Il ballo

Autrice: Irène Némirovsky

 

Giudizio: ****

 

Se ti raggiunge la ricchezza, cercata con tanta ambizione, è la povertà d'animo che bilancia la fortuna incontrata a lasciarti povero di amicizie ed affetti.

 

La protagonista, Antoinette, è una adolescente sognatrice che si ritrova suo malgrado in competizione con la madre. Questa la vuole altera come si confà al rango raggiunto nella buona società grazie al denaro guadagnato per una felice intuizione finanziaria del marito, il padre di Antoinette. Ora vivono in un lussuoso appartamento parigino con tanto di servitù e la ragazza ha il supporto di una tata inglese che fa da governante e da istitutrice per insegnarle le buone maniere. Per dare un tono alla famiglia la ragazza va anche alle noiose lezioni private di pianoforte.

Agli occhi di Antoinette gli adulti che la circondano sono odiosi: la madre che la tiranneggia, la tata, di pochi anni più grande di lei, che invidia perché immagina immersa nell'amore di un giovane spasimante, il padre troppo impegnato a ritagliarsi un ruolo ed il buon nome nella società per ricordarsi di avere una figlia e la maestra di pianoforte tanto sciocca da non voler usare gli occhiali anche se non riesce più a leggere gli spartiti.

 

Arriva il momento che la famiglia faccia il passo decisivo per entrare pienamente nella buona società e per farlo organizzano un ballo invitando i più bei nomi possibili. Ad Antoinette viene consentito rimanere alzata oltre l'orario solo perché deve scrivere i biglietti di invito con bella calligrafia. Lei immagina il ballo, si vede danzare con un cortese e bel giovanotto, mentre la madre pensa come essere scintillante e munifica di sorrisi e gentilezze nei confronti degli ospiti a partire dall'organizzazione così perfetta da fare invidia per prima all'insegnante di pianoforte di Antoinette.

 

Il momento cruciale è racchiuso nel periodo che va dal "no" pronunciato per il timore che un "sì" avrebbe fatto sfigurare la madre di Antoinette e la vendetta di Antoinette indotta dall'invidia che prova per la felicità amorosa della tata e dalla tristezza lacerante che l'ha colta da quel "no" per il quale non riesce a darsi pace. Il seguito è l'inevitabile condivisione di tristezza e misere recriminazioni dove tutti hanno perso in una gara di apparenze, invidie ed ipocrisie.

 

Lamento di Portnoy

Autore: Philip Roth

 

Giudizio: ****

 

Una lunga seduta con lo psicologo nella quale questo interlocutore entra solo nel finale. Un ascolto ininterrotto della vita del protagonista, Alex, preparato fin da bambino per essere il migliore, come mamma vorrebbe, e trovandosi ad essere un trasgressore tradizionalista che vorrebbe una famiglia, ma non ci riesce.

 

Il monologo inizia dalla rappresentazione della vita familiare nella quale Alex è il genietto, quello che potrà saltare due classi tanto è bravo, ma non troverà il suo spazio in una famiglia troppo angusta. Una mamma amorevole, ma troppo possessiva, un padre grande lavoratore, ma non valorizzato dai titolari anche per la sua scarsa attitudine all'ambizione, una sorella che gli vuole bene, ma Alex lo capisce solo parlandone con lo psicologo. Una famiglia presente, troppo presente, addirittura castrante e per Alex in modo praticamente letterale. Il protagonista si chiede che senso abbia avuto saltare due classi se poi, ultratrentenne, con un lavoro pubblico di prestigio, si trova ancora a dover negoziare le sue scelte con i genitori quando i suoi coetanei hanno famiglie autonome.

 

Con l'adolescenza e con la scoperta delle pulsioni sessuali e del modo di soddisfare autonomamente le proprie fantasie, inizia il periodo nel quale il sesso sarà sempre al centro dei suoi pensieri. Un sesso agito concretamente, ma anche solo con la fervida fantasia. Immaginazione che non lo abbandonerà mai anche nel pensare alle reazioni dei genitori o dei giornali ed alle conseguenza se i fatti, reali o immaginari che siano, diventassero noti.

 

Nelle traversie delle sue avventure amorose identifica solo due momenti in cui la mera soddisfazione sessuale, alla quale lui aspira costantemente, possa essere interpretata come amore vero. Ma sono momenti fugaci e privi della necessaria consistenza per lui che prima si crede ateo e poi scopre la gioia di appartenere al popolo ebraico, prima crede che avere una famiglia come la sua sarebbe una frustrante prospettiva e poi scopre di aspirare ad avere proprio una famiglia come quella.

 

Nel finale il protagonista viene posto di fronte alla realtà dei fatti e si scopre impreparato a difendersi anche se le vere cose disdicevoli che albergano nella società non sono la condotta della sua vita

 

Punto Omega

Autore: Don DeLillo

 

Giudizio: ***

 

Nel museo di arte moderna un visitatore anonimo passa il tempo nella sala dove è allestita una installazione che proietta la visione rallentata del film Psycho di Hitchcock. Un film che il visitatore ha già visto a velocità normale e pure a velocità ridotta. Questa installazione consente al personaggio, che resterà per sempre anonimo, di valutare punti di vista apparentemente insignificanti nella visione a velocità normale, come il numero di anelli staccati dalla tenda strappata nella scena della doccia, ma anche di vedere le scene in modalità speculare facendo diventare la mano destra la mano sinistra, o dove appaiono ferite inspiegabili sul volto dell'attore nella dinamica della scena. Nel quotidiano permanere nella sala, l'anonimo osserva la vita che osserva la finzione rallentata: la routine delle guardie presenti e gli altri visitatori, chi frettoloso, chi disinteressato, chi curioso. Lo fa come se una particolare situazione, una donna che gli rivolgesse la parola, potrebbe essere la base di partenza per affrancarlo da questa visione reiterata. Creare un legame tra l'installazione e la vita vissuta. Non succede e la sua vita rimane all'interno della sala.

 

Mentre l'installazione riceve i visitatori un giovane regista si ingegna per girare un film con protagonista un professore universitario che è stato consulente del Governo nel corso della guerra in Iraq. Lo incontra e, dopo il primo secco no del professore, ottiene il benestare a procedere purché il tutto si svolga nella sua casa a San Diego, casa che il docente non ha amato, ma dove ora vive.

Il formato del film è semplice e dovrebbe impegnare i due per pochi giorni: il professore davanti alla videocamera che parla di lui e delle sue scelte, spesso contraddittorie. Odia la violenza, avendola subita da bambino, ma ha operato in qualità di consulente del Pentagono nel corso della guerra: c'era, ma non era lui, erano solo le parole, non necessariamente sue, e rivendica la giustezza di ogni scelta. I due discutono di cosa è il loro passato, la vita persa nel tempo e non percepita come vita e le scelte che sono inevitabilmente decisioni loro.

Un giorno si presenta alla casa la figlia, la più amata dal professore, e si crea una situazione di ipotetica attrazione tra lei ed il regista. La ragazza è stata spedita dalla madre dal suo ex marito perché teme una cattiva frequentazione. Un uomo pericoloso, sbagliato per la figlia.

Il lavoro al film si smarrisce, ma il regista non ha la volontà di prendere in mano la situazione. Il professore, che all'inizio non voleva essere testimone di sé stesso e della sua vita, lo diventa di quanto di più intimo ci sia, la figlia amata. Che però sparisce, senza spiegazioni, senza tracce. Le ricerche non portano a nulla e questo è il tracollo del professore. Ora è un uomo perso nella scomparsa della figlia, assolutamente inabile ad andare avanti.

 

La scena ritorna al punto di partenza. Ci troviamo nuovamente al museo con il visitatore anonimo che è ancora immerso nella visione di Psycho. Ora però una donna gli rivolge la parola e tutto ciò che è stato fantasticato potrebbe sostituire il film già visto anche al rallentatore. Il legame tra la vita vissuta e l'installazione che è diventata vita e non è più la finzione che invece avanza a velocità normale.

 

Il Punto Omega è il massimo livello di consapevolezza di sé stesso. Questo può accadere a due uomini che guardano l'orizzonte di un paesaggio mastodontico e bellissimo nel quale alcuni vanno per "togliersi la vita" ed altri per "diventare solo materiale inorganico" per certificare l'estinzione perché da quel punto non si può più avanzare.

 

Missitalia

Autrice: Claudia Durastanti

 

Giudizio: ****

 

La Lucania è un luogo preciso e ricorrente dal quale non si può sfuggire nemmeno se si vola sulla luna, luogo altrettanto preciso sul quale nessuno è singolare perché ha un omologo sulla terra.

 

Una storia di bambine e di donne del passato che si ritrovano, loro malgrado, a crescere ed invecchiare nonostante tutto il dolore, la passione, l'ingenuità, l'amore, la meraviglia, l'odio. Un passato remoto circoscritto nell'unità d'Italia tra il banditismo, gli uomini e bambini nascosti nel sottomondo, le sante guaritrici, i coltelli che spariscono nelle carni, pietre magiche e la rivoluzione della fabbrica che sarebbe il progresso della modernità del nord portato al sud, ma che strappa le mani a bambine americane, rivoluzionarie di famiglia. Poi il passaggio ad una contemporaneità collocata leggermente nel passato nella quale una donna torna nei suoi luoghi di origine per documentare folclore e tradizioni. Non è un rendez-vous con le sue origini e si ritrova incastonata nella nuova modernità di potere che è il petrolio e la sua ricerca. Infine una contemporaneità collocata leggermente nel futuro dove terremoti controllati non hanno comunque fatto affiorare giacimenti di petrolio e quindi il luogo viene adattato a base di partenza per trasferirsi sulla luna. Territorio gemello che deve duplicare e non distanziare le popolazioni e sul quale viene deciso di bandire un concetto fondamentale. Una modernità che ancora una volta non sta nel luogo ma nel modo di pensare la contemporaneità, adattarsi è ancora la via da percorrere.

 

Missitalia è un'Italia mancata per incomprensioni o per dolori, per vigliaccherie o per nostalgie, per compassione o per odio. Non è un concorso di bellezza scritto male, è una storia di passioni individuali che si intrecciano senza annodarsi, che si toccano senza abbracciarsi, che si comprendono senza capirsi. È l'amicizia messa a repentaglio dalla vita, è l'amore perso per l'impossibilità di riconoscersi al primo momento, è il finale di cui non si può parlare.

 

Chi dice e chi tace

Autrice: Chiara Valerio

 

Giudizio: ****

 

Siamo in un piccolo paese dove tutti si conoscono e tutti sanno di tutti. Per qualcuno è come se fosse una prigione dalla quale fuggire, per qualcun'altro è come se fosse un paradiso dove ritirarsi o dove restare in pace con il resto del mondo. Le contraddizioni non mancano, ma qui restano più nascoste perché i 6 mila autoctoni sono e restano "poveri" e pure i quasi 100 mila che invadono il paese nel periodo estivo sono di una "ricchezza moderata" che quelli veramente ricchi vanno altrove.

 

A Scauri, il nome del paese, arrivano due donne, l'una molto più giovane dell'altra. Nessuno pare interessato ad interrogarsi sul rapporto tra queste due donne, su chi siano, perché siano arrivate in paese. Questo avviene soprattutto perché la più vecchia, Vittoria, ha un fascino ammaliante che piace a tutti e tutte. Compra casa che è una casa che negli anni sarà aperta a tutti ospitando gli animali di chi ha bisogno di qualche giorno di "libertà". Compra una barca ed è, forse, la prima donna ad avere un posto nella darsena. Gioca a carte tutti i giorni al dopo lavoro ferroviario ed è apprezzata per la sua bravura al gioco, pare che a poker abbia perso solo una volta. Inizia a collaborare con la farmacista e con il prete creando, per i bambini, un "album" delle erbe che sovrasta la bellezza degli album delle figurine Panini.

