capisce fino in fondo cosa stia accadendo. Una pornostar, a suo modo romantica, e pronta a donare il suo amorevole interessamento ad un ex collega ormai tramontato. Un amore pazzesco tra una "pazza" (forse) ed uno "normale" (forse). Un legame telefonico per il primo amore della vita fino a che questo non scompare. Colui che passa dall'essere un balordo cileno all'essere il tutto fare di un gangster russo, perché il comunismo lo ha portato lì, e lui ha saputo destreggiarsi non senza perdere le due cose più belle che gli fossero accadute: l'amicizia e l'amore. La donna che ha amato senza essere amata o forse che non ha mai amato pur essendo amata.
In tutte queste storie la poesia si annida nell'assenza di poesia. Il tratto è netto e ben definito, senza ascensioni e senza precipizi. Tutto sembra piatto anche se non può esserlo perché ogni vicenda è tutt'altro che piatta. Le storie scorrono lineari, ma in bilico tra la leggerezza del modo in cui viene narrata la realtà e la disperazione dell'impossibilità di afferrare quella leggerezza per alleviare la realtà. In fondo si trova sempre il finale divaricato tra il detto e il non detto, tra il fatto e il non fatto che ci lascia lì, seduti su quel margine, lettori estremi di storie estreme.

La versione di Fenoglio

Autore: Gianrico Carofiglio

Giudizio: ****

Le sessioni di fisioterapia sono noiose, accese solo da un dialogo interiore, quello che si imputa come tratto caratteristico dei sedicenni, ma che si accompagna all'esistenza di ognuno per tutta la vita. Poi dal dialogo interiore, detto e contraddetto con relative reprimende mentali, si passa al dialogo con un essere umano in carne, ossa e protesi all'anca. In comune, apparentemente, solo la protesi da "assorbire" come parte integrante del nuovo corpo per riportarlo alla normale deambulazione, ma in realtà tra i due si manifesta una "perfetta" complementarietà che non è mai garantita dal semplice essere umani.
I due sono un sessantenne ed un ventenne. Il primo avviato verso una nuova vita di futuro pensionato, il secondo avviato verso la vita. Entrambi con i dubbi di ciò che sarà, ma con un sincronico completamento: il vecchio può raccontare, il giovane può ascoltare. Meglio: il vecchio sa raccontare, il giovane sa ascoltare.
Sono due sconosciuti, piombati casualmente nello stesso orario nella stessa sala di riabilitazione. E per puro caso scoprono comuni interessi e comuni dubbi irrisolti che esplorano con reciproco pudore. In questo dialogo prima creduto fortuito, e poi agognato, si manifestano i necessari aggiustamenti perché ogni racconto è solo una versione di quel fatto. In quanto tale è fallibile, non è certezza assoluta. Per quest'ultima ci vuole perseveranza, spirito critico, disponibilità a superare pregiudizi, necessità di cambiare gli schemi e fortuna, tanta fortuna. Perché il caso esiste, a dispetto di chi ritiene che nulla è casuale perché nulla dipende solo da noi. Il presagio sta nel titolo e si materializza nella lettura: questa è solo una versione, non necessariamente la migliore possibile.

L'arte di sfasciare le chitarre. Rock e filosofia

Autore: Stefano Scrima

Giudizio: ***

Qui leggerete che il rock è morto, ohibò, e, nonostante la nostra inconsolabile tristezza, a che serve continuare ad esibire il cadavere? Dovremmo procedere al seppellimento?
Il cadavere sarà omaggiato per tradizione, per (com)passione, per amore incondizionato, come accade a tutto ciò che in vita è stato straordinario. Perché questo si può dire con certezza: il rock ha avuto una vita straordinaria!
Se il rock è morto, la filosofia non si sente molto bene. Pensate che pensare pare sia diventato un orpello. La società ha confinato la filosofia in un cantuccio come "varia ed eventuale", accidente marginale che non concorre alla "produttività" alla quale ognuno di noi deve contribuire. La filosofia è scambiata per una filosofia di vita (tutti siamo filosofi) e non la Filosofia per la Vita (tutti dovremmo indagare gli accadimenti che ci sovrastano nel corso dell'intera vita). Così procediamo oltre, perché non è più tempo di filosofare, non è più tempo di poesia, non è più tempo di sogno.
Se avete la ventura di trovarvi tra le mani questo libretto, non troverete rappresentato in esso un nobile defunto ed una grande dama malandata. Avrete modo di leggere, da una angolazione inusuale, cose che sono parte della vita se amate il rock e se amate la filosofia, compenetrazioni dei due corpi che sono ben più affini di quanto si pensi (sostiene Scrima). Troverete la vita, quella vera, non quella disegnata dai media, o richiesta dalla società, stereotipata quanto basta per renderla come il cellophane che usiamo per avvolgere il cibo prima di metterlo in frigorifero. In questo testo nulla è freddo. Il cellophane trattiene e conserva, mentre in questo libro si sprigiona la possibilità (necessità?) di ribellione, un'ipotesi giusta (sbagliata?) per sovvertire l'ordine non per la noia, ma per la verità. Travalicare ciò che è stato vero fino ad ora, e che da domani potrebbe non esserlo più, perché quella canzone ha cambiato la storia, quel libro ha mutato il modo di pensare. Nulla sarà più come prima perché la chitarra rotta è sempre una chitarra nuova: è il divenire del volume sempre più alto, l'eterno ritorno di ciò che sarà ancora e ancora e ancora, l'affermarsi della volontà matrigna (consolatrice?) che dobbiamo sfidare per giungere al Nirvana. Rompere gli strumenti ad un concerto rock rappresenta una rinascita attraverso un gesto apparentemente scontato che attrae come solo un gesto sublime può fare, solo come una mente sublime sa fare, è l'atto finale, è l'atto di rinascita, circolare come un giro di chitarra.

Una questione privata

Autore: Beppe Fenoglio

Giudizio: ****

La Resistenza è stata anche questione privata attraverso la quale, in questo romanzo, si traccia la questione collettiva: la guerra di liberazione per un Paese gettato nel fango dalle miserie alle quali la guerra condusse gli italiani. Fango intriso di sangue che accomuna i futuri vinti ed i futuri vincitori, nonostante la ragione fosse evidente fin dal principio. Però la ragione non è mai sufficiente da sola, seppure sia elemento sempre necessario.
Il romanzo va oltre alla guerra, così come la si studia sui libri di scuola, e dalla questione privata emergono uomini e donne con le loro sofferenza, paure, antipatie, invidie, amicizie, amori. Tutta questa vita, e morte, confluisce nella questione collettiva, per un bene supremo al quale si sottomette tutto, o quasi. Perché ripararsi sui monti non occulta i sentimenti vitali di amicizia, di lealtà, di amore, però li annacqua, ne stravolge l'ordine prioritario. L'odio per il nemico è quello che ti trascina avanti, ogni giorno ed ogni notte, nonostante la paura per non sapere, il timore di non aver capito, il dubbio di non riuscire a salvare quello che ti è più caro, non un ideale, ma persone in carne ed ossa.
Nella questione privata si cerca la libertà, ma in certe pericolosissime situazioni, si insegue la leale amicizia, ma necessitano particolari condizioni, si pensa all'amore che è sentimenti tanto certo per il protagonista quanto incerto, perché non apertamente palesato, dall'amata. Che, in fondo, per ogni soggetto nel libro, tutte sono questioni private: le vecchie che aiutano Milton, il compagno che si rallegra di vederlo ancora in piedi, il contadino sollevato dal non aver saputo il giorno precedente che un partigiano avrebbe trascorso la notte nel suo fienile. Ci sono motivi e ragioni profonde per affrontare la vita e metterla in pericolo come quando si affronta un fascista, o per affrontare la propria coscienza e metterla in pericolo combattuta tra amore ed amicizia, tra umanità e dovere. È un'indagine pericolosa il cui finale non è certo.

Di carne e di nulla

Autore: David Foster Wallace

Giudizio: ***

In questa raccolta (saggi, reportage, prefazioni, interviste) emerge lo strabordante talento di DFW attraverso la minuziosa ed attenta rappresentazione del contemporaneo in qualunque forma esso si presenti (cinema, TV, letteratura, vita). La varietà di argomenti affrontati ed il modo "trasversale" nel quale DFW li fronteggia senza arretrare di un millimetro in un'area di conforto normata dal comune sentire, mostrano il senso che DFW ha (dato) dello status (concetto) di intellettuale. È onesto quanto basta per dire che se c'è una verità quella non è necessariamente la sua, ma sufficientemente coraggioso, sprezzante ed urticante da non vedere, in quel momento, risposte migliori alle questioni poste dalla vita e quindi scrive apertamente le sue. Se scrivi una biografia su Borges e non hai capito nulla di ciò che Borges ha scritto perché sei un pessimo lettore della sua opera, DFW te lo scriverà (lo ha scritto ed ora noi lo possiamo leggere).
Le questioni poste dalla vita ed affrontate in questa raccolta sono effimere tanto quanto la poesia in prosa (cosa mai potrà essere la poesia in prosa se non testi poetici giustificati?, ma pure quella cosa abbagliante e trasgressiva che DFW ha letto e che lo ha convinto ad uscire ed acquistare l'opera bellissima di quel poeta, accidentalmente posta insieme a prose poetiche di scadente spessore tanto che DFW le inserisce in un elenco puntato come se fossero un inventario di titoli per una statistica di cui presenta le percentuali). Sono anche "oziose" notazioni sul miglior utilizzo di ventiquattro parole (se sapete ed utilizzate l'inglese questo testo credo arricchisca l'ampiezza della lingua inglese abbinata alla consapevolezza del necessario vocabolario a supporto della conoscenza della lingua perché un vocabolario serve sempre, in qualunque forma esso sia [solo chi leggerà capirà il riferimento ad un invito estremamente trasgressivo per un "oggetto" come un vocabolario che è custode del significato e dell'uso delle parole]).
C'è un sottofondo costante in quanto si legge in questa raccolta. Potrebbe essere una musica dall'andamento veloce, allegro, vivace, ma anche lenta ed avviluppata su sé stessa, ripetitiva e ridondante: la vita che passa dallo "stordirsi" volontariamente davanti alla TV, partecipare come uditore ad un incontro di alcolisti anonimi (perché la prima regola di un gruppo di alcolisti anonimi è non parlare mai del gruppo di alcolisti anonimi), fino ad interrogarsi su cosa può essere vivere (è vita anche se può sembrare che non lo sia) al tempo dell'Aids, oppure perché i vistosamente giovani autori (come DFW, per inciso) sono schiacciati dalle condizioni sociali ed ambientali in cui si trovano a scrivere, loro che hanno vissuto solo al tempo della TV. Sono apprezzati al contempo perché esistono nonostante la TV e scrivono cose buone, a volte ottime, e condannati per quella stessa coesistenza: esistono come esiste la TV (forse non dovrebbero esistere come non dovrebbe esistere la TV?).
Per DFW la scrittura è divertimento. Si gira in lungo ed in largo per cercare cose "più intelligenti" da scrivere e più le cerchi più le cestineresti perché non sono sufficientemente intelligenti (almeno dovresti essere indotto a farlo) fino a quando capisci che si deve tornare a scrivere per divertimento. Solo in questa condizione hai ancora la possibilità di scrivere, anche se è narcisismo ed egocentrismo. Di carne e di nulla è divertimento per DFW, ma anche per chi lo legge, nonostante tutta la vita che ci portiamo dentro.

Buona lettura.