 

Ma la tragedia è dietro l'angolo: un "incidente" domestico uccide Vittoria. Lea, un'amica conosciuta perché lasciò il suo cane nella casa per passare un fine settimana con il fidanzato che stava facendo il servizio militare, non crede nella disgrazia ed inizia una "personale indagine" che la porta a scoprire cose "sconosciute". Si sentiva amica, ma era quella che sapeva meno della defunta. Un mosaico di cose sorprendenti che Lea mette insieme scoprendo che tutti sapevano alcune cose di Vittoria, anche cose che la riguardavano direttamente, tranne lei.

Lea, alla quale i genitori hanno dato un nome breve perché nessuno lo scorciasse, viene chiamata da tutti Le' ed è quella che non capisce e che vorrebbe capire. Ma questo suo accanimento viene scambiato per superbia: per molti ci sono cose che non si possono capire. Come perché un nome breve viene comunque scorciato o perché quella prigione che è il paese non sia poi così terribile. Ognuno è portatore di un'identità che altri assegnano e, per questo, si resta all'oscuro di tutto ciò che non rientra nell'identità assegnata.

 

Sto solo dormendo. Lennon e filosofia

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

Ancora una volta, con mirabile sagacia, Scrima ci avvolge in quello stato attitudinale che molti pensano come ad un vizio insanabile e che invece, qui, viene trattata come una magica virtù: la pigrizia. Certo non una pigrizia qualsiasi, ma la pigrizia di quel genio che è stato John Lennon, colui che, pur di dormire, ha sognato canzoni che poi ha trascritto, suonato, cantato.

 

Un ragazzo baciato dal talento e che ha saputo districarsi nelle mille contraddizioni alle quali le sue scelte di vita lo hanno esposto. Piuttosto che lavorare, e di conseguenza invecchiare ed "abbruttirsi" come ha visto succedere ai suoi compagni di scuola che hanno abbandonato gli studi per andare al lavoro, meglio assecondare l'indole di artista in nuce e suonare. Anche se la zia gli ricorda che la chitarra non lo farà mangiare. Sentirsi un genio, come si dimostrerà successivamente, ma non essere riconosciuto come tale potrebbe far saltare i nervi se non fosse che la pigrizia lo mantiene al riparo da questo rischio. Innamorarsi del rock'n'roll che arriva dagli Usa ed essere uno dei fantastici 4 che invaderanno la terra americana con le loro canzoni diventando idoli adolescenziali immersi in tutto e per tutto nel sistema, sarà successivamente oggetto di forte contestazione da parte di Lennon: grato della ricchezza, ma contrario al sistema.

Lennon si contraddistingue per l'ironia beffarda che sta in alcuni sui comportamenti. Arrivare in ritardo alle celebrazioni per la sua nomina a baronetto perché dormiva e non ha risposto ad un telefono al quale non risponde mai. Oppure nella frase pronunciata dal palco ad un concerto nella quale si riferisce al pubblico dicendo che gli spettatori dei posti popolari potranno esprimere il loro apprezzamento battendo le mani, mentre coloro che occupano i posti più costosi potranno far tintinnare i gioielli. Oppure nell'appurare che i Beatles sono diventati più famosi di Gesù e maturare al contempo quel senso di colpa per questa fama e successo economico giustificata dal pensiero comune che è meglio essere ricchi che poveri. Oppure abbracciare il pacifismo come unica rivoluzione possibile, ritrattare parzialmente constatando che una rivoluzione pacifica non può essere e dichiarare che lui è diventato pacifista perché di indole violenta.

Il ragazzino "pulito", ben vestito e con i capelli corti che diventa uomo maturo con occhialini, capelli lunghi ed abusi che non sa essere padre del figlio avuto dalla prima moglie e che invece spende anni per essere il padre amorevole del figlio avuto dalla seconda moglie. In questo percorso ondivago Lennon mantiene una costante: dormire, sognare e mettere a frutto la propria pigrizia perché questo è sempre meglio che lavorare.

 

In quinta elementare (1980) io non sapevo chi erano i Beatles. Un bel giorno una mia compagna di classe, in quei momenti interminabili di pausa didattica che a quell'età paiono durare ore e che probabilmente sono stati di pochi minuti, mi introdusse al suo personale mito dei fantastici 4. Eravamo a scuola, non poteva farmeli ascoltare, ma mi disse che lei li adorava ed in particolare ne amava uno che, era certa, un giorno sarebbe giunto da lei con il suo cavallo bianco e l'avrebbe rapita e condotta nel suo castello. "Ok Chiara, buon per te" credo sia stato il mio pensiero tra l'annoiato ed il curioso in attesa che la maestra ci assegnasse un nuovo lavoro. Oggi ho dimenticato se Chiara si riferisse a John Lennon o a Paul McCartney (escludo a prescindere i due "minori" dei fantastici 4), ma alla luce di questa lettura, posso ipotizzare che si riferisse al secondo perché un'impresa così faticosa per Lennon non sarebbe stata pensabile. Tuttavia è pur vero che questo era il sogno di una bambina e, nel regno dei sogni, il Principe Azzurro non può che essere Lennon. Quindi io non ho la risposta certa. Spero per Chiara che il suo amore fosse McCartney perché pochi mesi dopo Lennon venne ucciso da un suo fan. Le contraddizioni lo hanno inseguito pigramente per tutta la vita.

 

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Sud America?

Autore: Antonio Manzini

 

Giudizio: *

 

Quattro amici di infanzia che vengono dallo stesso luogo, ma che nella vita hanno percorso strade assai diverse. Quattro amici che, per queste strade, ne hanno perso irreparabilmente uno che li ha traditi ed è scomparso dalle loro vite, ma non dalla vita. Dei tre amici rimasti uno vuole vendetta e parte alla ricerca del traditore. I due rimasti si devono arrabattare per ritrovarlo ed evitare l'irreparabile. Tra ricordi che sono epici solo perché sono ricordi ed il presente che ha l'aspirazione di diventare epico per inerzia e non per passione, l'avventura si mostra senza essere una vera avventura, come trovarsi in una spiaggia romagnola e raccontare quanto sia stato epico arrivare a sera senza ustionarsi.

Il titolo avvincente si presta in modo irresponsabile al dipanarsi della storia, fino all'epilogo che salva lupo, capra e cavoli. Sì, salva anche i cavoli a merenda che in alcuni passaggi danno il senso di ciò che si sta leggendo. Metto agli atti che questo libro, scelto per una giornata di mare, mi ha tradito. Meglio, il titolo mi ha tradito perché responsabile della mia scelta. Non credo che mi imbarcherò per il Sud America per cercarlo ed avere vendetta, la mia non sarebbe un'avventura.

Questa lettura è prova che scorrevolezza e brevità non sono necessariamente amiche di leggerezza e, men che meno, di bellezza. Peccato, o per fortuna.

 

Viaggio notturno. La bambina

Autrice: Vanna Vinci

 

Giudizio: ***

 

Il mistero crea dipendenza se si tenta di rincorrerlo: si subisce il fascino e la paura di quella corsa. Il piacere di vivere ancora nel mistero per esplorarlo ed assaporarlo, letteralmente. Molti appaiono interessati pur rimanendo marginali e rimandare tutto ciò che è la vita conosciuta prima per abbracciare con stupore e paura ciò che si palesa ignoto, pare l'unica ipotesi ragionevole. Uno stato che allontana Jana, la protagonista, da ciò che era per diventare un'altra persona. Nel mistero che si muove, il cambiamento arriva forte, violento, istantaneo, inarrestabile. Coglie alla sprovvista e turba anche per la pace che lo accompagna mentre nel profondo svuota e prosciuga. Ora, del mistero, Jana sa che cresce in lei e nasce da lei, ma è ancora inspiegato il perché. Si mostra sotto vesti che non sono lei pur essendo lei. Ed è accompagnato dal sentimento forte per colui che ha mostrato un certo disinteresse, perché sa cosa lo interessa di lei, ed al tempo stesso un certo interesse che lo fa apparire, a Jana, come se quel mistero che è non fosse. Una dimensione fantasmatica esterna ed una dimensione fantasmatica interna accompagnano Jana, tra la donna sommersa nello specchio e la bambina partorita dalla testa. Una vita che appare sognata più che vissuta nella Bologna notturna e sommersa che si accosta al caso che caso non è, ma che ancora, nonostante alcuni disvelamenti, resta mistero.

 

Staccando l'ombra da terra

Autore: Daniele Del Giudice

 

Giudizio: ****

 

La prima trasformazione consiste nel passaggio da tram ad aereo. Il volo accompagna l'umanità da sempre attraverso la mente. E, fino a che la tecnica non ce lo ha consentito, volare è stata un'esplorazione che ha attraversato il sogno e l'immaginazione. Ma da quando l'aereo è diventato concreto mezzo di volo è subentrato il passaggio cruciale: non essere più aereo, ma diventare pilota.

 

L'apprendistato al volo si consolida tra i silenzi eloquenti di un maestro taciturno che legge le nuvole come un aruspice per predirne evoluzione e sviluppo, le letture della manualistica per avere statisticamente riscontro di quello che si deve e si può fare in volo e la sorpresa, in quel giorno improbabile, di trovarsi da solo in cabina senza l'istruttore. Pensare in quel momento che lo spazio per staccarsi da terra è quello delimitato dalla pista, provare i freni perché se non funzionassero a dovere il rientro sarebbe catastrofico, dimenticare un passaggio fondamentale e staccarsi da terra molto tardi, ma non troppo tardi. La volontà di decollare supera la paura di non riuscire. Ed una volta in cielo, volare con il fardello del controllo, ma non senza pensare al rientro sulla terra. Le scelte di in pilota sono tutte scelte irreversibili.

 

Siano lodate le check list, il può breve e finzionale manuale di volo, e siano lodati gli strumenti di bordo quando la visibilità non fa distinguere il cielo dalla terra ed il pilota non capisce se sta procedendo dritto o inclinato. Tutto questo a patto che il pilota scelga di fidarsi. E siano lodate le torri di controllo che guidano, anche nella completa "cecità" del pilota, al punto di atterraggio.

 

Il volo è per sua natura errare, nel senso di muoversi più o meno liberamente nel cielo e commettere errori indipendenti dalla propria volontà. Il ghiaccio che si forma sulle ali, lo stallo al quale segue una vertiginosa ed irrefrenabile picchiata, l'azione di guerra che necessita la precisione assoluta del rilascio del siluro perché se sganciato troppo presto consentirebbe alla nave di evitarlo e se sganciato troppo tardi troverebbe pilota ed equipaggio nel caos dell'esplosione. Non sapere cosa è successo perché solo i pezzi della carlinga dell'aereo inabissato sanno esattamente dell'accaduto e ricomporre la struttura perché i periti possano vedere, analizzare, valutare, non è come far andare a ritroso un filmato nel quale le schegge di una bottiglia esplosa si ricompongono ognuna al proprio posto. Ciò che accade su un aereo è irreversibile. Infine essere in volo il giorno sbagliato, trovarsi nel luogo sbagliato, tardare il rientro e lasciare i sopravvissuti nell'ignoranza di non saper dire cosa è accaduto, si può solo ipotizzare e non sarà mai abbastanza vero, tanto quanto è vero che il pilota ha fatto tutto ciò che doveva fare: non è bastato e questo basta.

 

Il filo conduttore che passa da eventi meteorologici a descrizioni di azioni di guerra, da inspiegati inabissamenti a serene passeggiate nel cielo, si trova nell'inevitabilità dell'errore. Come nella vita con i piedi per terra ed anche nell'ipotesi che si è fatta la cosa migliore che si doveva e poteva fare, quello che cambia è che l'errore in cielo arriva a conclusione in pochi istanti. Il cruccio dell'autore è che l'errore riguardi anche altre persone, ma questo è vero pure per chi tiene i piedi per terra, sono solo i tempi degli effetti che si dilatano. Poi c'è l'amore per il volo che è l'amore per quella vita.