La misura del tempo

Autore: Gianrico Carofiglio

Giudizio: ****

Una sorpresa (felice?) coglie l'avvocato Guerrieri nel suo studio. Studio che condivide da avvocato anziano (il tempo corre, non si ferma mai, nonostante ci paia che in alcuni momenti acceleri ed in altri rallenti) con i colleghi ed il sacco d'allenamento per la boxe, espressivo e complice come forse nessun altro nei momenti di bisogno. Guerrieri non smentisce la sua indole che lo trascina a meditare su cosa è stato, su cosa ha cambiato il tempo trascorso. Perché, se ora è quello che è, lo deve anche a quella ragazza che adesso si presenta davanti a lui, diversa, non solo invecchiata. E quanto sarà diverso Guerrieri agli occhi della donna lo si intende dai pensieri di Guerrieri in eterna lotta tra ciò che può e ciò che deve, ai limiti del possibile e dell'impossibile, ma con la solita ragionevolezza che lo guida.
Il caso vuole che il caso sia un processo di appello che vede il suo cliente condannato in modo schiacciante in primo grado. Però non è il fato, o il tempo passato, che spinge Guerrieri ad accollarsi quella che all'apparenza è una causa persa, ché in effetti è già stata persa da un collega in primo grado. È il solito Guerrieri che intravede una via e decide di percorrerla forse per negare ciò che il tempo cambia o forse, in modo più sottile, per indagare ciò che il tempo cambia. L'esito dell'operazione, per citare il protagonista, sarà un 50 e 50, fino al finale oltre il finale accertato. A suo modo la strada è stata percorsa nonostante le buche ed anche grazie a due momenti cruciali di lucida consapevolezza corroborata da esplicita e forse, solo immaginata perché tacita, approvazione. Le protagoniste di questo interessato consenso, reale o immaginario che sia, sono una giovane magistrata ed una altrettanto giovane componente della giuria popolare nel processo di appello. Le parole di Guerrieri in contesti assai distanti, una conferenza di un avvocato anziano a giovani magistrati ed il dibattimento nel corso di un processo di appello, sono cariche di valore etico e morale e le due giovani donne lo colgono, o almeno nel secondo caso così pare, come Guerrieri comunque vuole immaginare.

L'avvocato Guido Guerrieri è vivo e medita insieme a noi, cerca giustizia anche se deve utilizzare la legge e non solo la testa ed il cuore.

Helgoland

Autore: Carlo Rovelli

Giudizio: ****

Quanta poesia c'è nella fisica? Quanto basta, come si scrive in ogni ricetta che si rispetti di cui ancora non abbiamo assaporato il risultato finale. Il sapore superbo è garantito da un quanto basta che è fuori controllo, al profano, ed è la poesia del cuoco che lo domina.

La fisica è quanto di meno aleatorio possiamo incontrare. Non c'è trucco, non c'è inganno: la fisica descrive in modo preciso e formalizza attraverso formule matematiche ciò che accade nel pianeta, nell'universo. Con la fisica abbiamo la sensazione che chi la maneggia sappia come si autoregola il mondo reale, quello dove passeggiamo quotidianamente e che possiamo descrivere attraverso le leggi della fisica.
Io sto pensando all'esercizio di fisica nel quale mi si chiedeva di dare valori all'angolo con il quale l'atleta di salto in lungo avrebbe dovuto spiccare il balzo, alla velocità che avrebbe dovuto possedere al momento dello stacco ed alla distanza che avrebbe coperto l'atleta senza trascurare un leggero vento contrario. Quanta poesia c'è per un saltatore in lungo in questo esercizio di fisica? Quanto basta, anche se per me ci fu solo terrore. E quest'ultimo non sarebbe stato di certo minore se avessi dovuto descrivere in numeri l'urto elastico di una pallina da tennis con le corde di una racchetta.

La fisica all'inizio dello scorso secolo, grazie ad intuizioni poi verificate matematicamente, affrontò la rivoluzione della fisica quantistica. La fisica classica non è più una risposta sufficiente e deve essere "integrata" in tutto quello che la fisica quantistica ci ha "offerto" di nuovo. Che poi nuovo non è, esiste da sempre, ma non ce n'eravamo mai accorti. C'è stato un tempo in cui il mondo sembrava "semplice", poi è arrivata la teoria dei quanti che ha mescolato le carte distribuendole per una nuova partita tutta da giocare.
Alcune evidenze teoriche e sperimentali si sono dimostrate inconciliabili con quello che i fisici si sarebbero aspettati. Questo ha indotto ad elaborare teorie diverse dei molti mondi o delle variabili nascoste. Non c'è ancora una parola fine, stiamo ancora navigando nell'esplorazione di queste fantasmagoriche novità: onde di probabilità, particelle lontane che risultano magicamente connesse, particelle che forse non devono più essere interpretate come tali. Proprio perché a tutto ciò non è ancora stata data una risposta definitiva tale teoria resta profondamente misteriosa. Nel libro l'autore presenta una diversa prospettiva che supera il materialismo ingenuo e l'idealismo per affrontare le questioni fondamentali, ancora irrisolte, che attengono alla costituzione della natura ed alla costituzione di noi stessi, che della natura siamo parte. Soggetti osservatori non terzi, ma immersi in tutti i processi che osserviamo.

Libro semplice, filosofico, poetico, affascinante quanto basta. Buona lettura.

Dieci splendidi oggetti morti

Autore: Massimo Mantellini

Giudizio: ****

La tecnologia è al servizio dell'umanità perché la "aiuta": "migliora" la qualità di vita, "accorcia" i tempi, "riduce" gli spazi, "aumenta" le capacità umane consentendo di realizzare cose impensabili fino a pochi anni prima. Allo stesso tempo l'umanità rischia di diventare schiava della tecnologia, ovvero rischia di confondere la tecnologia come fine e non come mezzo per "accrescere il benessere" di partenza quando quella tecnologia non esisteva. Paragonare qualsiasi esistenza umana tra un'epoca nella quale una data tecnologia non era disponibile e un'epoca successiva nella quale tale tecnologia è stata sviluppata e acquisita come norma per l'umanità conduce a constatare cambiamenti significativi in termini sociali, artistici, economici, politici. Questo libro è al tempo stesso circostanziato, perché focalizzato solo su dieci cose, pur affrontando in modo assai ampio quello che hanno rappresentato nelle nostre vite quelle cose che ora non esistono più.

In realtà il titolo è fuorviante ed impreciso. Fuorviante perché gli oggetti citati non sono semplici oggetti, ma sono l'idea di vita al tempo di quegli oggetti e, in alcuni casi specifici, sono solo pura idea mancando la componente tridimensionale che caratterizza ogni oggetto nella sua concretezza fisica. Impreciso perché i capitoli sono undici ed il "capitolo fantasma", utilizzato come intermezzo, è assai gradevole, almeno lo è stato per me.

Non è mia intenzione svelare l'elenco per non togliere la sorpresa a chi avrà la voglia ed il tempo di leggere questo libro. Però voglio avventurarmi in alcune questioni con esempi distinti rispetto a quelli raccolti e raccontati dall'autore. Immagino a cose d'ampio uso quotidiano, per le quali non saprei pronosticare la fine, senza peraltro poterla escludere. Cosa sarebbe la nostra vita senza la luce elettrica? Cose comuni come la lavatrice, il frigorifero, l'asciugacapelli, la radio/televisione non esisterebbero. Oggi sono oggetti presenti ed utilizzati in milioni di case, ma saranno eterni? Immagino che per un cacciatore nell'antichità lo fosse anche l'arco, ma sappiamo che oggi l'arco esiste solo come sofisticatissimo oggetto di sport e non come strumento per procacciarsi cibo. Chi può escludere che gli abiti così come li conosciamo oggi non saranno sostituiti da abiti usa e getta biodegradabili? 

Di questa lettura mi affascina l'ambivalenza che viene raccolta nella relazione che si instaura tra le nostre vite e gli oggetti che le caratterizzano in qualunque forma e modo siano utilizzati. Nel momento in cui ci accorgiamo che prima di oggi le cose si facevano in altro modo e per farle utilizzavamo oggetti che oggi non esistono più, subentra la nostalgia. Questa nostalgia è solo per un tempo passato, oppure è anche per gli oggetti? Quel tempo e quegli oggetti ci hanno insegnato qualcosa che ora è nostro patrimonio, oppure si sono mostrati neutri? E la tecnologia che usiamo ora è neutra o dovrebbe insegnarci qualcosa? In ultima analisi le nostre vite dipendono dagli oggetti che utilizziamo, oppure ne possono prescindere? Gli oggetti sono mezzi o sono fini?

Buona lettura.

Il prof fannullone

Autori: Chiara Foa' e Matteo Saudino

Giudizio: ****

In principio furono "tre mesi di vacanze", ingoiati con signorile grazia per incanalare tutta la forza sottratta alla possibile scazzottata per la stesura morale e politica di questo libro. All'avvio segue una vicenda appassionata, epica (come si può definire altrimenti essere messi a parte di ciò che succede vicino alle porte di Tannhäuser?), di quello che gli autori ritengono il più bel lavoro del mondo. No, non il fannullone, ma il prof, rigorosamente senza punto a chiusura dell'abbreviazione perché, di per sé, questo è un nome, non un'abbreviazione: la/il è prof non è professoressa o professore da che mondo è mondo.

Le storie (sarebbe meglio dire le cronache marziane, rubando a Ray Bradbury) sono colme di giorni di ordinaria follia (in questo caso non rubo, per Joel Schumacher il giorno era singolo, qui di singolari ci sono le [dis]avventure) nel corso dei quali ci si deve destreggiare per "ordinare il pasto" che l'addetto del fast food non serve più perché la fascia oraria che lo prevede nel menù è scaduta da un minuto: la burocrazia dei fast food è motore immobile sul quale procede l'impero verso occidente.

Un inizio nonostante tutto gioioso, ma già raffreddato dall'aria gelida che circola nei diplomifici. La consapevolezza di una burocrazia che si esplicita per acronimi (ma DS è Direttore Sportivo, non può essere altro!, come ASL è solo Azienda Sanitaria Locale) e che assurge a modello democratico dal quale non ci si può sottrarre, soprattutto se si è sinceramente democratici. Un bonus da utilizzare per aggiornamento e formazione, purché a trarne beneficio sia l'entità scuola e non l'entità docente che in ultima analisi è solo colei o colui che trasmetterà all'entità discente (utilizzatore finale per chi si è nutrito di cronaca politica in questi anni) anche il frutto del proprio sapere aggiornato. Le fatiche erculee per orientare la didattica alle singole necessità educative e formative di ogni studente inserito in classi pollaio. Le uscite didattiche che il ministero valorizza, ma che solo pochi giapponesi rimasti a difesa dell'isola "gita" scelgono di fare sapendo che dovranno essere almeno esperti gommisti, oltre che intransigenti tutori di studenti e dell'autista del pullman. Tutto questo, e molto altro, senza tralasciare colleghi e soprattutto genitori. La metafora del "safari" è l'essenza dei colloqui generali e delle dinamiche dei gruppi whatsapp dei genitori: l'inesplorato si palesa al tuo cospetto e tu rimani senza parole, letteralmente, e capisci che la banalità del male è sempre dietro l'angolo che ti aspetta per tenderti un agguato.

In tutto questo mi ci sono ritrovato anche io in qualità di genitore, spero più prossimo al modello 1969 che al modello 2009. Ma per averne certezza dovrei chiedere a figlia, moglie, docenti, genitori e ... non sono stato così cattivo da meritarmi così tanto carbone oggi. Fidatevi della mia parola d'onore.