 

Brick for stone

Autore: Alessandro Barbero

 

Giudizio: ***

 

L'11 settembre 2001 è, per la nostra epoca, una data caposaldo. Tutti, anche quelli che non c'erano, sanno cosa è successo, immaginano il perché è successo, ma non sanno esattamente il come è successo, al di là delle immagini che tutti abbiano visto. In questo libro si tratteggia un ipotetico come, ma non dal punto di vista di chi assalta, bensì dal punto di vista di chi viene assalito. Ma chi viene assalito come può raccontare il come se è stato completamente sorpreso dall'evento preparato nel segreto assoluto il cui risultato è stato garantito dalla meticolosità dell'operazione?

Una vicenda che ha saputo rilanciarsi in ogni casa, stupefatta ed atterrita, senza che una spiegazione potesse prendere il sopravvento ed allo stesso tempo con tante spiegazioni che avvolgono la storia in una nebbia impenetrabile. Semplificando potremmo chiamare questa propagazione di notizie il complottismo dell'accusa che avanza diverse ipotesi alternative contro la difesa: spiegano l'inspiegabile (come potevano non sapere una cosa così grande?), suggestionano la platea che non è in grado di introiettare e metabolizzare le informazioni raccolte, non riuscendo, o non volendo riuscire ad andare oltre.

A surroga di queste mancanze subentra il racconto di Barbero. L'autore allestisce una scena dietro le quinte nella quale il protagonista sente quello che accadrà, preconizza l'attacco che subirà il paese, ma non sa come cristallizzarlo, codificarlo e scongiurarlo. È un agente della CIA che ha operato in Afghanistan ed organizza una squadra informale ai limiti del surreale. Un ex agente sovietico esperto in armi chimiche che ha calcato anch'esso le scene afghane. Un docente universitario esperto in cultura popolare con particolare riferimento alla sottile arte dell'interpretazione di graffiti e scritte di bagni, stazioni, metropolitane, treni. Il direttore del McDonald delle torri gemelle. La stella geniale, l'ex campione del mondo di scacchi, Bobby Fisher che odia gli Stati Uniti e viene costretto a salvarli. L'agente della CIA orchestra la sua banda imbattendosi per accuratezza, intuizione, pigrizia, opportunismo dei componenti in ipotesi false, verosimili e vere. Lui però ha capito tutto, gli manca solo il quando, ma sa che è imminente.

Il finale tutti noi lo conosciamo, la verità non tutta, esattamente come l'agente della CIA che vede la fine che sospettava senza poterla fermare.

Dietro ogni verità c'è una bugia più "vera" che scalza la verità. Che la torre sia fatta di pietre o mattoni poco importa purché pietre e mattoni siano funzionali alla costruzione della torre, o alla sua distruzione.

 

Rumore bianco

Autore: Don DeLillo

 

Giudizio: ****

 

Il rumore bianco si sente solo quando il suo suono diventa talmente profondo che fa scomparire qualsiasi altro rumore. Ed è importante che il rumore sia profondo e non acuto perché in quel momento è possibile pensarsi profondamente soli: l'individuo di fronte al suo rumore inudibile agli altri che sono presi dal proprio rumore bianco.

 

Essere un docente universitario di studi hitleriani, riconosciuto tra i massimi esperti internazionali sull'argomento, pone qualche imbarazzo quando il protagonista deve organizzare un seminario e realizza che non conosce una sola parola di tedesco.

Avere avuto diverse mogli, ma comprendere che la moglie attuale è la più amata per indole, complicità, sincerità lo rende un uomo grato.

Confrontarsi con un figlio adolescente che riduce ogni sentimento umano ad una funzionalità biochimica, indipendente dalla propria umanità, rende intellettualmente interessante capire perché l'amico del figlio voglia farsi chiudere in un box con serpenti velenosi per entrare nel guinness dei primati.

Assecondare le intuizioni della figliastra, che osserva con attenzione clinica la madre, e farle diventare le proprie preoccupazioni prima che ossessioni.

Condividere con la moglie la paura della morte, quella situazione per cui ognuno dei due spera di non sopravvivere all'altro, appare una cosa talmente naturale da diventare ossessiva.

Scoprire il proprio corpo eletto come il primo che morirà a causa di una nube tossica, è un segreto ben custodito che sfugge solo quando anche il segreto della moglie viene scoperto. "Oggi come stai? Io bene, e tu?" diventa il dialogo che lenisce le preoccupazioni.

Pensarsi davanti alla morte, o ad un suo emissario, trovare conforto afferrando la propria edizione del Mein kampf per affrontare il fatale passo finale, e scoprire che di fronte al protagonista c'è solo il suocero, impenitente donnaiolo ed ora male in arnese, rende comica la tragedia personale.

Trovarsi con l'amico e collega a discorrere di cosa c'è oltre la vita, qualunque sia l'opzione incredibile che si sceglie per avvicinarsi alla fine.

 

Il rumore bianco è dietro ogni cosa. Dietro ai ragazzi accompagnati dai genitori in imponenti station wagon al rientro all'università dopo la pausa estiva. Dietro ad in bambino che senza una causa specifica inizia un pianto interminabile. Dietro una collega goffa dell'università che dà la dritta non richiesta, ma necessaria, perché è una persona in gamba. Dietro a spettacolari tramonti che, dopo la nube tossica, sono visibili dal cavalcavia ed attraggono spettatori rapiti dalla loro bellezza. Dietro la chimica che guida le nostre azioni e reazioni, consolatoria e mortifera. Dietro le esercitazioni di evacuazione dove alcune persone si cimentano nell'essere morte perché è solo preparandosi con attenzione che, al bisogno, saranno pronte. Dietro alla lettura di tabloid per vecchi non vedenti per trovare una via di fuga senza uscita. Dietro una suora tedesca che si dichiara credente solo per consentire l'esistenza dei non credenti. Dietro ad un bambino che con il suo triciclo attraversa una strada trafficata.

Se il rumore bianco è dietro a tutto ciò, davanti al rumore bianco siamo tutti soli, ognuno con il proprio rumore con il quale convivere.

 

I baffi

Autore: Emmanuel Carrère

 

Giudizio: ***

 

Un uomo felice, di quella felicità dettata dal sentirsi compiuto. Amare una bella moglie che lo contraccambia, avere un lavoro stimolante che dà soddisfazioni, condurre una vita sociale adeguata allo stile scelto, coccolarsi nei rituali di fine giornata, rilassanti ed appaganti, che concludono degnamente il vivere una giornata qualunque di una vita perfetta. Se non fosse per un vezzo, i baffi, che vezzo non sono. Sono parte integrante di quelle scelte di vita che gli hanno dato la felicità ed allo stesso tempo possono essere il grimaldello per uscire e vedere come è stare fuori da quella vita.

 

Si potrebbe dire un colpo di testa privarsi di quei compagni di vita che stanno con lui da anni. Un mettere se stesso e gli altri alla prova per valutare come sarebbe la vita senza di loro. Una banale pausa che in qualche giorno tornerebbe al suo posto. Quanto possono influenzare una vita perfetta la presenza o l'assenza di un paio di baffi?

Pensare che la loro sparizione sarebbe stato un duro colpo per moglie, amici, colleghi e parenti è la stimolante curiosità. Ma, al contrario di ciò che immagina il protagonista, gli eventi si sviluppano in modo assai lontano dalle fantasie della sua immaginazione. La vita perfetta diventa irriconoscibile. Il protagonista si trascina letteralmente in nuove situazioni inattese ed impensabili nelle quali il suo cambiamento passa inosservato mentre sotto i suoi occhi tutto cambia in modo vorticoso ed ingiustificato. Il taglio dei baffi lo rende "estraneo" alla vita che ha creduto di vivere quando ancora portava i baffi.

 

Ogni abitudine, ogni atteggiamento, ogni modo di presentarsi agli altri è parte della propria vita. Cambiare senza che questo cambiamento venga riconosciuto può mettere in pericolo l'equilibrio interiore raggiunto in anni. Anche se quel cambiamento fosse il semplice tagliarsi i baffi per vedere l'effetto che fa.

 

Diario di un'estate marziana

Autore: Tommaso Pincio

 

Giudizio: ****

 

Le stagioni nascono per finire, ma l'estate più delle altre perché sonnecchia placida e splendente nella malinconica solitudine verso la sua fine. Un passaggio dal vissuto al ricordato di ciò che l'estate lascia al termine del suo essere stagione di fuga e di ritorno: tutto finisce e poi ricomincia.

 

Questo diario non voleva essere un diario, così scrive l'autore, come a voler sottolineare quello che è [stato] senza volerlo essere. Una "passeggiata" estiva a visitare luoghi romani nei quali Flaiano [non] è stato Flaiano. A partire da frasi apodittiche a lui attribuite, ma da lui mai pronunciate. Per proseguire con l'amore e l'odio per la città adottiva raggiunta in treno da ragazzino insieme a un gruppo di fascisti. Un lavorare nascondendo il suo scrivere dietro un solo romanzo portato a termine e che gli valse un premio Strega. Una capacità di partecipare con tanto più profitto alla stesura di sceneggiature quanto meno è lui a scrivere. Essere presente senza apparire. Nella città che è di per sé set cinematografico, quello che accade è prima cinema e poi vita. La vita è un di più, indolente e sfacciata quando viene chiesto di guadagnarsela facendo ciò che si sa fare all'insaputa di ciò che si credeva di saper fare. Un perenne me lo merito perché non me lo merito e viceversa. Una vita, ed una città, dove è la ricostruzione di un luogo in un set cinematografico ad essere più vero del luogo vero.

 

Appare in continuità la scelta dell'autore di seguire i premi Strega in TV e non dal vivo, pur essendo parte di quel sistema, perché più "veri". Come appare impareggiabile il ricordo dell'autore che, mentre per strada legge un libro, affronta un gruppo di bulli che rifiutano la lettura come un elemento di una vita "giusta". Il perseverare nel leggere da parte dell'autore colloca i bulli nella maestosa condizione di avere diritto di "vita o morte" su quella povera e devastata anima intenta nella leggere un libro. Dal loro piedistallo decidono di graziarlo. L'indolente Roma può districarsi attraverso meccanismi come questi da una malinconica decadenza.

 

Questo diario non è un diario perché non segue una cronologia, alcuni passi sono al presente, mentre altri sono immaginati prima che passati. È un telegramma che racchiude l'essenziale, un messaggio capace di spiegare Roma, Flaiano ed anche Pincio ad un marziano.

 

Vizio di forma

Autore: Thomas Pynchon

 

Giudizio: ****

 

Tutto sembra tramare contro Doc Sportello, investigatore privato che fa uso spesso e volentieri di droghe per piacere, svago, abitudine e che si trova al centro di una tempesta perfetta: tutti i casi di cui si occupa hanno un filo rosso che li tiene insieme. Doc ipotizza di essere paranoico per uso di stupefacenti, ma forse non lo è.

 

Si trova coinvolto, solo per amore, in una cospirazione ai danni di un ricco e potente proprietario immobiliare nonché uomo di cui la sua ex ragazza è diventata amante. Doc è ancora innamorato ed accetta di indagare. Al contempo riceve l'incarico da un ex galeotto afroamericano di rintracciare un suo compagno di carcere, di esplicite simpatie neonaziste, eppure suo socio in affari, che gli deve una somma di denaro che il committente non vuole dire. Eppoi una vedova di un musicista di una band sulla cresta dell'onda che non si sente vedova e sostiene che il marito è ancora vivo. Il destino vuole che sulla strada di Doc si inserisca Bigfoot, poliziotto rude e sbrigativo che cerca di incastrare Doc tenendolo sotto pressione.

 

Le apparenti coincidenze che legano i casi che segue Doc si affastellano generando un mistero crescente. Si imbatte in collezioni di cravatte molto particolari, in dollari falsi con il ritratto di Richard Nixon, in un'associazione di dentisti assassini che ha lo stesso nome di un cartello di trafficanti di droga. Nulla però è casuale anche se il caso gli fa vincere una grossa scommessa.

 

Niente è come dovrebbe essere anche se tutto è quello che è, complesso e dannatamente pericoloso. L'uso ricreativo di droghe, un vago cinismo, l'assenza di ingenuità, se non funzionale a districarsi dalle situazioni più pericolose, pare siano la combinazione perfetta per uscire da un incubo reale e non indotto da sostanze stupefacenti.

 

Stella di mare

Autore: Piergiorgio Pulixi

 

Giudizio: ***

 

La bellezza è difficile da raccontare perché può lasciare senza parole, senza fiato. Questo vale anche per l'orrore. Ed in questo romanzo la bellezza straordinaria di una giovane ragazza si perde nel suo corpo orribilmente deturpato in un modo indicibile. La bellezza, che avrebbe potuto e dovuto allontanare Maristella dal borgo degradato dove il futuro le è negato, invece è stata derubata crudelmente dal suo assassino.

 

Da qui si parte per esplorare un luogo alla periferia di Cagliari, isolato per scelta degli abitanti ed abbruttito dal malaffare e dalla sopraffazione della malavita che ha una fortissima attrattiva su tutte le vite perdute in partenza in quel borgo. Questa storia, che è una storia collettiva per la quale, a diverso titolo, tutti gli abitanti del borgo hanno avuto a che fare con la giustizia, racchiude nello stesso spazio altre storie: la madre di Maristella devota ad un prete controverso, la nonna di Maristella già segnata da precedenti dolori familiari, il padre reietto di Maristella, un professore ingenuo e sprovveduto, la migliore amica della morta ed il boss del quartiere.

 

E poi ci sono gli inquirenti, polizia e carabinieri. Si muovono con l'autorità data loro dai distintivi, ma sono consapevoli di essere corpi estranei percepiti come inaffidabili, a loro nessuno dirà nulla. Oltre alle difficoltà investigative ognuno di loro ha un proprio fantasma: la sparizione della madre, l'amore non corrisposto, una spregiudicatezza operativa da far raggelare il sangue, la poca trasparenza nel lavoro di squadra ed altro ancora, talmente oscuro, che rimane nell'ombra: è lì, ma nemmeno il diretto interessato sa che c'è anche quello che lo attende.

 

Alla fine la verità è un colpo allo stomaco che lascia senza fiato, come l'orrore, come la bellezza della ragazza morta.

 

Cenere. Appunti di un lutto

Autore: Mario Natangelo, detto Nat

 

Giudizio: ****

 

Ho letto questo libro perché ogni volta che l'autore ha rappresentato la "morte" mi sono imbattuto in amici che lo hanno apostrofato come fosse un criminale seriale. "Deve avere un problema con la morte" è il succo dell'orrore, e non della critica, ad ogni singola vignetta in cui Natangelo ha rappresentato la morte. Non quella incappucciata con la falce, ma quella che viviamo tutti i giorni.

Quest'ultima frase, per quanto il mio pensiero possa essere sconclusionato, mi pare di un'ovvietà disarmante: in vita incontriamo quotidianamente la morte. La maggior parte dei casi è così lontana che possiamo non farci caso, non ne veniamo neppure a conoscenza. Spesso la notizia ci coglie sull'orlo dell'evento tanto scontato quanto sconosciuto da farci pensare "ma era ancora vivo?" quando veniamo a conoscenza del fatale trapasso. In altri casi la morte è così vicina da strozzarci la gola tra dolore, rimorsi, disperazione. Che sono sentimenti umani che proviamo quotidianamente, almeno lo fa chi è in grado di provare sentimenti. Certamente non lo straniero di Camus che pare disinteressato alla morte della madre. È chiaramente strano più che straniero, si pensa.

La morte è un fatto naturale che riguarda tutti eppure, sulla morte, non si può scherzare, esattamente come sull'Italia fuori da due mondiali di calcio consecutivi. Per molti, chi "maneggia" la morte con una vignetta, è un disgraziato perché viola un tabù: dei morti non si può dire, se lo si deve fare non si può che parlarne bene perché salutavano sempre.

Quando toccherà a noi non saremo più in grado di elaborare il lutto come abbiamo fatto per tutte quelle morti che abbiamo vissute. Per fortuna in quel momento saremo assolti dall'incombenza di rispettare canoni comportamentali perché ai funerali, spesso, ci si va per i vivi e non per i morti senza, con questo, voler mancare di rispetto nei confronti dei morti e men che meno nei confronti dei sopravvissuti. Le vignette di Natangelo parlano ai vivi, per quanto corrosive possano apparire ad alcuni di essi.

Se mai Natangelo venisse a conoscenza della mia morte e fosse colto dall'irrequieto furore di rappresentare in una vignetta la notizia per me ferale, sappia che la mia vita è trascorsa tra tennis, pizza margherita e cercare di fare ciò che è giusto fare e che la morte sopraggiunta si è parata davanti a me come una gigantesca forma di Parmigiano-Reggiano che, leggenda vuole, rifiutai quando, ancora in fasce, sputai la pappina arricchita con questo additivo infernale. A margine Natangelo ricordi che salutavo sempre, spesso anche sconosciuti, ma mi sono anche infilato le dita su per il naso e non ho mai partecipato ai caroselli per le vittorie ai mondiali dell'Italia. Non è da questi piccoli particolari che si giudica un morto da vignetta, ma possono aiutare i vivi a ridere di un fatto della natura. "Morte natura è" e se Taffo lo adotterà come slogan vorrei che ai miei eredi fosse riconosciuto un congruo diritto d'autore perché abbiano un ricordo da festeggiare. Se già è stato utilizzato scusate l'ignoranza e, per Natangelo, nella mia ipotetica vignetta ci deve stare anche l'ignoranza che mi ha contraddistinto per qualità e quantità.

 

Questo libro racconta momenti personalissimi di un lutto che fanno ridere e pensare che ci si possa scherzare. In tutto questo però non c'è alcuno scherzo, è tutto vero dolore quello che si prova quando su perde un caro e, per quanto piccino possa sembrare, accorgersi di aver perso le sue chiavi, rendersi conto di essere parte del mondo intero che la defunta ha accumulato per tutta una vita può aiutare a pensare quanto è stato bello esserlo fino a che è stato possibile.

 

Ducks. Due anni nelle sabbie bituminose

Autrice: Kate Beaton

 

Giudizio: ****

 

Un romanzo grafico di formazione che narra la vita dall'altra parte del mondo all'inizio di questo secolo e, seppure lontana dalla nostra percezione perché non sta sotto i nostri occhi, ci riguarda molto da vicino. Un racconto (im)pietoso di ciò che è la condizione di donna in un mondo del lavoro prettamente maschile, la condizione di migrante in un mondo nel quale sopravvivere richiede abbandonare la propria terra, la condizione dell'umanità che deturpa la natura per garantire la sopravvivenza della società così come è stata realizzata: profitti per pochi, sofferenza e morte per tutti gli altri.

 

Una storia nella quale la violenza, verbale e fisica, rappresenta inconsapevoli tutti coloro che ne fanno parte. Ne sono circondati e per questo ne sono parte involontaria e adottano gli schemi a loro assegnati. Il pensiero che sia il luogo e la condizione che conduce le persone a fare quello che non dovrebbero fare è un'ipotesi alla quale l'autrice si aggrappa. È assolutoria per la comunità comunque la si scorpori: le donne che si sentono in colpa per le molestie subite (credono che io piaccia loro perché qui sono l'unica donna), oppure il migrante che deve accettare di abbandonare i luoghi dove è nato se vuole sopravvivere (sofferenze provata per il voler restare ed il dover andare, lo fanno tutti, perché io no?) sono le distorsioni di un mondo imperfetto all'interno del quale vivono, nonostante tutto, tante brave persone. Ed è partendo da queste ultime che l'autrice si aggrappa all'idea salvifica che è il contesto che deturpa i comportamenti. Se fossero altrove quanto succede non accadrebbe? E se le persone che amiamo e stimiamo fossero qui, si comporterebbero nello stesso modo? Ogni comunità parcellizzata tende a fare quadrato per respingere le accuse o per garantirsi complicità nel perpretare quello che fanno tutti.

 

Una storia morale che richiede uno sforzo per non essere schiacciati dalla inadeguatezza che riguarda tutti e tutte. Le vittime che, anche quando formalmente tutelate, sanno che la loro azione verrà scambiata per altro: la reazione al sopruso sarà rigirata e volta ad incomprensibili "ricatti" anche se era chiaro che quello che è successo non poteva andare in altro modo perché se sei ubriaca è la norma che qualcuno approfitti di te anche se è padre, se è figlio, se è fratello perché in quel momento non si trova nel branco familiare, ma è parte di un altro branco.

 

Dalla quarta di copertina: "[...] restituisce l'umanità di quelle persone che svolgono il 'lavoro sporco' di cui siamo tutti complici. [...]". È il denaro, la necessità del denaro, che ci sporca facendoci fare cose sporche che distruggono l'ambiente, che costringono donne a subire "attenzioni" non desiderate, che ci allontanano dai luoghi in cui siamo nati e vissuti.

 

Bournville

Autore: Jonathan Coe

 

Giudizio: ***

 

Quattro generazioni di una famiglia inglese la cui storia attraversa il periodo che va dalla seconda guerra mondiale alla pandemia. Vite scandite tra eventi caposaldo che si succedono nella nazione e nel sobborgo la cui economia è fondata sulla fabbrica di cioccolata, immancabile, eterna, come la famiglia reale che aleggia nelle vite di tutti i sudditi inglesi.

 

Si parte dalla guerra e si passa dai mondiali di calcio casalinghi per arrivare all'uscita dall'Europa. Un conflitto perenne tra la tradizione inglese e ciò che non è inserito ed assimilato da questa tradizione. L'orgoglio della migliore cioccolata inglese reputata però inadeguata da francesi, belgi, tedeschi. Quei tedeschi che, ancora in molti, ritengono i nemici. La supposta grandezza di un popolo che non è più la grandezza della nazione. In tutto questo si inseriscono le contraddizioni caratteriali e di propensione alla vita dei tre fratelli che sono la sintesi dell'evoluzione subita del paese.

 

Vicende piane ed allo stesso tempo grandiose che mostrano come storia e tradizione possano essere il mezzo per appianare differenze oppure per enfatizzarle. La cioccolata, che nemmeno nei tempi di guerra doveva mancare, ha una formula depotenziata che soddisfa gli inglesi, ma non i disciplinari europei. È la tradizione ad avere la meglio: in suo nome fa accettare il "depotenziamento" generale, non solo quello degli ingredienti della cioccolata. Così è stato, così è, così sarà con tutte le contraddizioni e le sorprese che questo atteggiamento comporta.

 

Episodi incendiari assortiti

Autore: David Means

 

Giudizio: ***

 

Storie di vita incamminate verso la morte, storie di amore attraversate dal dolore. La desolazione che scorre solitaria accanto a vite autonomamente desolate, scomposte in momenti assortiti di ordinaria normalità.

 

Una persona metodica che, perso l'amore, decide di percorrere a piedi scalzi i binari incontrando il suo fatale destino raggiungendo un bivacco di uomini. Il treno arriverà troppo tardi, ma non per la coscienza del macchinista.

Un coito pomeridiano attraversato da ricordi; si credevano momenti inutili, cancellati, ed invece ritornano ed allontanano l'atto pomeridiano dall'essere un futuro ricordo.

Una casa costruita per essere la casa dei sogni. Il cuore non duole fino a quando l'occhio non vede e la visione infrangerà tragicamente il sogno.

Una vita disagiata ed incompresa dagli altri; l'isolamento è il modo migliore perché non sia compresa e perché non venga ricordata.

Un modo preciso per annunciare la caducità della vita non esiste, nemmeno per la persona più capace che vorrebbe proteggere la sensibilità della figlia.

Una vita di sopravvivenza, vagabondando appeso ad un treno mentre attraversa un deserto e far piangere il figlio quando vede sulle lastre il torbido effetto di 70 anni di sigarette. La mano non cedette in quel viaggio perché vide nitido il volto della madre.

Una storia fuori dal comune, breve e felice, salutata dal volo di gabbiani.