L'arte di disobbedire raccontata dal Diavolo

Autore: Stefano Scrima

Giudizio: ****

Illuminante e, del resto, chi potrebbe essere più illuminante di colui che porta la luce? Un volo sulfureo (e che volo) sull'arte in cui tutti ci siamo cimentati: disobbedire. Oppure è capitato solo a me di essere parte di questo dialogo?: "Hai finito i compiti?", "Sì." che al tempo stesso metteva in pratica disobbedienza e menzogna. Riprovevole e diabolico.
In questo libello il Diavolo in persona, attraverso un portavoce come qualsiasi povero diavolo pubblico che si rispetti, ci racconta quale e quanto è cruciale il suo ruolo sulla nostra vita mortale. Il crocicchio non è mai un caso se di mezzo c'è il Diavolo.

Lucifero è un predestinato bellissimo, brillante, intraprendente e, sicuramente, ambizioso. Per questo suo essere (ma chi, se non il Creatore stesso, lo ha creato in tal modo?), mette in pratica la ribellione che passa alla storia come l'eterna lotta tra il bene ed il male. Lucifero ritiene impropria questa rappresentazione per contrapposizione e ci racconta come la peculiarità della sua ribellione stia nel dono eterno che fa all'intera umanità di poter scegliere tra obbedienza o disobbedienza. Detto altrimenti ci dona la libertà. Un atto di altruismo che, ingiustamente, non gli viene riconosciuto.

Di questa possibilità inestimabile possiamo godere grazie alla sua primigenia ribellione che da millenni si vuole condannare per redimere l'umanità intera dal male. Eppure, a suo dire, tutte le altre storie che lo riguardano sono infamanti fandonie perché in verità lui ci ama e non brama le nostre anime: cosa se ne farebbe di una pletora di anime disobbedienti? Su questo c'è da convenire perché ci ama al punto tale che ha donato a noi tutti la libertà di dubitare, tra gli altri anche di lui. Senza il suo gesto saremmo privi di questo privilegio ed il Paradiso terrestre sarebbe la nostra gabbia eterna.

L'amore del Diavolo è sincero altruismo e non va inteso nel senso dell'amore che ogni creatura dovrebbe avere nei confronti delle altre creature attraverso Dio, ma interpretato (apprezzato? Tutto ciò che passa dal Diavolo ha un prezzo...) come diretto per quello che siamo e non per quello che dovremmo essere. Quindi anche i cattivi dovrebbero essere amati ed il Diavolo ama anche (soprattutto) loro. Dirompente e prossimo al vangelo. Questo dono che ci ha fatto gli è costato il precipizio negli inferi, ma padrone della sua libertà che rivendica e che ci invita a praticare quale nostro mentore (oscuro). Perché se pratichi il dubbio in modo sistematico e non ti accontenti di accettare verità rivelate che richiedono un'adesione fideista, allora disobbedisci, ti ribelli. Cosa che non si fa per partito preso, ma perché si sceglie di praticare il dubbio. Questo lo possiamo fare solo praticando sempre il pensare, il filosofare, approfondire per conoscere. Se si ha l'accortezza di non produrre danno ad alcuno questa è la strada da percorrere per restare libero e per suggerire sempre la libertà a tutti e per tutti.

Memorie di Adriano

Autore: Marguerite Yourcenar

Giudizio: *****

Un libro memorabile per titolo, contenuto, forma. Una lettera che diventa memoria di una vita: aspira ad essere un lascito morale e culturale per il futuro erede con tutta la consapevolezza dei limiti dovuti alle differenze che caratterizzano ogni essere. Adriano così diverso da Traiano, pur essendone erede. 

Adriano è un militare, un amministratore, un diplomatico, un letterato, un cacciatore, uno scrittore. Sicuramente un privilegiato che intende mettere a frutto i suoi privilegi per perseguire la pace e non la guerra seppure, con rammarico, ricorderà di aver praticato la guerra come unica e necessaria via per raggiungere la pace.

Un imperatore che non è romano e che vive a Roma pochissimo, sia per le esigenze di amministrare un impero vastissimo, sia per le esigenze militari, sia per la sue preferenze personali. Atene lo attrae più di Roma per la cultura che aleggia in quel luogo: filosofia, lettere, sculture. Ed è greco anche il suo preferito, Antinoo. Però Adriano assegna a Roma l'austera e rude tenacia necessaria per definire e realizzare pratiche e modi per condurre un impero, letteralmente. Senza Roma e la sua storia non esisterebbe quell'impero. I fasti romani sono ragioni di stato a cui anche l'imperatore deve sottostare, uomo tra gli uomini.

Queste memorie sono una dichiarazione di amore per quanto è stata la sua vita, non senza rimpianti e dolori. La moglie che gli è stata imposta e che non ha mai amato, peraltro in questo ricambiato. L'impossibilità di dedicarsi agli studi ed alle letture perché ad un imperatore è richiesto altro. Gli intrighi del palazzo con esiti funesti e tristi allontanamenti di amici che hanno agito a sua difesa, ma che pagano per gli eccessi provocati. Gli amici persi per la loro morte.

Su tutto aleggia l'intenzione, l'aspirazione di cercare di comprendere l'altro, che sia schiavo o re, amico o nemico. Una pulsione perenne al dialogo che umanizza la figura divina dell'imperatore. Essere uomo per comprendere l'uomo con pregi, difetti, bassezze e purezze. L'impero è un'entità sovrumana alla quale serve un imperatore per governarlo, mentre l'umanità è solo degli uomini, di tutti gli uomini.

Il decoro

Autore: David Leavitt

Giudizio: ****

Alta borghesia americana, anno 2016, Trump presidente degli Stati Uniti d'America, cosa può succedere dalla combinazione di questi elementi? Che alla "stella polare" della compagnia di amici salti in mente di proporre alla compagnia stessa un argomento di discussione: "chi chiederebbe a Siri come uccidere Donald Trump?". Ovviamente nessuno..., anche se..., forse sì..., sicuramente sì..., però..., ma non per paura, semplicemente non lo chiederei.

Inizia in questo modo surreale il racconto di alcuni mesi della vita di un gruppo di amici tra New York, Connecticut e Venezia. Nessuno di loro si rifugia sulle montagne, per combattere il trumpscismo, tutti proseguono le loro vite più o meno astiose, più o meno risentite, più o meno alte, più o meno brillanti rispetto alla tragedia dell'elezione di Trump. La protagonista, Eva, donna brillante, sofisticata, catalizzatrice della compagnia di amici e loro "stella polare" (come mai parliamo di Eva anche quando non c'è?) è sconvolta, non ammette l'ennesimo errore dopo Bush vs Gore del sistema dei grandi elettori che eleggono colui che ha ottenuto meno voti popolari. La sua è un'ossessione, alla quale trova una via di uscita, forse. Con tutti gli inciampi del caso primo tra tutti quello di convincere l'arredatore ad intervenire per vedere, incidentalmente, pubblicato l'appartamento ristrutturato su una rivista specializzata.

Intorno a questo vortice gravita tutto il resto, o meglio tutti i resti dei personaggi della compagnia, ognuno con le proprie miserie. A partire dall'amica fedele di Eva, Min (ho scoperto l'accezione americana del termine minion che ha invaso l'immaginario collettivo con la fortunata serie di film animati di cui "Cattivissimo Me" è il precursore), il marito Bruce, fedelissimo, sempre accondiscendente, guidato da Eva con mano ferma e decisa, per scelta e non per oppressione prodotta dalla moglie, al quale gli eventi di questi mesi riserveranno il dovere di essere custode di ben tre segreti indicibili alla moglie. Il terzo segreto, passeggiare con il vicino di casa, repubblicano convinto, quando porta i cani a fare i bisogni, verrà scoperto da Eva che, per questo, si sentirà profondamente tradita. Poi Jake, l'arredatore, ma solo di interni, socio di Pablo con il quale sembra formare una perfetta coppia gay, ma Pablo è un impenitente eterosessuale che prima rassicura, poi blandisce ed infine conquista le signore che a lui si rivolgono, prima di cambiare alveare. Senza dimenticare Rachel ed Aaron, coppia liberal "estrema", entrambi lavorano nell'editoria: Aaron è quello che dice di voler fare la fatidica domanda a Siri, ma non l'avrebbe mai fatta, Rachel crede che Aaron la tradisce con Sandra, divorziata da un colombiano, che vive nella casa in Connecticut, vicina a quella di Bruce ed Eva, di suo cugino Grady altro amico del gruppo che, se proprio fosse costretto a fuggire dal trumpscismo, su rifugerebbe in Uruguay perché è un regime progressista dove hanno liberalizzato la marjuana.

Questo romanzo è "una grande bolla" nella quale vivono persone che discutono animatamente della realtà che le circonda senza conoscerne appieno le fattezze. Diventa ironia o barzelletta il berbenismo di Eva che gradisce non sentir parlare di particolari raccapriccianti da parte di un "amico" cuoco gay, oppure del suo (di lei) curioso approccio alla procedura di voto, oppure la lucida valutazione del marito Bruce che dice che sei veramente ricco quando non sai quanti soldi possiedi perché la ricchezza non è il possesso, ma ottenere ciò che si vuole, un paradigma assai diverso da quello di zio Paperon de Paperoni, oppure il cuoco nero che racconta di come sia preoccupato quando lo ferma la polizia e non per avere qualcosa di illecito da nascondere, ma per quella cosa più visibile che lui possegga, il colore della pelle.

A tratti esilarante, a volte solo sarcastico e crudele, però con questo libro l'autore mette alla gogna il trumpscismo utilizzando il personaggio più improbabile, quella che "può permettersi la fuga", quella che trarrà beneficio dalle politiche di Trump, quella che in nome di un'idea liberal non si rende conto di cosa sia in realtà la società che la circonda potendosi permettere una domestica ed un cuoco in ogni casa di proprietà. È un'evoluzione del "se il popolo non ha il pane, date loro le brioches" perché qui è il decoro e non la sostanza che fa la storia. È la ricca borghesia, non la povera aristocrazia.

Il detective selvaggio

Autore: Jonathan Lethem

Giudizio: ***

Sulla trama aleggia l'elezione di Trump e lo fa come se fosse l'apocalisse per l'impatto che ha sull'"enclave" newyorkese che caratterizza una tipologia di americano assai diversa dall'americano del far west montano ("enclave" California, ma quella di montagna e non quella dei Beach Boys). In mezzo a questi poli opposti c'è uno scorcio di vita di una giovane donna turbata dagli eventi, ma forse nemmeno troppo (se sei sopravvissuta a New York con fidanzati noiosi tutto ti è possibile). Su questi capisaldi si incasellano la scomparsa di una studentessa universitaria che, forse, cerca di seguire le tracce di Leonard Cohen, la giovane donna newyorkese di cui sopra che è amica della ragazza scomparsa e della madre della stessa, ma al contempo figlia di due "strizza cervelli" che hanno lasciato su di lei le loro tracce attive e passive, chiacchierona oltre il limite della "decenza", ottimista, sconsiderata, innamorata (di sé?, di lui?, della sua possibile carriera?, del suo essere newyorkese prima che americana?) ed il taciturno detective privato al quale vengono assegnate le indagini perché la polizia non ha risorse da impiegare nella ricerca della scomparsa.