Una sontuosa cerimonia nunziale ed un gruppo di barboni alcolizzati che vogliono esserne parte per dimostrare il loro valore.

Una luna di miele ed il filmino di un loro rapporto sessuale. Anni dopo il marito muore e la donna si chiede inutilmente che fare di quel filmino.

Un camionista ricoverato in ospedale a seguito di un infarto rimpiange la vita persa con la donna che non è riuscito ad amare abbastanza. Nella stanza accanto la tragedia incombe su una famiglia ebrea lacerata da una incomprensione e riunita nel dolore e questo è insopportabile per il camionista.

Un persona che vive ricercando i gesti perfetti trova consolazione nel gesto del figlio, morto in Vietnam, durante un incidente di pesca.

Un incendio lascia dietro di sé una scia dolosa e dolorosa.

Un boscaiolo che comprende che tagliare legna non ha futuro e forse lui insieme agli alberi.

 

Una raccolta di storie che colgono una danza sull'orlo di un baratro nel quale cadono solo alcuni e, però, tutta la società insieme a loro. Del resto la tristezza e la gioia, sono parti della vita, ma, mentre la seconda non riesce a far volare, la prima può far cadere. 

 

Sostiene Pereira

Autore: Antonio Tabucchi

 

Giudizio: ****

 

Una meditata testimonianza della vita del protagonista, moderata, metodica, abitudinaria, senza accampare scuse o giustificazioni nonostante i rimpianti. Un resoconto riportato come se fosse cronaca giornalistica di una testimonianza di vita trascorsa tra ufficio e casa in una dittatura percepita in modo crescente.

 

Il dottor Pereira conversa con la foto della moglie defunta e condivide con essa fatti ed eventi di una vita ordinaria che gira intorno alla letteratura francese ed alle traduzioni per la pagina culturale di un quotidiano pomeridiano, il Lisboa. L'esigenza di avere un collaboratore per la stesura dei necrologi di illustri letterati gli fa incontrare un giovane volenteroso, Monteiro Rossi, ma che con la sua brillantezza ed effervescenza ed audacia esce dalle righe. Nulla di ciò che scrive il giovanotto è pubblicabile e il moderato dottor Pereira applica una censura preventiva alla censura di Stato. Eppure tutto il lavoro del ragazzo viene conservato e, anche se Pereira non lo sostiene apertamente, le idee rivoluzionarie del suo collaboratore lo coinvolgono. Pereira conosce la sua ragazza ed il coinvolgimento nella vita di Monteiro Rossi è tale da sentirsi investito nel ruolo paterno, lui che figli non ne ha avuti.

 

La limonata come abitudine consolidata per il dottor Pereira che non beve alcolici, diventa una trasgressione quando la dieta la vieterebbe. Una piccola rivoluzione privarsene ed una grande rivoluzione tornare ad essa come rifugio di piacere. Matura la necessità di uscire da un'oppressione personale e collettiva che incombe sul Portogallo. Anche scrivere necrologi di letterati od occuparsi dell'innocenza della letteratura francese dell'800 o scrivere di anniversari letterari possono essere interpretati come atti di ribellione alla dittatura. La consapevolezza di questo conduce il dottor Pereira a mettere in gioco sé stesso fino al gran colpo finale, quello che lo porterà in Francia con la foto della moglie.

 

Pereira è un cattolico, ma non crede nella resurrezione della carne. Vorrebbe confessare questo peccato perché non ha altri peccati da confessare. È troppo moderato per peccare eppure è prossimo all'eresia. È troppo moderato per la rivoluzione eppure il suo gesto, il suo piano escogitato con metodica lucidità, sarà una pacifica insurrezione.

 

Le perfezioni

Autore: Vincenzo Latronico

 

Giudizio: ****

 

Una vita ricca senza essere ricchi, una vita felice senza essere felici, una vita appagante senza essere appagati. Eppure il punto mediano è quello che ha fatto la differenza fino a che è esistito. Perso quell'equilibrio le perfezioni sono venute meno. L'equilibrio che stava tra la differenza che li ha resi incompresi in patria, incompresi tra i familiari, ed allo stesso tempo li ha resi parte di una comunità di stranieri a Berlino.

 

Una coppia italiana a Berlino che si scopre adulta facendo ciò che ha sempre fatto nel tempo libero fin dalle scuole. I due vivono un momento magico nel quale possono pensare che il loro lavoro è ciò che hanno sempre amato fare. Essere pagati per fare ciò che si ama è un privilegio.

Ma non solo. Frequentare ambienti cosmopoliti, informali, ma coesi grazie a quella tensione superficiale che tiene insieme molecole della stessa sostanza liquida, è piacevole e li fa sentire parte di qualcosa di più grande: sono un'unità mobile in un organismo in divenire, inarrestabile, inestinguibile. Un gruppo casuale che cresce, si sfalda e si ricompone nella ritualità di ciò che è possibile a Berlino e che non lo sarebbe in Italia. Una gioventù che parla la stessa lingua pur essendo tutti di madre lingua differenti. È una lingua non necessariamente parlata, ma vissuta. Non parlano tedesco e si districano con un inglese con le più svariate inflessioni spagnole, francesi, greche, turche.

 

I soldi ci sono, l'amore di coppia è ordinario ma solido, i nuovi amici si incontrano in contesti culturalmente stimolanti. Eppure qualcosa si incrina. La vita viene sopraffatta dalla "colonizzazione" anglofona dei madrelingua inglesi. Nonostante per la coppia sia più semplice capire un spagnolo ubriaco, che parla quell'inglese con un accento aspirato, rispetto ad un irlandese, realizzano che ora sono più informati sulle vicende sociopolitiche americane che sugli sbarchi nel Mediterraneo a poco più di due ore di volo da dove vivono. Il centro si è spostato.

Si rendono conto che alla loro generazione è mancato un atto di ribellione: avevano cambiato luogo senza cambiare nulla. Gli amici erano diversi e con i nuovi facevano cose diverse, ma tutto in continuità: la passione giovanile era diventata il lavoro, rigorosamente fatto da casa, con un ottimo wi-fi. Vivevano in Germania e non conoscevano tedeschi.

L'impegno umanitario, prima che politico, è un tentativo di risposta ad una mancanza, ma il campo di gioco non è il loro. Restano spiazzati, si sentono fuori luogo in un momento in cui il loro contesto abituale si sta dissolvendo.

A Berlino sono rimasti soli, gli amici sono tornati a casa, il lavoro è diventato ripetitivo, noioso. È giunto il momento di dare una nuova svolta alla loro vita. Ma se un tempo con la scelta di Berlino erano stati parte di una avanguardia, ora inseguono malamente le perfezioni che non sono più, ora rimpiangono i primi tempi berlinesi senza riuscire ad avvicinarli nuovamente. Non fu ribellione allora e non lo è nemmeno ora.

 

La normalizzazione è dietro l'angolo, ma non è un atto di resa è una semplice evoluzione: tutto passava da Berlino ed ora tutti quelli che sono passati insieme a loro in quelle strade sono altrove, loro compresi. Passato, imperfetto, presente, futuro.

 

Il deserto dei Tartari

Autore: Dino Buzzati

 

Giudizio: ****

 

Romanzo dell'attesa infinita, romanzo delle speranze tradite, romanzo della realtà deludente, romanzo dell'abitudine come scelta di vita. Una vita trascorsa tra le vecchie mura di una fortezza cullandosi nel sogno di un gesto eroico compiuto nell'atto di una guerra che sarà mito. Eroismo che giunge solo sul finire, ma lontano dal campo di battaglia.

 

Giovanni Drogo è il giovane tenente che viene assegnato alla fortezza Bastiani come primo incarico. In lui emerge la forte contraddizione tra l'entusiasmo giovanile e la delusione di quello che lo attende. La gloria, la carriera militare, non passeranno da quella fortezza, per nessuno. Eppure il destino di Drogo è rimanere. Pur avendone l'opportunità il protagonista si impedisce di allontanarsi, non riesce, non può, non vuole cercare un'altra via. Sapere che fuori il mondo "corre" mentre lì tutto è fermo, necessariamente immobile, dedicato a vigilare il confine nell'attesa dell'attacco del nemico, è frustrante, ma permane sempre la speranza che il nemico arrivi e che ci si possa distinguere. Nulla di più vano.

 

Una lettura che andrebbe fatta a venti anni e poi ripetuta ogni dieci anni per cogliere le diverse sensazioni che la differenza di età restituisce su speranza, attesa e fine della vita.

 

Il sentiero dei nidi di ragno

Autore: Italo Calvino

 

Giudizio: ****

 

La guerra di liberazione vista attraverso gli occhi di un bambino, Pin, che dimostra la sua personale "resistenza" a cattiveria, ambiguità, incomprensibili comportamenti degli adulti ed al tempo stesso la lontananza dal mondo dei sui coetanei. Con un segreto che lui solo conosce: i sentieri dei nidi di ragno.

 

Un bambino orfano, cresciuto con la sorella che si prostituisce e va con i tedeschi. Lavora come garzone da un calzolaio che entra ed esce di prigione più per nomea che per reali responsabilità. Frequenta gli uomini dell'osteria che ipotizzano di organizzarsi nei gap. Più chiacchiere da bar che reali intenzioni.

Il fatto concreto però è che lui, il bambino, compie la prima azione. La sua è un'azione dalla quale non si può tornare indietro. Catturato riesce a fuggire dalla villa, riadattata a carcere, con l'aiuto di un ragazzo già partigiano. I due si perdono di vista e Pin decide che se ne deve andare da lì. Nel corso del cammino intrapreso senza meta incontra un omone, un partigiano, che lo porterà in montagna nella formazione di cui fa parte. Sarà il suo vero amico, l'adulto che Pin, nonostante tutto, sente più vicino, l'unico che lo tratta da pari.

 

Nella testa di Pin convivono le fantasticherie di un fanciullo, cresciuto più in fretta dei coetanei, ma inabile a comprendere pienamente le ragioni che spingono gli adulti a certi comportamenti, a certe scelte. Riconosce i torti dalla sua particolare angolazione di essere un bambino. È un rapporto di odio ed amore nei confronti dei grandi, anche se preferisce stare con loro piuttosto che con i bambini. Canzona gli adulti e per questo spesso le prende. Per lui lo scherzo è un atto di onestà che lo porta a dire anche cose che sarebbe opportuno tacere. Per questo nella sua testa convivono i sentimenti di vendetta rispetto a torti da lui ricevuti dagli adulti, partigiani, o traditori passati con i fascisti.

 

Nelle lotte partigiane viste con gli occhi di Pin si può leggere una guerra priva di retorica. Se per alcuni partigiani l'ideologia era ben chiara e presente, financo necessaria, per altri la giustezza della propria appartenenza non aveva un valore ideologico. Essere comunisti significava dividere tutto e combattere quelli che occupavano il paese e che avevano tolto loro la libertà. Erano "bambini" come Pin, ma non erano puri come Pin, sporcati dal loro essere adulti. Stare da una parte o stare dall'altra viene raffigurato come opportunità piuttosto che come scelta ideale. Essere dalla parte del giusto senza dare al giusto una valenza ideologica o politica è il grande risultato di questo libro che vede protagonista un bambino con tutta la sua purezza e tutte le sue storture prodotte dai comportamenti dei grandi.

 

Quando abbiamo smesso di capire il mondo

Autore: Benjamín Labatut

 

Giudizio: ****

 

La scienza può dare risposte controintuitive affidandosi ad "equazioni risolutive". È evidente a tutti che il sole gira intorno alla terra, ma non è vero e ci sono "equazioni risolutive" che lo dimostrano. Lo vediamo ma sappiamo che l'"equazione risolutiva" certifica un'altra cosa. Quando queste "equazioni risolutive" non consentono la conciliazione di due teorie diverse, ovvero il superamento di una delle due in quanto fallace, noi smettiamo di capire il mondo. Questo accade anche quando gli studi conducono a sviluppi e progressi per l'umanità ed allo stesso tempo alla creazione di armi di distruzione di massa. Conciliare l'inconciliabile è per noi incomprensibile.