Sulla montagna si susseguono vicende pericolose ed inaudite tra stranezze, pace, amore, libertà, comuni hippie, rider di Harley Davidson sbandati, reduci da una delle tante guerre che gli Stati Uniti organizzano in giro per il mondo, bambini in balia del mondo che si costruiscono un loro mondo. Esistono protocolli sulla montagna che una newyorkese non riesce nemmeno ad immaginare. Ne resta contagiata, ma, forse, solo per il tempo necessario per scrivere un servizio, o, forse, per tutta la vita perché ha trovato un mondo ed un amore diverso da quanto provato fino ad allora, o, forse, è solo un originale nuovo capitolo anche se, forse, non ha poi amiche a cui raccontarlo.

Reality - Cosa è successo

Autore: Giuseppe Genna

Giudizio: ****

Chi pensa che questo sia un "instant book" sulla virulenza del SARS-CoV-2 è fuori strada. Naturalmente gli effetti della pestilenziale diffusione del virus attraversano tutte le pagine tra le sofferenze umane, l'atterrito stupore, la mal calcolata sottovalutazione, la conclamata impreparazione. Però il romanzo non è un memoir. Il testo non narra l'"apocalisse" di una nazione, e del suo popolo che è popolo di individualismi, perché marca la "transumanza della nazione" verso l'apocalisse che è sempre la penultima apocalisse per il suo popolo. Un percorso collettivo, disordinato e caotico governato con sapienza ed attenzione senza che la mandria ne abbia la visione d'insieme: ogni capo vede la sua parte. Questo percorso parte da lontano e chi guida il gregge sa dove andare, ma lo fa con gli strumenti che ha a disposizione: inadeguati, insufficienti, incontrollati nel nuovo contesto.
Capomastro è pronto al necessario, sa cosa sarebbe necessario, ma scruta nel vuoto dell'antagonista invisibile a tutti, anche a lui. Il sindaco è pronto a tutto perché ha studiato, perché è preparato, perché ha esperienza, ma il paradigma è mutato, si scopre impreparato, la peste lo segna, la peste lo piega. Il prete eretico prega Dio per tutti i morti e lo bestemmia perché ha lasciato che tutte le anime diventassero merce, assumessero un valore monetario di un conio fuori corso. Le dottoresse ed infermiere sole a fronteggiare anche le loro solitudini e le loro stanchezze in una guerra che non può essere di posizione perché il virus assalta gli esseri umani con la cavalleria ed aggira e penetra nelle postazioni di difesa ultima, le cittadelle degli ospedali diventano i focolai.
L'avanguardia è la prima ad essere colpita ed in modo più pesante. La Lombardia, Milano, Bergamo, quell'avanguardia che non può smettere di correre per sentirsi prima perché essere avanguardia richiede il primato.
Gli scaffali vuoti dei supermercati è l'inaudita visione, è vedere il silenzio perché non c'è più niente da dire: nessuno, a parte gli addetti all'allestimento, aveva mai visto il fondo di uno scaffale. E cosa sentivano, cosa pensavano questi operai votati all'umano sostentamento vedendo quel fondo? E cosa pensiamo, cosa sentiamo noi, ora, vedendo quel vuoto? L'assalto al forno per paura più che per fame. La versione della tragedia che tutti vediamo è questa, non vengono mostrate le sofferenze negli ospedali, le morti in casa per l'impossibilità di "masticare l'aria", la rassegnazione più che lo sgomento di chi deve attendere la fine senza poter cambiare canale. Non vediamo il campo santo dove vengono sepolti i cadaveri "non reclamati", ma senza lapide perché, un domani, qualcuno potrebbe reclamarli. Lo spettacolo deve continuare anche se rimane nascosto, dietro alle quinte. Non è realtà, è un reality, approssimazione sceneggiata e rappresentata con una regia selettiva della realtà. È per questo che vediamo colonne di camion militari che escono da Bergamo fornendo l'unico soccorso che pare possibile portare alla città colpita: incenerire le salme altrove, la città non riesce a reggerle sulle proprie spalle. Posti di blocco, allestiti per le zone rosse, che scompaiono perché ora tutto è bloccato senza bisogno di quei presidi. Sentiamo un senatore che dice che i morti di Brescia e Bergamo ci chiederebbero di riaprire e sentiamo in queste parole l'atmosfera di un agone in cui la sceneggiatura e la regia danno un colpo di reni per tenere avvinti al reality e non alla realtà. Al contempo vediamo un vecchio, zoppo, di bianco vestito che solo in una piazza si erge a difesa dell'umanità intera che lo guarda senza vederlo, mentre lui vede l'umanità senza guardarla. Incidentalmente è il Papa, l'autorità morale per antonomasia, che prega per la realtà pur essendo egli stesso nel reality.

Fra qualche anno questo libro sarà invecchiato, come invecchiano le serie ed i reality televisivi al mutare della contemporaneità. Resterà invece forte, indelebile, roccioso il vigore del percorso umano che incede, caracollando, verso un'apocalisse che è sempre la penultima apocalisse. Si racconta della scolaresca nei pressi di Codogno, rimpinzata dai dirigenti della Polenghi-Lombardo con caramelle galatina, che è chimica commestibile, ma che costringerà tutti i bambini sul pullman all'esperienza collettiva del vomito. Si racconta di Chernobyl che esplode, liberando nell'etere sostanze radioattive, cesio che decade in 30 anni, ed impedirà alle popolazioni del nord di bere latte fresco e mangiare verdure a foglia larga. È un'apocalisse, ma non è la prima e non sarà l'ultima. È preceduta dall'apocalisse del Seveso, che insiste sugli stessi territori, ma di questo non si fa menzione forse perché se le apocalissi sono sempre e solo le penultime sarebbe opportuno prepararsi alla successiva: ma non succede, non succede mai. La forza del libro sta in questa transizione assente, non pervenuta, trascurata dal reality. La provvida sventura che succede alla precedente e la lava, la nasconde, la dimentica in modo che si possa continuare a correre come in un reality avulso dalla realtà.

Infinite Jest

Autore: David Foster Wallace

Giudizio: *****

Per iniziare: un aneddoto.
Ho conosciuto lo scrittore David Foster Wallace per caso, attratto da un accattivante titolo che Einaudi ha scelto per pubblicare la raccolta di due saggi di DFW nei quali racconta il tennis come esperienza trascendentale, religiosa e sociopolitica direttamente dagli US Open ed ammirando il gioco di Roger Federer. A tal proposito scrive: "Impossibile descrivere concretamente la bellezza di un fuoriclasse" (DFW).
Come il miele per l'orsetto Winnie the Pooh, io sono rimasto invischiato dalla necessità di leggere altro di DFW, imbattendomi nello scherzo infinito che è IJ: 1281 pagine di cui 100 di note dettagliatissime e scritte in un corpo minuscolo. Alla sola vista in libreria volevo arrendermi, ritirarmi, ma la libraia mi spinse al grande salto perché quel libro "è il capolavoro del più grande e geniale scrittore americano della sua generazione". Mi ci sono voluti 6 anni per "organizzare" la scalata di questa montagna e 2 anni per "portarla a conclusione".

Per continuare: non c'è trama da tratteggiare, è un fluire e defluire di eventi, pensieri, parole, sensazioni, storie di volta in volta strane, oscene, criminali, amorevoli, stranianti che possono anche indurre alla compassione, al compatimento da intendere come "patire insieme", farsi carico l'uno dell'altro. Tutto è dilatato, variegato, sorprendente, doloroso, a volte involontariamente comico.
Ci troviamo in un futuro prossimo a Boston, che è parte dell'ONAN (Organization of North American Nations fusione di Canada, Usa e Messico), in un territorio chiamato anche la Grande Concavità. Qui si trovano le due realtà coinvolte nelle evoluzioni delle vicende che si susseguono in modo mai lineare: la Ennet House, una casa di recupero per alcolisti e tossicodipendenti, e l’ETA (Enfield Accademy Tennis), un’accademia per giovani tennisti forgiati per entrare nello tennis professionistico (che per tutti loro è identificato come lo show). Il legame tra queste due strutture è il figlio mediano degli Incandenza, famiglia che gestisce l'Accademia tennistica, che ha iniziato ad usare droghe leggere. La dipendenza appare come elemento che in realtà unisce tutto: la dipendenza da sostanze, da stili di vita, dallo spettacolo, dall'arte anche se di difficile comprensione. 
James Incandenza è fondatore dell'Accademia tennistica essendo stato in gioventù un buon giocatore che i figli chiamano Lui in persona. È marito di Avril Incandenza, canadese, alta quasi due metri, che i figli chiamano Mami e che con il fratello gestisce realmente l'Accademia. Poi ci sono i figli: Orin, promettente tennista, ma "rapito" dal professionismo del football americano perché in grado di calciare sempre tra i pali le trasformazioni, Hal, il mediano, quello che sembra essere ancora più forte del maggiore, ma che vive insicurezze personali che lo conducono alla droga "ricreativa", infine Mario, nato "fuori tempo massimo" e deforme. Sarà però quest'ultimo ad essere il più vicino dei tre alla seconda fase della vita del padre quando diventa un regista cinematografico inarrivabile, anche se autore di un misterioso, ed introvabile, film che induce alla visione ripetuta dello stesso fino alla morte.

Presso la struttura per trattare le tossicodipendenze c'è Gately, ex promessa del football americano e con alle spalle una vicenda familiare tragica, che ne è il custode notturno. Lui per primo è un ex tossicodipendente, ora "pulito", che con rude amorevolezza svolge il suo ruolo per "pulire" gli altri. Un gruppo di separatisti del Quebec però entrano in scena e tirano fuori quello che è stato Gately nella vita "sporca" vissuta come criminale ed a questo richiamo ancestrale lui non riesce a sottrarsi.

Gli altri personaggi che compongono questo scherzo infinito sono tantissimi, ognuno necessario e funzionale a descrivere uno stato, una modalità, un approccio alla vita. La vita che è dipendenza dall'intrattenimento, che sia la televisione via cavo, i film in cartuccia di Lui in persona, lo spettacolo sportivo, la droga, il sesso, la rivoluzione, l'arricchimento, la gara per essere il tennista più forte, la ricerca dell'amore. È tutto intrattenimento e conseguente dipendenza. Lo spot sta ovunque perché è intrattenimento per natura. Quindi sta anche nell'identificazione dell'anno legale che non saranno più conteggiati con numeri interi crescenti, ma che saranno riconosciuti e nominati con il nome dello sponsor di quell'anno.

Per finire: un pensiero
DFW ha scritto una cosa che va ben oltre la mia immaginazione. La libraia, per quanto posso dire io, aveva ragione da vendere.
Però devo avvertire che IJ non è una lettura agevole. Intanto il libro è mastodontico, letteralmente e di difficile lettura, letteralmente. Ci sono periodi lunghi, quasi infiniti e trame intrecciate che scaturiscono da diversi narratori collocati in diversi momenti temporali. Il richiamo a note dettagliate che, a loro volta, contengono rimandi ad altre note inserite alla fine del libro con descrizioni minuziose di sostanze stupefacenti, terapie mediche, riferimenti alla filmografia di Lui in persona, ecc. mi hanno costretto ad utilizzare due segnalibri.
Distrarsi sarebbe stata la fine. Perdere il filo sarebbe stata la fine. Diluire questa lettura in due anni con sospensioni e riprese è stata una necessità per sopravvivere in quelle vette che ho calpestato anche senza avere, in quel momento, piena consapevolezza del territorio in cui mi stavo muovendo. Questo libro si può amare od odiare, ma non si può rimanere indifferenti perché è vita che scorre lenta sotto ai tuoi piedi mentre sei piegato in posizioni improbabili, necessarie per tenere il libro aperto e garantendo la coerenza delle pagine in cui collochi i due segnalibri.
È difficile perché credo non voglia essere solo intrattenimento.

La filosofia non è una barba

Autore: Matteo Saudino

Giudizio: ***

La filosofia spaventa. La filosofia è difficile. La filosofia è inutile. La filosofia è antica. Pare, o almeno questo ho percepito, che tutto ciò che è antico non sia apprezzato nella contemporaneità ("papà, sei antico!", non lo prendete mai come un complimento, anche se siete archeologi o antiquari).
Dunque, cosa ci può essere di meglio di un barbafilosofo per sovvertire questi luoghi comuni? Il barbafilosofo si trasforma con la stessa duttilità di un barbapapà che si adatta alla necessità della storia. Può diventare il primo filosofo occidentale, un cinico che esce dagli schemi sociali, un materialista, un eretico, un utopista, un devoto razionale, un nazionalista, un pessimista. E lo fa narrando la più o meno inconsueta morte del pensatore, incasellando l'ultimo fiato come inevitabile conseguenza del sistema filosofico rappresentato in vita. Certo l'autore non parla di rock star o calciatori milionari, ma vi garantisco che ci si diverte tanto.
Oddio, in tutto questo non possiamo certo dire che la filosofia sia facile. Richiede impegno e perseveranza, la stessa che è necessaria per tirare un rovescio, ad una mano, lungo linea che fa cadere la pallina all'incrocio tra la riga di fondo campo e la linea del corridoio, oppure colpire la pallina con una demivolè eseguita a metà campo per effetto della risposta al servizio tirata in modo brillante e più che avveduto dall'avversario costringendo ad assolvere un compito di difficoltà elevatissima. Nessuno pensi che queste cose sono facili senza studio, impegno, sacrificio. E cosi è anche la filosofia.
C'è di bello che giocare a tennis è molto divertente (anche quando si perde, ricordiamolo) e lo stesso vale anche per la filosofia, pure quando il vecchio Schopenhauer ci spiega che la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia passando per fugaci ed illusori attimi di felicità. Ma non deprimiamoci, c'è sempre la possibilità di tirare un dritto in corsa lasciando l'avversario immobile mentre guarda passare la pallina per lui irraggiungibile. Quella pallina solo un filosofo può colpirla così.

La recita di Bolzano

Autore: Sándor Márai

Giudizio: ***

In questo romanzo l'avventura e l'amore sono inestricabili elementi in un intreccio di passione ed attesa. Il vecchio contro il giovane, e viceversa, la donna contro l'uomo, e viceversa, con l'inspiegabile esistenza di colui che ama in modo disinteressato. L'avventura è inevitabile contorno perché, senza di essa, non può esserci passione, sfinimento, pena, incertezza, dolore e l'amore stesso. L'avventura si divincola tra sfide a duello, mortifere, e braccia possenti e vendicatrici da giardiniere, tra lo sconosciuto fuggiasco arrivato a Bolzano, che tutte le donne vogliono conoscere, e la ragazza della locanda, talmente umile, che gira a piedi nudi quando è tempo di neve ed infatti neve sarà, tra i consigli elargiti da esperto sulle questioni di amore ed improbabili personaggi che chiedono consiglio.

Nell'affresco che tratteggia il contesto di dissolutezza e comportamenti illeciti, puniti senza espiazione, si colloca il particolare centrale di un accordo tra uomini. Gentiluomini di mondo che giocano una trattativa per la loro amata. Una trattativa a perdere per vincere, il sacrificio della regina per salvare il re e catturare il re avversario. Un accordo degno di fiducia reciproca e reciproco rispetto come si conviene tra gentiluomini che riconoscono l'onore delle armi all'avversario anche se potrebbero decidere di barare. Il contratto troverà un'inattesa evoluzione quando la regina si farà re ed il re si farà regina. Una recita il cui travestimento non è solo d'abito, ma è di psicologia del comportamento, in un carnevale senza frizzi e lazzi. Sono lunghi monologhi in cui l'amore, la passione, la paura, la saggezza, il dolore, il coraggio, la delusione sono presentati da ogni personaggio ad uso e consumo della personale vittoria, fosse anche solo effimera apparenza, oppure fugace piacere, oppure libertà ottenuta per l'altrui codardia.

Ferirsi, sì, ma senza volersi ferire troppo perché l'amore è eterno, come eterna è la vendetta e l'eternità è solo dei sentimenti veri. 

L'insostenibile leggerezza dell'essere

Autore: Milan Kundera

Giudizio: *****

L'eterno ritorno e l'impossibilità di vederlo in vita: si può bramarlo, o bandirlo, inseguirlo, o fuggirne e mai riaverlo, rivederlo. Leggerezza e pesantezza sono dell'essere e non dell'apparenza, non della volontà. L'una è positiva, libera, selvaggia, l'altra è negativa, opprimente, conformista. Attraversano le vite di ognuno superando le ragioni ed i torti della volontà. C'è chi tradisce l'altro per il piacere e non per cattiveria, c'è chi resta fedele all'altro per il piacere, non per opportunità e c'è chi riesce a rimanere fedele solo a sé stesso. Ogni singola scelta è duale, leggere o pesanti saranno le conseguenze. 

Eppure non c'è leggerezza senza pesantezza. Si attraggono, ma non si raggiungono perché la loro unione sarebbe la fine delle vite che possono scorrere solo in modo lineare e mai in modo circolare. Che il corpo sia votato alla pesantezza e che l'anima sia votata alla leggerezza non è dato. Puoi guardarti allo specchio per cercare l'anima senza riuscire a vederla e potrai incontrare un corpo che vedrà la tua anima senza riuscire a restare fedele al tuo corpo.
Solo per gli animali, che non sono stati cacciati dal paradiso terrestre, lo scorrere delle vite è un eterno ritorno. Una ripetizione infinita per chi, guardandosi allo specchio, non sa riconoscersi.

Il momento storico affonda la leggerezza, ed eleva la pesantezza, lasciandoci il rifugio "kitsch" che elimina tutto ciò che riteniamo inaccettabile nell'esistenza umana. Un rifugio individuale seppur occupato in modo collettivo. Questo rifugio ci fa sentire leggeri nel momento in cui facciamo quello che tutti pensano che si debba fare anche se sarebbe la cosa più pesante per noi. Nulla è leggero o pesante, tutto si trasforma, tutto ti trasforma.

La macchia umana

Autore: Philip Roth

Giudizio: ****

Un Signor Deciso val bene un segreto? Forse, ma le conseguenze su amici e familiari, visibili oppure nascoste, saranno strazianti. Ogni esistenza umana è una macchia e la rettitudine, la capacità, la competenza, l'impegno, la nobiltà d'animo, la felicità, non cancelleranno le macchie che ognuno lascia.

Questo romanzo narra la vita fondata su verità nascoste e trovate solo da chi le conosce o da chi le vede nonostante l'impegno per mascherarle. È un intreccio "sentimentale" tra "posso, ma non voglio", "fai come vuoi, per me non fa differenza", "sarebbe stato diverso, ma è andata così". Alcuni personaggi interpretano questi sentimenti come "scelte di campo" sia che siano a conoscenza dei segreti, sia che ne siano all'oscuro. È la natura umana, votata all'evoluzione per vivere e non per sopravvivere.
Altri personaggi sono attanagliati dai loro segreti, quelli che fanno emergere in modo arruffato e sempre scriteriato. Si credevano coraggiosi ed erano pavidi.
Altri sanno verità false e su queste falsità creano una pubblica opinione informando tutto il vicinato fino a raggiungere i lontani parenti.
Tutti sanno verità indicibili e, proprio perché indicibili, vengono sottointese: la loro evidenza appare, strana o normale che sia, certa.
Le cose sarebbero potute andare diversamente e gli strascichi futuri non si possono escludere, ma l'onore è ristabilito, per chi non sa del segreto, e per chi il segreto lo conosce ormai lo strazio è compiuto e, dove possibile, ricongiunto con infinito amore, dove impossibile diventa una nuova macchia su un'altra macchia.

L'autore trova gli spazi per indagare la macchia umana come necessità di vita. La macchia umana, che tu sia vittima o carnefice, la lascerai e nel segreto sarà costruita la gloria o la sventura. Si ricorderanno di te per una vera falsità o per una falsa verità? È un segreto.

Chiamerò la polizia

AutoreIrvin D. Yalom

Giudizio: **

Una reciproca ritrosia, per l'uno volontaria, per l'altro involontaria perché le cose sono così, le cose sono andate così. Ma quella sera, quel saluto dopo la cena con gli ex compagni dell'università, conduce al rendez-vous non concordato eppure inevitabile. È quel pezzo di vita che si è nascosta, è una questione di cuore che batte, è una questione di rischio non calcolato, è una questione di sopravvivenza, quella a cui l'essere umano è votato.

Vedere il disumano che è nell'umano lascia segni indelebili.

Vani tentativi di vendere l'anima al Diavolo

AutoreStefano Scrima

Giudizio: ****

Hai un pensiero ripiegato su sé stesso che non soddisfa il tuo gusto? Aprilo, inserisci un po' di cinismo, irriverenza, poesia, vita, morte (miracoli, no), pigrizia, richiudilo con cura, inforna per un'oretta e servilo ben caldo. Il risultato è agrodolce, opportunamente contrastante, con un retrogusto leggero, ma persistente. Non è la colazione dei campioni, accompagnata da un lussurioso caffè, ma nemmeno la colazione con Ovomaltina. Con questa portata seducente potrebbe nascere l'occasione per soddisfare, finalmente, il desiderio di vendere la tua anima al Diavolo ed esaudire il desiderio più grande. Non hai anima? Non hai desideri? Ahi! Ahi! Ahi! Vattene, essere infelice!
Se invece ce li hai (anima e desideri, contemporaneamente, è condizione necessaria e sufficiente) non hai mai desiderato vendere l'anima al Diavolo per "quella cosa là", quella perdizione per cui hai perso la ragione collocandosi dalla parte del torto? Dormire fino a tardi?, girovagare solitario in bicicletta nella tua città di provincia?, affaticarti al lavoro ed aspirare a non farlo?, rimanere estasiato dall'afferrare in uno scatolone di libri usati la pubblicazione che ti manca e che solo ora puoi toccare, sfogliare, acquistare per 50 centesimi? Non dire bugie. Con le bugie si va all'Inferno e lo si fa gratuitamente. Un impeccabile peccatore morirà sano perché è riuscito a vender l'anima al diabolico, sennò si muore malati e, molto probabilmente, con dolore. In tutti i casi si muore, meglio farlo in modo impeccabile.
In questo libro troverai aforismi sulla vita, sul male della vita, sulla religione, sulle passioni, sui vizi e sull'intelletto necessario per sapere che, se c'è una spiegazione, forse non ce l'abbiamo.

Guida filosofica della Spagna

Autore: Stefano Scrima

Giudizio: ***

Quando ho visto il libro la primissima cosa a cui ho pensato è stata "ma io cosa ne so della Spagna?" e la seconda cosa a cui ho pensato è stata "buona occasione per imparare qualcosa, peccatore per mancata conoscenza che non sei altro". Sono prosaico anche nei pensieri.

Il libro è una breve presentazione ragionata dei personaggi famosi che hanno contribuito a rappresentare un popolo prima che un'area geografica. Con tutte le contraddizioni che albergano nei personaggi famosi (i non famosi sono meno sospinti alle contraddizioni, non fosse altro perché non li conosciamo) e nei popoli. Filosofia, arte, poesia e corrida, immancabile. La Spagna che da provincia dell'impero diventa impero e poi torna provincia nella persistenza dello spirito degli spagnoli intorpidito dalla pigrizia delle tradizioni, ma nella perenne ed umana lotta tra ragione e sentimento.