 

Le cose non mutano la nostra comprensione del mondo quando qualcuno si rende conto che le regole della fisica quantistica non coincidono con le regole della fisica classica. È un'ipotesi da indagare e per la quale si troverà la soluzione. Le cose invece cambiano quando nemmeno le menti più eccelse riescono a determinare "equazioni risolutive" che spieghino il perché di tutto ciò.

Può apparire intuitivo che se un gatto si trova in una scatola chiusa potrebbe essere vivo o morto. La scienza dovrebbe fornire gli strumenti per aprire quella scatola e verificare, ma tali strumenti conducono alla paradossale e controintuitiva conclusione nella quale, fino a che il gatto non viene osservato, il gatto potrebbe essere contemporaneamente vivo e morto. La scatola si apre, ma questa apertura mette in discussione le fondamenta della "logica".

 

Peggio mi sento quando il migliore, tra gli altri migliori, decide di abbandonare l'indagine scientifica perché vede cose che gli altri ancora non vedono. Fare giardinaggio è molto più rilassante. E quando scrivo che vede cose metto in conto che siano "equazioni risolutive" ambivalenti che contengono contemporaneamente vita e morte. È attraverso queste illuminazioni che progredisce la scienza che trascende la percezione comune e, pur descrivendo lo stesso mondo in cui viviamo noi, cerca "equazioni risolutive" che ce lo rendono incomprensibile o che potrebbero addirittura mettere in discussione la nostra stessa esistenza.

 

Questo non è un saggio scientifico, ma un romanzo ispirato a fatti e persone reali nel quale trova spazio anche la finzione che le rende umane e non solo geniali.

 

The tender bar. Il bar delle grandi speranze

Autore: J.R. Moehringer

 

Giudizio: ***

 

Il bar come luogo di iniziazione ed emancipazione, ma non un bar qualsiasi: il migliore bar di un piccolo paese di persone che frequentano i bar. In principio chiamato Dickens, un bar dove i barman hanno un vocabolario a disposizione per poter leggere immediatamente il significato delle parole a loro sconosciute. Un bar dove comportamenti leciti ed illeciti sono separati da un filo invisibile. Un bar nel quale le vite singole diventano collettive, con inevitabili alti e bassi.

 

La storia è la storia dell'autore cresciuto senza padre pur non essendo orfano. La madre, stanca per tanti motivi, capisce che a JR serve una figura paterna e lo affida qualche giorno al fratello, barman del Dickens, che lo porta al mare con altri amici che diventeranno tutti padri putativi di JR. Entra nella gruppo, ma non è un ragazzino, è il nipote del barman pelato, parola vietata in presenza dello zio, come tutte quelle che si riferiscono alla calvizie.

Il bar, con il passare degli anni, cambia nome e cambia significato per JR. Da luogo in cui stanno le persone che ammira, a cui vuole bene e che vede come modelli di vita, ad approdo in cui correre appena può per metabolizzare delusioni e frustrazioni. L'alcool e gli amici sono sempre lì che lo aspettano, un porto sicuro dove la comprensione e la solidarietà non gli verrà mai negata, per problemi familiari, di studio, d'amore, di lavoro. Il bar diventa il rifugio dove le paure e le insicurezze vengono affrontate con un gruppo che non lascia solo nessuno. Il luogo migliore per emanciparsi dalla famiglia ingombrante, la fidanzata fuggita, il padre assente, la madre lontana.

 

Viene mostrato che il futuro non è nelle nostre mani, ma, se peschiamo le carte giuste, tutto può assumere un significato ben diverso da ciò che potrebbe apparire ad un estraneo che passa di lì per caso pur essendo nostro padre. Il gruppo si occupa di tutti, non lascia solo nessuno.

 

Viaggio notturno. La casa

Autrice: Vanna Vinci

 

Giudizio: ***

 

Il mistero è elettrizzante come poche altre cose. Nel mistero si muovono ombre immobili. Sul mistero l'immaginazione è la certezza scientifica. Con il mistero si possono raccontare storie affascinanti, prima che paurose. Del mistero non sappiamo nulla se non il mistero.

 

Questa graphic novel avvolge nel mistero. Un'amica misteriosa lascia in eredità una casa misteriosa alla protagonista, antropologa e scrittrice che la abita per qualche tempo per capire cosa farne. Le presenze percepite nella casa sono intangibili forse perché le presenze sono una sola. La traccia da seguire è un quadro e un libro che lo contiene. Un antiquario misterioso possiede quest'ultimo essendo parente di chi lo ha scritto. La protagonista lo vuole vedere. Nel centro di Bologna, dove si trova la casa, l'antiquario misterioso appare misteriosamente dal nulla. Niente è un caso, quello che succederà dopo nemmeno, si potrebbe chiamare destino solo se si crede nel mistero che sta sotto i portici del centro di Bologna.

 

Per me questa lettura di Vanna Vinci è stato un salto nel passato. Mi sono ritrovato a leggere in questo volume quello che aleggiava nei telefilm realizzati sui racconti di Poe. Oppure quello che scorreva nei film dove il mistero non era il mistero, ma stava nella mano guantata o risiedeva nella figura di schiena che non si mostrava mai, o si celava dietro una maschera. La penombra era il segno distintivo e nella penombra dei portici bolognesi, dove non è vero che non si perde neanche un bambino, invito ad affrontare questa lettura misteriosa.

 

Everyman

Autore: Philip Roth

 

Giudizio: ***

 

Percorrere le strade della vita sapendo che si può morire, non perché tutti lo sanno, ma perché l'hai visto accadere vicino a te, da bambino, quando nessuno pensa alla morte. Poi, alla fine, morire senza accorgersene perché hai preferito il silenzio ad inutili e fastidiose chiacchiere.

 

L'apertura è il segnale del senso che attraversa la vita del protagonista: siamo al suo funerale ed i parenti lo stanno ricordando per quello che è stato per loro e non per quello che è stato. È da questo preambolo tombale che inizia la storia della vita del protagonista che per primo non sarebbe sicuro di sapere quello che è stato veramente se non colui che ha incontrato la morte fin da bambino: un cadavere che galleggiava verso la riva nel luogo di villeggiatura, un ragazzino, suo compagno di stanza nell'ospedale, che muore la notte prima che il chirurgo salvi la vita al protagonista per intervenire su una brutta peritonite. Da quel momento la salute del protagonista non è più una certezza ed il suo fisico non è più una sicurezza.

 

Eppure lui affronta la vita con il pragmatismo di un uomo vivo che vive. Da ragazzino aiuta il padre che ha una gioielleria e finiti gli studi capisce che non potrà vivere della sua arte di pittore. Entra in un'agenzia pubblicitaria e fa carriera. Si sposa, ha due figli, ma tradisce la moglie. Sposa l'amante, ha con lei una figlia, ma tradisce anche questa moglie. Sposa la nuova amante, ma è troppo tardi quando si accorge che lei non sarebbe in grado di prendersi cura di lui malato: è una bambolina tanto sfrenata quanto inconsistente.

 

Il tempo ha segnato un solco nel suo animo prima che nel suo cuore. Muoiono i genitori. Prima la madre che gli aveva dato tanta fiducia quando in pullman lo aveva accompagnato in ospedale per l'operazione. Poi il padre che gli aveva assegnato delicati incarichi facendogli trasportare valori consistenti quando era ancora un ragazzino. In tutto questo il suo fisico fa le bizze e questo fa nascere un senso di invidia nei confronti del fratello che, seppur più vecchio, è ricco, è sano, è emotivamente stabile. A differenza del protagonista che ha praticamente rotto i rapporti con i due figli del primo matrimonio ed ora tiene in massimo conto l'amore inatteso che gli mostra la figlia del secondo matrimonio.

 

Poi arriva la pensione e con essa la morte di ex colleghi di lavoro. La promessa che si era fatto di dipingere quando sarebbe andato in pensione si infrange in un rapido disinteresse per la pittura. Un disinteresse che passa anche dal suicidio di una donna che seguiva i suoi corsi di pittura per anziani. Eppure resta un personaggio controverso che ci prova con una ragazza che ha oltre trent'anni meno di lui, che cerca risposte apparentemente superficiali dal becchino che ha sistemato le tombe dei suoi genitori e che, con ogni probabilità, sistemerà anche la sua: se non sarà lui a farlo lo farà il figlio.

 

All'ultimo appuntamento in ospedale va con leggerezza e con una certezza, la mortalità è nella natura della vita. Meglio non sentire inutili e fastidiose chiacchiere.

 

La nuova manomissione delle parole

Autore: Gianrico Carofiglio

 

Giudizio: ***

 

È diventato un meme Nanni Moretti, alias Michele Apicella, che ha uno scatto d'ira nei confronti di una giornalista che fa uso improprio delle parole e le urla in faccia, in accappatoio ai bordi di una piscina, la frase simbolo "le parole sono importanti!". Meno importante il contesto ed il vestito. La manomissione delle parole mette in pericolo il senso culturale che si può ricercare in una società. Ci vuole del buono e del bello per preservare ciò che non deve e non può essere scartato come inutilmente retrogrado, vetusto e per questo sostituibile assegnando alle parole significati imprecisi, sfuggenti, sbagliati, aleatori che travisano e mutano il senso dell'originale. La scena si trova nel film "Palombella rossa" e questo vorrà pur dire qualcosa.

 

L'autore con questo saggio non si pone l'obiettivo di affrontare la questione dal punto di vista linguistico. Svuotare una parola del suo significato o abusarne l'uso in modo improprio è una scelta politica prima che linguistica. Analogamente è un atto politico contrastare la manomissione in corso. Che non comincia certo ora, ma contrastarla "non è mai troppo tardi", come diceva quel maestro in una famosissima trasmissione televisiva quando si usava il media per diffondere cultura attivamente e non cultura come sottoprodotto dell'industria culturale sottomessa al consumismo.

 

Il brodo culturale in cui sono immerse le parole rischia di affogarle. L'autore ne prende sei come esempi emblematici indicandone il senso profondo che si rischia di perdere: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, popolo. Non perdiamole di vista, non perdiamoci di vista, direbbe Moretti / Apicella. In fondo la palombella è un altro modo per segnare il punto in una partita di pallanuoto.

 

Il gioco della notte

Autrice: Camilla Läckberg

 

Giudizio: ***

 

È una notte speciale quella che convenzionalmente indichiamo come l'ultima notte dell'anno. Ci si libera dai vecchi fardelli per ripartire più leggeri senza il peso della convenzione alla quale si deve sottostare: va tutto bene, è tutto perfetto, sono felice.

 

In questo romanzo breve, o racconto lungo, scegliete voi quale sia la migliore convenzione per definirlo, la liberazione è preceduta dalla condivisione tra i 4 adolescenti, amici ed amiche da sempre. Una condivisione che parte dalla noia. La noia di aspettare, la noia di fare e dire cose brutali, crudeli, odiose per loro, su di loro. La noia di adolescenti ricchi e viziati che hanno in comune lo stigma del dolore, della delusione e della ragionevole sensazione di essere destinati a diventare come i genitori che quello stigma hanno inciso sui loro corpi con i loro comportamenti.

 

Senza essere puri perché, seppur giovani, stanno già mutuando il peggio dell'ipocrisia e dell'arroganza e della violenza a cui i genitori li hanno esposti, i 4 hanno dalla loro la giovinezza e l'amicizia e soprattutto un'ipotesi "migliore" per sopravvivere al dolore, alla rabbia, all'odio. Matura un sentimento comune nel male che si fanno reciprocamente nell'ultima notte dell'anno, l'amicizia pare l'indistruttibile rimedio. Resiste all'evoluzione della serata che mette in luce tutto il non detto, e solo in parte intuito, che c'è tra loro. Non è la vergogna per l'ipocrisia ma l'amicizia che li unisce in un fronte unito che li libera con il dolore dal dolore. Tutto finisce con l'"esplosione" finale mimetizzata nei fuochi d'artificio che sono augurio di buon anno, di buona vita, forse migliore.