Io che di spagnoli conoscevo solo Manolo Santana e Manolo Orantes (di fama), Rafa Nadal (visto con i miei medesimi occhi) e tanti altri bravissimi (ma non bellissimi) tennisti, senza dimenticare l'"odiato" Miguel Indurain che impedì allo straordinario Gianni Bugno di conquistare il Tour de France, a dire il vero, ho fatto un piccolo salto di qualità. Un piccolo passo per un piccolo uomo.

La dittatura del calcolo

Autore: Paolo Zellini

Giudizio: ****

Nella contemporaneità abbiamo raggiunto la consapevolezza che l'"algoritmo" riguarda le nostre vite a diversi livelli e con diversi esiti. Molto spesso usiamo questa parola, in modo superficiale, per indicare qualcosa che non dipende da noi perché è oscuro o nascosto, ma che comunque ci riguarda.

Nell'introduzione del libro viene presentata una definizione semplice: un algoritmo consiste in una sequenza di istruzioni in base alle quali il calcolatore elabora un processo di calcolo. Ma l'autore ci pone immediatamente di fronte ad una questione che svilupperà nel libro in modo assai articolato: cos'è davvero un processo di calcolo? Le implicazioni sono stringenti e riguardano fino a che punto un processo di calcolo può sostituire la decisione umana. L'intelligenza artificiale potrà sostituirci? Non c'è una risposta definitiva perché non è solo matematica teorica, matematica applicata a tecniche di calcolo, ma sfocia nella filosofia. In tal senso è interessante tenere in considerazione l'aneddoto dell'aereo di linea in avaria salvato dal pilota per una "scelta istintiva", mentre i processi di calcolo, nelle condizioni date, avrebbero fatto schiantare il velivolo non essendo in grado di calcolare soluzioni alternative allo schianto.

L'autore ci accompagna in un percorso che inizia dagli albori presentando le difficoltà puramente teoriche che hanno avuto come protagonisti matematici geniali. A partire da cosa possa intendersi infinito sapendo che non sarà possibile creare una corrispondenza biunivoca tra numeri naturali e numeri irrazionali. Ovvero constatando che esiste l'infinito dei numeri naturali che è un infinito "più piccolo" dell'infinito dei numeri irrazionali che non riusciremo mai a numerare. Ma anche il tema della "continuità" per cui una retta reale è composta da un continuo di infiniti punti adiacenti, mentre il digitale ci pone di fronte al discontinuo.

Un'evoluzione che risiede tra gli sviluppi della matematica teorica e la scienza applicata, senza poter dimenticare che non è plausibile calcolare l'infinito partendo da un supporto che di per sé è finito. Infatti, per quanto l'evoluzione dei materiali metta a nostra disposizione calcolatori sempre più potenti, è pur vero che anche il più potente calcolatore ha un limite dato dalla sua "fisicità finita". Ne consegue che lo sviluppo della scienza applicata abbia necessariamente dovuto affrontare anche la riduzione della complessità perché laddove si utilizza un approccio ricorsivo la complessità di calcolo segue dinamiche con crescita esponenziale, mentre con un approccio iterattivo la complessità di calcolo segue dinamiche logaritmiche, quindi "meno grandi".

A tutto questo si somma anche la necessaria valutazione dell'errore. Ogni algoritmo, che ha "limitazioni" intrinseche nel processo di calcolo, produrrà risultati "approssimati" per i quali si deve valutare l'entità dell'errore. Purtroppo, troppo spesso, non teniamo conto o non sappiamo valutare l'entità di questa componente, eppure siamo propensi a demandare ad un calcolatore una funzione "predittiva" come inevitabile conseguenza dovuta al fatto che un essere umano non sarebbe in grado di dare risposte per via della complessità dei dati e delle variabili in gioco. Questa è una questione per nulla secondaria, soprattutto se impatta con un "determinismo algebrico cieco" che nega qualsiasi libertà d'azione. Il punto oggi è questo e non possiamo dire la parola fine. La scelta è nostra: dovremo decidere se farla noi umani o se farla fare ad un calcolatore.

Della pigrizia

A cura di Stefano Scrima

Giudizio: *****

È una raccolta del pensiero di araldi dell'ozio, breve, come si conviene, per consentire al lettore di tornare a praticare l'ozio, la forma di resistenza attiva al reale, al realistico, ma anche all'irreale. Attraverso i motti e gli aforismi qui raccolti l'autore si fa carico di redigere un Manifesto per una nuova umanità che coltivi mezzi ed intelletto per agire e dare al mondo un'anima. Tra queste righe e parole si trova l'inestimabile opportunità di rivedere e rivedersi, svogliati, pigri, indolenti eppure animati da un anelito per elevarsi al di sopra delle umane sventure (correre, produrre, accelerare, fare e disfare) e prendersi tutto il tempo necessario, senza farselo rubare dall'effimera iperattività, per fare ciò che ci piace. 

"Siamo qui sulla Terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti."
[il buon, caro, vecchio]
Kurt Vonnegut
Un uomo senza patria
(Forse non a caso una raccolta di interventi critici di Vonnegut sulla cosiddetta "locomotiva" occidentale del mondo, gli Stati Uniti d'America)

Il colibrì

AutoreSandro Veronesi

Giudizio: ****

Il destino che ci accompagna, precedendoci, per alcuni è più leggero che per altri. Anche se non lo sa, un colibrì potrebbe capire quanto sia faticoso sbattere vorticosamente le ali per restare fermo e non per volare, ma del resto non fa nulla che non sia nella sua natura, perché angustiarsi?

In questo libro si racconta l'amore, si racconta l'odio, si racconta la disaffezione, si racconta la distrazione, si racconta di sfortuna e di fortuna. Un padre abitudinario, una madre sopra le righe, un bambino troppo piccolo per la sua età, una bambina troppo curiosa e troppo sensibile, un altro bambino troppo distante da tutto e da tutti, ma non sempre, purtroppo. Tra tutti loro vite lontane, anche se vissute nelle stesse case, fino a che non succede l'irreparabile. Ma l'irreparabile non è mai solo, è sempre seguito da un altro irreparabile e così via, e così via, fino alla profezia del futuro che passa attraverso altre famiglie, che apre nuove prospettive cancellando speranze disattese, fortune non messe a frutto, per errore o per volontà.

Il libro è disposto come tasselli, all'apparenza disordinati, ma solo se si pensa che il tempo sia l'unico ordine possibile. Qui l'ordine del tempo si piega e si dispiega nel disordine delle vite, nell'urgenza di trovare un inizio per approdare alla fine che abbia un senso compiuto, che sia la vera pace. A questo si giunge privati di tanto, ma non di tutto, privati dal "si poteva fare o dire", ma non per tutto, ma non su tutto. È un lungo ballo, finito come meglio non si poteva, con tutti gli errori compiuti e tutte le speranze perse, ma senza un secondo giro perché il primo è bastato, perché ora c'è la nuova speranza che tutto ciò che è accaduto è successo per quei capelli ricci che sapranno unire e non dividere. Finalmente.

Digito dunque siamo. Piccolo manuale filosofico per difendersi dalle illusioni digitali

AutoreStefano Scrima

Giudizio: ****

In questo manualetto ci sono piccole, medie e grandi cose che avvicinano o che allontanano. Scrivendo di cose che avvicinano ed iniziando, come si conviene, dalle piccole cose è significativa l'affinità caratterizzata dalla pizzafilia abbinata al segno astrologico della bilancia (sia ben chiaro, qui non si sta scrivendo di vaghe superstizioni e credenze aleatorie, qui si accoglie la sublime fine di una stagione, con la permanenza sempiterna ed universale della pizza che attraversa tutte le stagioni). Se emergesse che questo status è accompagnato da una predilezione per la pizza Margherita annaffiata con birra (solo se non si guida) e preceduta nella prima mattina da una colazione al bar a base di pasta (cornetto) e cappuccino questa, da piccola cosa, assurgerebbe a grande cosa. Poi ci sono le medie cose, quelle che riguardano gli uomini massa distribuiti nei posti più ordinari ed ordinati per essere meglio trascinati dalla massa qualunque sia la direzione. Infine troviamo le cose grandi come quel rissoso, irascibile, carissimo Arthur Schopenhauer. Sì, proprio lui, quello che ci ricorda che la vita è un incessante oscillare tra noia e dolore e che se cogliamo momenti di felicità questa è solo illusoria. Siamo venuti al mondo per soffrire e per dare continuità alla specie, nulla di più. Questi assunti ci conducono ad un'altra cosa grande di cui cantava Guccini narrando del "frate" che parlava di Dio e Schopenhauer. Sacro, profano, sacro è pur sempre un incessante dondolare.

Parlando di grandi cose che allontanano, tanto paradossalmente quanto con certezza, si possono annoverare con ottime ragioni i social media. E di questo l'autore scrive. Ci ricorda quanto la "democratizzazione" del World Wide Web, accentuata dalla nascita dei social media, ha amplificato le nostre propensioni narcisistiche ed egocentriche. Siamo schiavi del "mi piace" a tutti i costi e non ci prendiamo il tempo di pensare bene (da non confondere con la pratica omologata dei benpensanti) ed approfondire per capire cosa scriviamo o cosa rilanciamo. Che sia il vero o il falso, che sia stupido o arguto non ci interessa quasi non ci riguardasse. Tutto deve essere ora, tra 1 minuto sarà troppo tardi, quindi ci esponiamo senza avere consapevolezza dei rischi che corriamo. E ci rinchiudiamo in una "bolla" nella quale un algoritmo ci indica cosa dobbiamo vedere perché l'algoritmo sa che è quello che vogliamo vedere.
In questo è assai felice una metafora raccontata da una collega. Frequentare "amici" sui social media è come essere in un abitacolo di un'auto con altri quattro amici che hanno deciso di andare in vacanza insieme. Il viaggio di andata sarà una soave apoteosi del reciproco rafforzamento delle rispettive affermazioni, la comunanza di intenti per un'avventura prossima e comune. Io aggiungo che il viaggio di ritorno potrebbe avere esiti differenti. La vicinanza non mediata da uno schermo potrebbe condurre altrove.

Giunto a questo punto mi piace raccontare un delizioso aneddoto paradigmatico (qualunque cosa significhi utilizzare questo termine in questo contesto, ma fa tanto "introdotto" e poi il precedente delizioso è sempre parola che cattura attenzioni e "mi piace"). Era il 2008 ed un amico per ricordare il nome del personaggio Disney del quale voleva discettare con mia figlia, massima esperta mondiale dell'argomento, fece una ricerca su Google (oggi si dice googlare, all'epoca forse si diceva ignorare, certamente lo si immaginava anche senza dirlo). Ne seguì l'imperdibile confronto tra "esperti" che si concluse degnamente con mia figlia che propose di prestare al mio amico dvd e libro perché approfondisse l'argomento sul quale aveva profonde lacune. L'amico, sufficientemente pieno di spirito da accettare la "sconfitta" si rivolse a me dicendomi "ti ho cercato su Facebook, ma non ci sei. Se non sei su Facebook non esisti!". Questa semplice frase priva di qualsiasi senso però mi "costrinse" a registrarmi "volontariamente" sul nuovo pianeta digitale dove avrei potuto rimanere in contatto con tutti, anche con gli sconosciuti. In compenso oggi ho perso di vista quel mio amico... Non è vero, ma spero si riconosca per mettere uno schioccante "mi piace" a questo racconto. Mia figlia, al contrario, sarà stimolata all'azione uguale e contraria, mi aspetto quindi uno scudisciante "grrr", ma come abbiamo imparato fin da piccolissimi "bene o male purché se ne parli"!

Come sempre Scrima ci consegna una lettura semplice, lineare, sintetica. Un invito ben chiaro, basta poco, checcevò!

Avevo voglia di leggere un libro e lo ha scritto Stefano Scrima (semicit.)

Il suono del secolo. Quando il rock ha fatto la storia

AutoreStefano Mannucci

Giudizio: ****

Un libro assai denso e colmo di "vite vissute" che vanno ben oltre il "sesso, droga e rock'n'roll" pur essendo questi tre elementi caratteristici abbondantemente presenti. Una carrellata epica: ciò che è stata la storia in presenza del rock non è solo storia, ma è rock'n'roll. Con tutte le contraddizione di una cultura che nasce libertaria, spensierata, divertente, eccitante, ma che viene somministrata attraverso "il sistema" economico e commerciale che rende quasi tutte le rock star ancora in vita delle sopravvissute a loro stesse, stritolate dal sistema che le ha rese il mito che sono diventate. In alcuni casi spremute e gettate.
Del resto parliamo di Artisti con la A maiuscola che hanno "donato" piacere a miliardi di persone ed il cui ego è cresciuto a dismisura al crescere della loro fama e degli inevitabili privilegi (disporre di un jet personale e non di una semplice utilitaria modifica inevitabilmente la percezione che hai della vita), con tutto ciò che questo comporta. I più forti o fortunati sopravvivono, i più fragili periscono donando la loro vita al mito del rock. Molti di essi finiscono nel club dei 27. Altri no, ma solo per questioni meramente anagrafiche e comunque anche tutte queste vite spezzate precocemente sono immolate sull'altare del rock, diventano la storia del rock, il mito di intere generazioni.
Elemento certamente interessante nel libro sta nel tentativo di interlacciare l'epopea del rock alla storia che si studierà sui banchi delle scuole. Ed in questo contesto gli attori del rock non sono semplici orpelli di folklore, ma diventano oggetto e strumento di innegabili mutamenti della società, se non della storia in senso stretto. A partire dal cambiamento delle modalità con cui l'umanità ha fruito i piaceri prodotti del rock.

Se il rock è morto, viva il rock.
Se il rock è vivo, viva il rock.

Il mondo di Sofia

Autore: Jostein Gaarder

Giudizio: ****

Un riascolto a distanza di 25 anni.

Un romanzo filosofico che, a 25 anni, mi indusse ad una lettura forsennata e vorace. Dopo aver "incontrato" De Crescenzo mi ero imbattuto, nuovamente, in una lettura semplice della storia della filosofia e fu un'epifania. Questo libro è la "fiaba" del pensiero occidentale e della sua evoluzione gettata in pasto a me che ignoravo quasi tutto. Fu una scorpacciata.
Un compagno di pallavolo, ricercatore alla facoltà di lettere e filosofia di Bologna, disse che De Crescenzo e "questo tale" erano i "Novella2000" della filosofia. E lo diceva dal pulpito dei suoi studi tomisti. Ubi maior minor cessat, ma, nonostante lo sberleffo da spogliatoio, il romanzo mi appassionò e mi suggerì elementi di riflessione che erano rimasti sopiti in me da quando la maestra cercò di spiegarci chi erano e cosa facevano i filosofi. Ricordo che a quel tempo rimasi imprigionato in un pensiero senza fine: "i filosofi pensano chi sia l'uomo per cercare risposte universali, ma, essendo umani, non faranno altro che pensare a loro stessi che certamente sono solo una piccola parte dell'universo e non l'universo. Come potrebbero trovare le risposte? Sarebbe necessario cercare risposte universali..." e via così, via così, via così. Forse anche per questi cortocircuiti alle pareti delle scuole elementari Carbonieri in Modena andavano fortissimo i poster dei dinosauri e le carte geografiche, ma non raffigurazioni di filosofi.

L'inverno scorso, a causa di un paio di operazioni agli occhi che costrinsero mi figlia a rimanere praticamente al buio per qualche giorno, le acquistai due audiolibri per passarsi il tempo. Ascoltò e riascoltò il Canto di Natale di Dickens, ma snobbò Il Mondo di Sofia. L'ho ascoltato io in queste settimane, memore di un ricordo fuori dalle righe, una personale mitizzazione (al pari della finale di Wimbledon tra Borg e McEnroe nel 1980, per dare il senso del livello dove è collocato nel mio "immaginario personale").
Ieri ho portato a termine l'ascolto e posso rivelare due cose. La prima è che avevo completamente rimosso alcune parti della storia, "cannibalizzate" da altre parti che, risentito il racconto oggi, non sono necessariamente le più importanti. La seconda è che questo è un romanzo filosofico che incidentalmente utilizza i filosofi ed i loro pensieri per narrare una grande fiaba e non per soli bambini. C'è un maestro, Alberto, e c'è un'allieva, Sofia, intrecciati alla filosofia ed alla vita, loro e di altri, non priva di sorprese anche divertenti per quanto possa apparire serio e lineare un argomento grandioso come l'amore per la conoscenza.

Io ho riletto pochissimi libri (I Ragazzi della Via Pal, Il Giro del Mondo in 80 Giorni, Aniceto ovvero la Bocca della Verità, Il Compagno Don Camillo), ma questa non è una rilettura è il primo "ascolto" e quindi Aristotele la catalogherebbe in un'altra categoria, seppure sempre sotto il cielo stellato. Ne è comunque valsa la pena, con buona pace per gli studi tomisti.

La straniera

AutoreClaudia Durastanti

Giudizio: ****

L'inizio è da leggenda: ognuno di noi ricorda le cose accadute come gli pare, meglio, le racconta come gli pare. E sono vere, per ogni narratore, soprattutto se trattano del salvataggio di una vita umana, un accadimento per nulla ordinario. Ma di straordinario in questo libro c'è tanto altro.

Ci sono migrazioni inaspettate con assestamenti definitivi o temporanei nei nuovi luoghi. Ci sono rientri altrettanto inaspettati. Ci sono migrazioni per necessità di viaggiare (ed incontrare la morte così vicina e così inattesa), di sfuggire ad uno schema precostituito e migrazioni per necessità di amore. Ci sono migrazioni per studiare e migrazioni per insegnare. Migrazioni per imparare dalle tue amiche parrucchiere che non sono proprio amiche, ma che ti restituiscono l'amicizia da straniere, come te. In tutto ciò c'è lo stato di essere straniera al luogo in cui si stanzia, per periodi più o meno lunghi, ed alle persone che incontri. Ma non solo. Si può essere straniera alla famiglia stessa, a partire dai genitori per nulla ordinari e per certo controversi. Cercare un padre che ti insegni quello che non ti ha insegnato (potuto o voluto?, chissà) il padre biologico. E trovarlo colmo di affetto, ma non adeguato fino in fondo. Che forse poi è l'essenza di essere padre.
Un fratello più "responsabile" del padre e della madre e tu tanto avventata da non leggere per intero "I ragazzi della via Pal" una lacuna per te che leggi tantissimo e che ti vergogni di ammettere per non rompere una complicità con chi te lo ha prestato.

Una straniera meno consapevole dello straniero di Camus, ma al tempo stesso più presente a quello che deve, o dovrebbe, o potrebbe fare. Prendersi cura della madre in modo non classicamente filiare. Amare percependo che sarà per sempre e non capire come è stato possibile che quel "per sempre" si sia dissolto nei tranelli della vita.
Un viaggio giovane, ma già tanto ricco che inizia in un fortuito incontro romano quando il possibile è stato, per sempre.

La parata

AutoreDave Eggers

Giudizio: ***

Non serve girare intorno alle cose quando le cose girano intorno a te, sarebbe solo un inutile diversivo, oppure il modo di andare oltre il punto raggiunto, rotolando.
Due uomini si trovano nella condizione straordinaria di dare speranza ad un popolo intero asfaltando una strada che unirà nord e sud dopo una terribile guerra civile. Il tutto in una dozzina di giorni, secondo precisi protocolli comportamentali e regolamenti, compreso quello di non conoscere il nome l'uno dell'altro. Per l'azienda appare sufficiente che uno sia un numero per l'altro e viceversa. 4 il più anziano e 9 il più giovane.
Potrebbe sembrare la simbologia dell'uomo annullato e diventato numero, se non fosse che le propensioni individuali restano ed appartengono anche agli esseri umani identificati con numeri. Il più anziano è preciso, puntuale, pianificatore, diretto e prossimo alla paranoia per quanto pensa se sia giusto o sbagliato fare o non fare una cosa. Il più giovane è incline ad esplorare l'imponderabile che riguarda ogni relazione umana. La relazione umana per lui è sempre giusta, quindi frequenta indigeni nonostante questo sia formalmente vietato. È avventato, incosciente, gioioso, a modo suo è generoso. Per il più vecchio è tutta una follia, ma forse non sempre, forse non del tutto, almeno quando 4 si infila le cuffie e fa partire il suo nastro che gli tiene compagnia.
Sarà un'epica corsa, per il bene di un popolo affamato, sfiancato, malato, amico. Fino alla fine, fino a che sarà possibile crederlo, mentre si ritorna a casa quando tutto finisce sulla nuova strada immacolata. 

Un antidoto contro la solitudine

Interviste e conversazioni con David Foster Wallace

È questione di un clic che scatta mentre leggi. Con alcuni autori succede raramente, con altri autori succede con più frequenza. L'antidoto è un semplice artificio letterario, siamo tutti soli perché nessuno può sapere cosa ci frulla in testa. E quello che ci frulla in testa non sempre è gradevole, a volte è vergognoso o deprimente, a volte semplicemente sciocco o stupido, a volte irritante o pretenzioso. In tutti i casi quando c'è di mezzo il genio la cosa diventa quanto meno conturbante. Ti avvolgi nella tua "normalità" e scopri che "cavolo, ma questo è successo anche a me" eppure non ti senti un genio perché forse non lo sei o forse, più semplicemente, non lo sai.
Una carrellata di interviste e di vita di una persona che diventa "famosetta" senza comprendere il perché, lui che si sente impreparato ed inadatto allo "star system", seppure in tono minore, alle interviste e per nulla interessante nella sua essenza di uomo comune. Scrivere è intrattenimento e cerca di farlo al meglio che può, ma la TV, quella TV ti dà le cose facili e senza fatica, mentre nella sua scrittura c'è il difficile, c'è il clic che lui ritrova in altri autori e che non sa se può scattare anche con ciò che scrive lui.
Eppure non è così, anche quando può apparire cervellotico propone vie di uscita all'altezza della situazione (mi sono liberato della TV perché dovevo scrivere e con una TV in casa sarei stato troppo distratto). Una disciplina da marines lo sorregge e lo porta a "cazzeggiare" con la non fiction che gli dà da mangiare (ma io non sono un giornalista, mi hanno detto di guardarmi intorno ed io l'ho fatto), mentre sta scrivendo una mastodontica "Bibbia" dove scrive di dipendenze, di consumismo, di affetto, di passione, di ricerca dell'arte, di voler essere senza riuscire, di vita, di morte e di ironia, troppo spesso crudele, forse metafiction, accidenti a lui. 