 

La donna che rise di Dio

Autore: Roberto Mercadini

 

Giudizio: ***

 

Dio, quell'entitatà nominalmente nota a tutti ma intimamente sconosciuta ai più, che ci sovrasta onnipotente, onnisciente e quindi infallibile, viene rappresentato nella Bibbia in un modo assai lontano da come la cultura popolare, prima che religiosa, lo ha introiettato e ce lo ha fatto conoscere. Nessuno se ne abbia a male, ma spesso fa scelte sbagliate o controintuitive, come si direbbe adesso, e queste sono in qualche modo mascherate dall'interpretazione umana che si deve necessariamente fare carico di riempire le omissioni presenti nel testo. Le vie sono imperscrutabili anche per le evidenti omissioni.

 

Eva, creata partendo da un "pezzo" di Adamo (non necessariamente una costola) non è il primo ed unico tentativo di affiancare ad Adamo una compagnia (la "i" non è un refuso perché i precedenti tentativi non sono assimilabili a quello che oggi intendiamo come donna. Caino, il cattivo per antonomasia, dei primi due figli di Adamo ed Eva era il più devoto, solo imitato da Abele che però era il prediletto: l'invidia alberga incessantemente nella Bibbia. Com'è, come non è, Caino uccide Abele e Dio, onnisciente, lo mette in trappola con una domanda retorica "Dov'è Abele?" ben sapendo cosa è successo, ma costringendo Caino a dichiarare che lui non era il tutore di Abele, quando invece, in quanto fratello maggiore, lo era. La condanna sarà peggiore di quella di Adamo. Questi è stato costretto a lavorare con fatica per ottenere frutti dai campi lavorati, Caino nonostante la fatica non avrà frutti dal suo lavoro (oggi diremmo che siamo in presenza della violazione dei diritti umani).

 

Eppoi l'incesto, condannato mortalmente, non trova una ragionevole negazione nella pratica prima per il proliferare dell'umanità e poi per la creazione del popolo di Abramo (a volte basta omettere e tutto fluisce come non deve fluire, ma giunge comunque al finale voluto). Abramo, prescelto da Dio come capostipite del suo popolo, dopo un quarto di secolo di peregrinazioni e tribolazioni (materiali e morali, come giacere con la serva ed averne un figlio, una maternità surrogata antelitteram, o lasciare che la moglie Sara giaccia con il faraone, tanto che Abramo inizia a dubitare delle richieste di Dio), vede la promessa del figlio maschio mantenuta ed avrà Isacco da ultra novantenne dalla moglie Sara ottuagenaria, la donna che per questo rise di Dio.

 

È divertente, non se ne abbia a male nessuno, la scelta di Mosè come salvatore del popolo ebreo e destinatario delle tavole delle leggi. Mosè, raccolto dalla figlia del faraone nelle acque del Nilo dove lo aveva deposto in una cesta la madre per salvarlo dall'infanticidio dei primogeniti ebrei ordinato dal faraone, cresce a corte. Lui è straniero per gli ebrei e non conosce il loro Dio, eppure viene scelto da questo dopo che è stato esiliato dal faraone perché ha ucciso un egiziano che maltrattava gli ebrei. Dio parla a Mosè e questi non si capacita di essere adatto a fare da tramite tra un Dio che non conosce ed il suo popolo che lo ritiene uno straniero. Mosè chiede a Dio cosa dire di colui che gli ha parlato, qual è il suo nome, e Dio risponde "Io sono quello che sono". Affermazione inappuntabile che non può che lasciare perplesso Mosè che, tra le varie omissioni, compreso il nome di Dio, farà quello che deve fare. Il potere del non detto.

 

Eppoi si aggiunge la questione "istituzionale", il popolo di Israele non ha un re come i popoli vicini, è una teocrazia compiuta: Dio parla ad un giudice (autorità morale) e questi governa il popolo attraverso la parola di Dio. Fino a che il popolo non vuole un re come tutti gli altri popoli. Verrebbe meno la gerarchia in essere e Samuele, giudice in quel momento nonché profeta, chiede consiglio a Dio e Dio risponde "ascolta il popolo" anche se queste parole contraddicono la prassi tenuta fino a quel momento e sono contrarie alla volontà di Dio e di Samuele. Si passa dalla teocrazia alla democrazia in un batter di ciglia. Com'è, come non è, Samuele nomina re Saul per la sua bellezza e, nonostante la bizzarra motivazione, Saul si comporta egregiamente fino a che disobbedisce a Dio non facendo strage del nemico. Si crea un conflitto "istituzionale" che si risolve con la deposizione di Saul e con l'insediamento di Davide che pure non è uno stinco di santo e procurerà morte e dolore tra i sudditi, ma acquisterà il terreno dove il suo saggio successore, Salomone, farà sorgere il tempio.

 

Altre storie sono raccolte in questo libro tutte all'insegna di come la Bibbia racchiuda il carattere umano (e disumano) della vita sul pianeta terra. Come quella di Sodoma (per gli ebrei la vicenda è una questione di cattiva ospitalità, per cattolici e musulmani è una questione di omosessualità, il potere dell'interpretazione), quella di Giuditta che salva tutto e tutti dalla bramosia di Oloferne, quella di Giona profeta la cui tragedia è essere stato scelto come profeta. In molte vicende Dio assume scelte più prossime all'umanità che al divino, quindi fallaci, quindi contraddittorie. Così va la vita. Qualcuno, non ricordo chi, disse che Dio non è un santo e la Bibbia ce lo rappresenta nella sua infinita vicinanza all'umano tra amore, perdono, ira, vendetta.

 

Una storia semplice

Autrice: Elli Catellani

 

Giudizio: ***

 

Una storia semplice non è una storia semplice forse perché è una storia vera ed ogni storia vera non è mai una storia semplice.

 

Questa storia ci conduce nei primi anni del '900 in un paesino della bassa modenese sulla cui terra accadono eventi ricorrenti che sono la vita di una famiglia di quel luogo. Il capostipite, Leopoldo, è un migrante per una scelta fatta dal padre che poi decide di rientrare per la nostalgia del paesello natale, succederà anche al primo figlio maschio di Leopoldo, seppur per scelta personale. Nel corso della prima guerra mondiale Leopoldo viene catturato dagli austriaci e finisce in un campo di concentramento, succederà anche al genero di Leopoldo nella seconda guerra mondiale. La moglie di Leopoldo, sul letto di morte, chiama la figlia Elena per dirle quello che supponiamo Elena dirà alla sua prima figlia femmina quando sarà lei sul letto di morte. Sono madri giovani che parlano a figlie bambine. Sono passato che parla al futuro, come scrive la stessa autrice.

 

Al rientro dalla guerra Leopoldo realizza il sogno di acqistare un suo pezzo di terra da lavorare per la famiglia e con la famiglia. È grande festa nella nuova casa costruita per farci entrare tutti, ma la festa viene rovinata da un temporale. Non è presagio, anche se lo si pensa. La moglie è al suo fianco e la famiglia cresce con un numero imprecisato di figli. Ne conosciamo tre, tutti determinanti ma al tempo stesso due di loro tragici. Quelle tragedie che accompagnano tutte le storie semplici ma vere.

 

La moglie si ammala improvvisamente, silenziosamente e muore. Leopoldo viene aiutato dalla madre, ora vedova, severa e determinata a tenere la famiglia unita. I figli crescono, il maggiore mostra una insolita predisposizione all'uso della fantasia che serve per raccontare storie all'amico ed alla sorella e per immaginare con ingegno quello che sarà da grande. Segue il padre nel lavoro quotidiano, si impegna per assumere le competenze necessarie nel lavoro del contadino, ma il suo futuro è altrove e con uno zio parte per Zara per mettere a frutto il suo ingegno e per costruire.

La figlia Elena ha un'amica con la quale frequenta una scuola dalle suore per imparare a cucire. Lungo la via incontrano un ragazzo, Igino, che sorride e saluta Elena. L'amica vede tutti i segnali del corteggiamento e li vede già sposati quando Igino si trova davanti alla scuola ad attendere l'uscita di Elena. Non è dato sapere se Igino si dichiara ad Elena, ma sappiamo che un bel giorno ferma Leopoldo per dirgli che le sue intenzioni con Elena sono genuine e serie e Leopoldo risponde che Elena è già grande e deciderà da sola. Igino ed Elena si sposano. Da questa unione nasceranno sei figli, tre maschi e tre femmine.

 

I tempi sono brutti, la guerra incombe sulla famiglia. Leopoldo, che ha conosciuto gli orrori della prima guerra mondiale, è atterrito. Igino decide di partire per andare a lavorare volontariamente in Germania, pagano bene ed hanno bisogno delle competenze degli italiani. Parte con il fratello Giovanni. Poi la guerra scoppia ed Igino rientra per il servizio militare. Un destino segnato che lo condurrà nel campo di concentramento che i tedeschi riservarono ai militari italiani già prima dell'armistizio. Sopravvive e rientra in Italia alla fine della guerra, ma lo scotto da pagare è altissimo.

Igino è fisicamente provato, il reinserimento nella normalità è difficile. Entra in società con il cognato per il commercio del sapone che fabbricano. Viene assunto come bidello della scuola, ma la salute è ancora malferma, fuma troppo e si ripromette di smettere senza farlo mai. In tutto questo Elena si ammala, un malessere continuo, una febbre che sale fino a condurla alla morte. Leopoldo e Igino restano soli con sei bambini e con il dolore dell'ennesima perdita.

Viene chiusa e lasciata la casa del paesello, il sogno di Leopoldo si infrange negli eventi tragici che l'hanno accampognato per tutta la vita. Si trasferiscono in città ed i bambini vengono temporaneamente affidati a collegi e parenti. Si deve ripartire, il pragmatismo del vecchio Leopoldo non viene meno.

 

Qui si ferma la storia semplice, ma è una finzione del romanzo perché la storia semplice prosegue. La penultima genita inizia la scuola in città e con la migliore amica discorre del brutto voto in tedesco ricevuto da entranbe. Erano serene e tranquille e ad un tratto è giunta l'interrogazione che le ha trovate impreparate. È quando tutto sembra tranquillo che si manifesta il destino in tutte le sue volubili forme compreso l'inaccettabile che si deve accettare.

 

Nota a margine: l'autrice incidentalmente è mia zia. Il destino ha voluto che la storia semplice sia la storia della mia famiglia per parte materna. È stata scritta, tra gli altri, anche per me e per chi il destino deciderà segua dopo di me. Il destino non esiste, lo costruiamo noi a posteriori per chi ha vissuto direttamente i fatti e per chi non c'era che se li sentirà raccontare. È in questo momento che diventa destino anche se non era predeterminato. Io non c'ero, ma ora un pezzettino dei fatti li ho "vissuti" in questo libro, era destino.

 

Yara. Il True Crime

Autore: Giuseppe Genna

 

Giudizio: ****

 

Questo è il romanzo italiano che discorre, nel bene e nel male, del bene e del male, del crimine che conduce la nazione intera ad un finale circolare quando il narratore osserva tutto e tutti ed è osservato da sé stesso e da tutti. Una trama senza fine, sempre nuova e sempre già vista, un trauma infinito. Una soluzione scientifica talmente certa da poter essere contestata come incerta perché scientifica e quindi falsificabile per l'assenza di un pezzo. Non c'è confessione perché non c'è pentimento. C'è angoscia per la bambina, disprezzo per le modalità ed i comportamenti che si manifestano ai bordi della storia: non sono bordi ma contesto che accompagna alla tragedia. Per chi opera in quel contesto c'è ammirazione per la soluzione tanto difficile quanto controversa, ma tutti questi vengono accompagnati al patibolo, colpevoli di non aver dato risposte tempestive.

 

È un romanzo chiuso in partenza del quale si conosce già il tragico esito ed è ripiegato sul Paese perché lo rappresenta in modo letterale. Quell'Italia immutata ed immutabile dai tempi di Alfredino a Vermicino, ma ancora prima dai tempi della peste manzoniana. Una nazione che si unisce al profondo strazio per annusarlo, vederlo, chiacchierarlo.