Dannazione

AutoreChuck Palahniuk

Giudizio: ***

Questa è una fiaba che racconta di un ultraterreno inferno in cui si trova, suo malgrado, una tredicenne grassottella e dalla vita irreprensibile, ma uccisa da una overdose di marjuana. Una vita agiata e ricca, piena di esempi, e controesempi, di comportamenti politicamente corretti e scorretti adottati da amici e soprattutto dai genitori. Questi ultimi, straricchi, le hanno dato tutto il possibile senza darle il necessario perché più impegnati nelle loro vite che nella sua vita. Ma è troppo tardi e la sua morte, inaspettata per una ragazzina che si è sempre sottratta alla chimica proposta dalla madre, sarà la fine ed una nuova opportunità.

Un inferno letteralmente infernale, pieno di liquami, odori e sofferenze, eppure si scopre che l'aldilà può comunicare con l'aldiqua attraverso quanto di più peccaminoso si possa immaginare. Ma Madison, la protagonista, per sorte o per coraggio riesce a costruirsi un futuro là dove c'è solo la dannazione eterna. E sappiate che per andare a tenere compagnia a Madison non è necessario essere Hitler o Gengis Khan, basta molto meno, riteniamoci tutti avvertiti. 

Impeccabili i tentativi di dialogo che Madison cerca di instaurare con Satana in persona e malvagità ad ogni capitolo. Dialoghi sempre inevasi, ma giustificati poi, dopo, in un'altra vita e non quella della reincarnazione tanto cara ai genitori. Madison si trova a guidare una piccola gang di ragazzini che possono fare all'inferno quello che non sono riusciti a fare in vita. Una fiaba dei buoni sentimenti, avvolta nell'ineludibilità della morte: è un etto e dieci grammi, lascio? Quel che non ammazza, ingrassa.

"B" come birra

AutoreTom Robbins

Giudizio: ***

C'è un modo per affrontare la vita con allegria e spensieratezza e filosofia e saggezza, quel modo è possibile con una birra. Ma se la birra diventa il modo per non affrontare la vita, se diventa una dipendenza, se l'abuso frastorna e stranisce allora la birra va accantonata. Per questo i bambini non possono bere la birra perché hanno tanta curiosità, tanto coraggio e tanto amore.

Questa è una favola per adulti ancora bambini e bambini più adulti di quello che si potrebbe pensare. Per certo se uno di questi confessasse al pediatra di aver bevuto birra, il pediatra lo guarderebbe allarmato, anche se fosse irlandese.

Il racconto ci porta vicinissimi al Mistero guidati da un'accompagnatrice speciale, la fata della birra, che deve avere un conto sospeso con gli elfi dello zucchero. Ma il Mistero non si raggiunge, se lo si raggiungesse sarebbe immediatamente dimenticato, come la fessura attraverso la quale abbiamo avuto accesso al mondo da un'altra prospettiva. Quella che ti fa vedere quello che non sai.
In fondo la birra è vita, la birra è cultura, la birra è fantasia e da bambino lo puoi capire anche da sobrio, mentre da adulto per tutto questo è necessario essere un po' alticci. Quel tanto che basta per essere coraggiosi ed allegri per la birra e per la vita, come un bambino.

Socrate su Facebook. Istruzioni filosofiche per non rimanere intrappolati nella rete

AutoreStefano Scrima

Giudizio: ***

È colpa nostra, oppure è colpa di Facebook? Ma poi qual è l'accusa precisa? Il mondo oggi è diverso, ma è anche migliore? Sì e no. Sì o no?

I social media hanno ampliato la quantità e la velocità di diffusione di
  • informazione (domani si sposa mia cugina),
  • cattiva informazione (hanno rimandato il matrimonio),
  • pettegolezzo (hanno rimandato il matrimonio perché lei lo ha visto con un'altra, ora si devono chiarire), ecc.
fino a che non subentra il "cuggino", che è l'archetipo della conoscenza da tempi immemori a Facebook, e si esibisce nello "spiegone": l'onore della famiglia è salvo. Questa forza dirompente nelle piazze reali e "chiuse" non esisteva, rimaneva circoscritta, ma la piazza digitale ed "aperta" tutto può.

E Socrate cosa c'entra? È il "cuggino" più grande che troppo spesso ignoriamo o dimentichiamo di avere come parente, seppure alla lontana. Lui "sapeva di non sapere", mentre per noi, che siamo ignoranti e stupidi, questa è cosa sconosciuta (tra le infinite altre). Su Facebook scriviamo quindi interminabili e volitivi contributi su tutto e su tutti a prescindere dalla nostra (in)capacità di discernimento sull'argomento trattato. Così è la vita, su Facebook, perché nella vita reale non ci impegneremmo mai a spiegare come smontare uno spinterogeno per ... ma cosa si fa con uno spinterogeno quando lo hai smontato? Che poi non so nemmeno come si apre il cofano della mia auto...
Una cosa è certa: se l'ignoranza e la stupidità sono colpe nostre, tutto il resto è colpa degli altri (maestra ha cominciato lui!). Noi "abbocchiamo" all'altrui esca.

L'autore racconta in modo scherzerio* le dinamiche che ci avvolgono quando frequentiamo Facebook. L'irrefrenabile voglia di contribuire perché "siamo liberi di farlo", l'inevitabile esternazione su argomenti che non conosciamo, la brama per il "mi piace" ricevuto, il dolce profumo del mostrare la nostra "arguzia", la nostra "sapienza" anche se i nostri lettori saranno sempre solo 25. Lo stesso numero di lettori di quel tale, dai... Giuseppe Manzoni! Ce lo avevo sulla punta dei polpastrelli! Il famosissimo scrittore dei due mondi e dei due rami del lago di Como in sul calar del sole! Sarà mica stato bipolare?
Quei 25 lettori sono i nostri parenti ed amici, alcuni solo presunti amici dall'algoritmo di Facebook: lo "pensa" perché ci siamo scambiati "commenti" o "mi piace" in modo compulsivo. È l'intelligenza artificiale, baby, devo scrivere qualcosa in proposito, l'argomento "acchiappa". Ed a proposito ognuno di noi può difendere anche gli altri iniziando a difendere noi da noi stessi.

Come in ogni manuale di "sopravvivenza" l'autore ci propone un illuminante decalogo. Infatti pare che se non fosse un decalogo i lettori non lo comprenderebbero come consiglio articolato volto a darci sollievo, suggerimenti ed aiuto: l'ho letto su Facebook... o me lo ha detto mio "cuggino"? Sono consigli semplici, chi li leggerà potrebbe pensare a pratiche di buon senso, se non fosse che, quando ci troviamo su Facebook, anche il morigerato buon senso sfugge da noi. Io so che Socrate non userebbe Facebook, che diamine!, non ha scritto una sola parola in vita sua!
Infine non vi sarà indifferente che ho scritto di istruzioni filosofiche per non restare intrappolati da Facebook anche su Facebook. Sono stupido ed ignorante, come tutti voi (cit.), e questo dimostra quanto ci serva avere riferimenti che non hanno conosciuto Facebook per non restarne intrappolati.

*Ehi, non cercatela sul vocabolario online e non assumete che sia un errore sfuggito al correttore ortografico, che nel mio caso fa un ottimo lavoro, perché si tratta semplicemente di un'invenzione del momento: scherzoso + serio. Ognuno mostra la stupidità che si può permettere. Ora tutti fuori per un'apericena! 

Oziosofia

AutoreStefano Scrima

Giudizio: ***

Se è vero che siamo detentori e padroni del nostro destino allora è vero anche che l'ozio potrebbe appartenerci, se solo lo volessimo. L'ozio che produce felicità e non l'ozio svagato pieno di soli vuoti. Quanto è bello svegliarsi e sapere che puoi goderti 10 minuti nel tepore del tuo letto perché questo ti rende felice? Oppure trovare momenti da trascorrere nel fare quello che ti piace?
L'ozio è definito padre di tutti i vizi e nulla impedisce che sia un buon padre di famiglia. Il culto del lavoro ha rubato libertà ai lavoratori dipendenti ed arricchito in modo spropositato chi può comprare il lavoro altrui. E se c'è chi lavora tanto, al contempo c'è anche chi è disoccupato.
Esiste una grande differenza tra lavorare per vivere e vivere per lavorare, l'inversione degli addendi muta il risultato ed il significato che, nel secondo caso, porta alla schiavitù del lavoro gratuito e senza orario: mandare e-mail a mezzanotte serve per mettersi avanti su cose che avresti potuto e dovuto fare l'indomani. Ma perché lo hai fatto?
In parte perché nella precarietà nasce la paura di perdere il posto di lavoro e l'impossibilità di potersi concedere il riposo per paura di non essere capace di mantenersi (da cui lavorare da casa nelle ore di riposo). In parte perché il lavoro è tanto è però lo devi sbrigare tu da solo. In parte perché questo comportamento tutti se lo aspettano, chiamiamolo eccesso di zelo.
I più fortunati, e talentuosi, si trovano nella straordinaria conduzione per cui fanno un lavoro che a loro piace. Per questi non v'è limite al piacere di poter lavorare anche 12 ore al giorno. Ma sono la minoranza e per la maggior parte di noi non è così.

Una lettura leggera, giocata tra le aspirazioni e contraddizioni contemporanee ed il pensiero di padri nobili della "teoria dell'ozio" come condizione dell'umano e non condizione del reietto dalla società da emarginare. La pigrizia può condurre alla felicità quando è una scelta libera e consapevole. Ed in tutto questo possono essere di aiuto la playlist e la bibliografia essenziale proposte in appendice ed espressamente dedicate al pigro. Buona lettura oziosa a tutti.

Filosofi all'Inferno. Il lato oscuro della saggezza

AutoreStefano Scrima

Giudizio: **

Nessun essere è immune dall'avere un lato oscuro. Qui, però, non si cita Erich Fromm, ma solo le ombre postume dell'essere illuminato: lo seguono e lo collocano all'Inferno, proprio in ragione della luce emanata. Così i più saggi tra i saggi non sono immuni ed ogni loro parola può essere utilizzata per alimentare la luce e vedere meglio l'ombra. L'espediente letterario è un viaggio agli inferi che i contemporanei chiamerebbero 2.0 (il termine "remake" è abusato ed è diventato il lato oscuro di qualsiasi commercio) percorso dalla rodata coppia Dante e Virgilio. Per loro gli interlocutori saranno filosofi: un Platone "mangia pallone" che nel torneo di calcetto non passa mai la palla lasciando cadere Aristotele in una noia mortale, un esile ed indifeso Leopardi mal sopportato da un veemente Schopenhauer che odia le vecchiette, un litigio furibondo tra il puntuale Kant ed il prolisso (ed oscuro) Hegel, un gelato marxista che non può esistere nel caldo dell'inferno, un italiano che abiura la propria opera di verità, Galileo, ed un altro italiano, Giordano Bruno, che, al contrario, muore per le proprie idee letali e addirittura il santo Agostino, punito in eterno per il furto di due pere: anche il pensiero più lindo nasconde l'azione più "peccaminosa".
Il viaggio all'Inferno non è proprio un viaggio, semmai una breve passeggiata che racconta di qualche incontro con filosofi, molti sconosciuti a Dante, e dei quali il poeta non comprende il peccato e addirittura le ragioni, che all'Inferno sono sempre torti. I filosofi stessi non capiscono il motivo della punizione inferta loro da un Dio che, per alcuni, non poteva esistere e, per altri, era a guida del loro stesso pensiero. Questo poco importa, Dio aveva già scelto che tutti i malpensanti, come i filosofi, dovessero scontare le colpe dei loro pensieri ed azioni all'Inferno.
Libretto esile per dimensione e contenuti, ma che tradisce l'inconsistenza di un supplizio fisico prodotto da peccati di pensiero. In fondo Lutero volle la Bibbia in tedesco perché tutti potessero leggere ed imparare e per questo l'Inferno lo accoglie.