Il comandante dei carabinieri, il questore, la sostituta procuratore, il responsabile della protezione civile, i volontari, lanciati tutti senza sosta e senza tregua a dare il meglio, il massimo, in una sfida contro il tempo per salvare la figlia della nazione, la figlia di tutti. È questo fardello che ognuno di loro porta sulle spalle. Grava come un macigno e fa spingere tutto al massimo con la possibilità di tralasciare, sbagliare, sottovalutare. Un Paese intero cerca Yara, spera di trovare Yara, trova Yara e la piange. La piange perché lei è innocente di tutte le colpe che ha l'intera nazione perennemente in visione ed in ascolto. Il vero crimine sta nell'osservare in modo morboso il crimine.

 

Ora la giostra cambia verso, diventa cercare il mostro, sperare di trovare il mostro, condannare il mostro. L'esigenza di un capro espiatorio dà ossigeno e linfa ai cronisti ed alle fonti ed al pubblico strabordante, evidente, invadente, mai esausto sempre pronto a macerare e metabolizzare ogni parte della tragedia, anche la più sorprendente e controversa possibile. Pubblico al quale viene somministrato lo strazio dei genitori, l'impegno delle ricerche, la prima ipotesi investigativa, la seconda ipotesi investigativa e via così, via così. Una ricerca spasmodica che tralascia altri due cadaveri dimenticati a pochi passi dai luoghi dove anche Yara è stata trovata. Ma sono cadaveri minori perché il Paese attende altro ed avrà altro. Questo altro diventerà possibile attraverso l'intuizione mastodontica di mappare il dna dell'intera popolazione potenzialmente coinvolta e all'altra intuizione che, al contrario, è priva di scienza, ma piena di conoscenza del territorio e dei suoi abitanti. Le intuizioni si supportano anche nelle contraddizioni.

 

Il Paese attende fiducioso nella sfiducia che riserva alle istituzioni, fiducioso nella culturale necessità di dividersi tra innocentisti e colpevolisti, fiducioso nella possibilità di essere anch'esso parte in causa attiva, seppur passiva, davanti alla TV, ascoltando la radio, leggendo i giornali. Un Paese che vuole dire "io c'ero" perché questo è il suo solo valore, esserci.

 

Una lettura che ho temuto perché intravvedevo un grande buco nero nel quale sarei finito senza via di uscita. Ed il mio timore si è concretizzato, Giuseppe Genna ha materializzato la letteratura nel buco nero quello in cui respiri in funzione del respiro a venire e non del respiro corrente. Ogni adesso ha un dopo che riporta ad un prima perché quello che verrà dopo è l'eterno ritorno di quanto già accaduto. Una fine senza fine.

 

Il sosia

Autore: Fëdor Dostoevskij

 

Giudizio: ***

 

Pare che tutti noi abbiamo un sosia e tutti noi lo sappiamo riconoscere, ma non tutti noi lo sappiamo accettare perché la difficoltà non sta nella somiglianza, ma sta nella convivenza forzata alla quale ti costringe il sosia che è tanto uguale quanto diverso solo per noi.

 

Il nostro eroe, come viene chiamato dall'autore il protagonista, ha nel cuore l'amore per la figlia del suo superiore. La conquista della ragazza pare debba passare dalla conquista del padre ed il nostro eroe si atteggia ed adotta accorgimenti che gli paiono possano concorrere al raggiungimento dell'obiettivo. Al contrario l'effetto sortito è nullo, anzi, contribuisce ad una vergognosa cacciata dalla casa di lei nel corso di una grande festa. In seguito a questo umiliante "infortunio" il nostro eroe incontra una persona che conosce molto bene perché è fisicamente identica a lui, porta lo stesso nome e viene dal suo stesso paese.

 

In prima battuta il protagonista resta stupito, stizzito, ma infine si convince di come la loro straordinaria somiglianza possa portare ad una sincera amicizia. La prostrazione del sosia è massima, non conosce nessuno, non ha dove dormire ed il nostro eroe decide di aiutarlo stringendo quella che al momento gli pare una sincera e duratura amicizia. Ma basta il passare di una notte perché il nostro eroe debba ricredersi, trovandosi nei giorni successivi in situazioni sgradevoli, imbarazzanti e disdicevoli, architettate dal sosia a suo danno in un asfissiante crescendo. Il sosia è diventato il suo più acerrimo nemico che si muove e si comporta per sminuire ed umiliare il protagonista. Questa condizione condurrà il nostro eroe ad un finale senza via di fuga.

 

Il sosia è talmente uguale che aspira alle stesse cose a cui aspira il protagonista, non c'è differenza alcuna. La realtà viene rocambolescamente sostituita dalla realtà in presenza del sosia che è più svelto, più arrogante, più arrivista dell'originale. Alla fine della storia la realtà prende la piega della verità e conduce alla svelamento di vincitore e vinto che sono specchio l'uno dell'altro in questa forsennata competizione.

 

L'animale morente

Autore: Philip Roth

 

Giudizio: ***

 

Ricorre in questo romanzo breve, o racconto lungo, scegliete voi, il tema dell'essere libero e non semplicemente del sentirsi libero. Potrebbe sembrare una sottile differenza, quindi una sostanziale uguaglianza, ma non lo è. In questo libro non si racconta solo della libertà di fare ciò che si vuole, bensì si sviscera l'egoismo che ti rende schiavo e l'oppressione che è parte della vita e del sesso e che trovano compimento nel finale.

 

Il protagonista, David, è un anziano professore universitario di critica letteraria. Anziano ma non tanto da non avere regolari avventure sessuali con le proprie studentesse solo dopo aver terminato il corso di studio. Non vuole che il suo giudizio possa essere influenzato dalle sue libertà sessuali. Un uomo eticamente inappuntabile tanto che il suo fatale ed ultimo amore lo incontra in ufficio durante le settimane del corso universitario, ma con la cautela di lasciare porte e finestre aperte perché non possano esserci dubbi sulla sua correttezza.

 

David è un uomo della generazione precedente a quella della rivoluzione sessuale anche se al suo scoppio si arruola armi e bagagli non appena le studentesse gli aprono la porta del non doversi preoccupare di amore e corteggiamento, ma solo di fare gradevole e soddisfacente sesso con ragazze sempre molto più giovani di lui. Prima di allora era marito e padre, ma quando la moglie lo scopre e lo caccia da casa lui non se ne fa un cruccio, anzi continua imperterrito e persevera nell'avere incontri sessuali con studentesse che ha già promosso. La rivoluzione sessuale lo ha condotto alla sua liberazione.

 

Poi arriva Consuela, di origine cubana e bellissima, i due seni più belli che David abbia mai visto. Lui diventa succube di questa ragazza che da timida ed ingenua studentessa diventa la sua ossessione senza che Consuela ne abbia piena consapevolezza. Gli uomini della vita della ragazza hanno tutti un ruolo ben definito, il nonno, il padre, il fratello ed anche il professore. Lo scarto netto e l'inversione dei ruoli tra i due amanti avviene tutto in un passaggio, un atto impositivo di lui durante un rapporto sessuale che rende padrona lei che fa quello che la sua ingenuità le lascia fare. Questo rende succube il vecchio professore. Era libero ed ora non lo è più.

 

Al contrario il figlio del protagonista, con il quale David ha un rapporto difficile per via dell'abbandono familiare quando era solo un bambino, non vuole e non riesce ad essere come il padre, nonostante abbia tradito la moglie. Non vuole essere quello che suo padre è stato per lui e si trova a mantenere in piedi il matrimonio e la storia con l'amante. Il vecchio non riesce a capire questa decisione, per lui è solo una questione di libertà, mentre per il figlio è una questione di fedeltà: questa non dovrebbe incidere sulla prima, ma pare che se c'è di mezzo il sesso non se ne possa uscire incolumi.

 

La fedeltà rappresenta la tirannia. Impedisce il necessario dispiegarsi della natura umana offuscata dall'amore che è solo fumo che disorienta. Dissolvendosi questo nell'aria ciò che resta è la prigionia nella fedeltà. È al tempo stesso grottesca e toccante la scena in cui un amico del professore è sul letto di morte. Nell'ultimo, e forse solo apparente momento di lucidità, l'amico afferra la moglie come farebbero due amanti. È candido ed amorevole ciò che la donna, usciti dalla stanza, dirà a David a compendio di quanto avvenuto pochi minuti prima nella camera dove è morto il marito.

 

Nel finale il vecchio professore è sorprendentemente fedele alla necessità di essere libero nella sua indole ed allo stesso tempo di essere fedele alla studentessa. Lui per primo sa che solo una cosa può raggiungere questo risultato ed è la cosa che lo rende inerme di fronte alla prospettiva che li attende.

 

Filosofia del walkman

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

I più giovani non hanno mai premuto play-stop-pause-fast forward-rewind di un walkman. Forse lo hanno toccato quando sono stati costretti dai genitori a dare il loro aiuto per sistemare le cianfrusaglie in solaio. E magari, in quell'occasione, hanno proferito frasi tipo "ma davvero ascoltavate musica in cassettine con nastri avvolgibili con questi aggeggi? Non mi dire?...". Eppure, nonostante il giovanile stupore che può trasparire da bonari sberleffi come questo, i giovani virgulti non sanno che il modo in cui ascoltiamo tutti musica oggi passa anche da quel parallelepipedo nero con cuffie.

 

Nell'agile libretto Scrima mette in fila diverse questioni che, più o meno direttamente, hanno a che fare con la filosofia del walkman. Questo monolite è stato parte della nostra formazione musicale ed in parte co-partecipe del contesto sociale e politico in cui si è inserito. Non c'è alcuno scimmione che brandisce ossa per rompere ossa ed affermare il suo potere, ma c'è la potenza del neoliberismo che passa anche attraverso la filosofia del walkman per affermarsi come unica strada possibile. Nonostante il punk e la new wave e l'underground.

In queste pagine si trova una scoppiettante girandola di connessioni tra politica, economia, musica, tecnologia, antropologia, sentimenti. Ed il walkman è al centro di tutto. La società che muta per la delusione di un sogno svanito. Un capitalismo fordista che diventa un capitalismo post-fordista neoliberista che amplia le differenze tra le persone. Una modernità che non sa più apprezzare l'arte che sta nella musica e la percepisce come mero intrattenimento da consumare per riempire i vuoti che non possiamo più permetterci: nella post-modernità si fa jogging con il walkman perché è meno noioso. Poi il passaggio dall'analogico al digitale fino alla musica online.

Eppure cambiano gli apparati, cambiano i supporti, ma restano le cuffiette: tu, e solo tu, stai ascoltando questa musica, oppure no? Sui tuoi ascolti aleggia il sistema capitalista che aumenta l'offerta per farti sentire più libero, ma forse non è proprio così. Il walkman da idea destinata all'insuccesso, secondo gli esperti, ad oggetto che caratterizza un'epocale rivoluzione culturale.

Sul finale del libro quello che a mio avviso è il passaggio più poetico dedicato all'amore ed alla passione necessaria per creare la compilation perfetta su cassetta, ammesso che la perfezione di una compilation si possa valutare anche nei silenzi tra una canzone e l'altra. Un''attenzione che nel "clicca e vai" imposto dall'attuale intrattenimento musicale è andata definitivamente persa come lacrime nella pioggia. Sì, tutti abbiamo pianto con le cuffie di un walkman alle orecchie in un giorno di pioggia sentimentale e non per colpa di Marty McFly o de Il tempo delle mele.

 

Un uomo allo Zoo

Autore: David Garnett

 

Giudizio: **

 

Da semplice osservatore a protagonista e perché? Perché la fidanzata fa capire che lei non potrà amare solo lui, ma amerà tutti coloro che lo meriteranno e se lui non accetta che lei non riesca a dare il suo amore solo a lui forse è proprio lui l'anello mancante tra scimmia ed homo sapiens. Il suo posto può essere solo allo Zoo.

 

Da un litigio sulle divergenti visioni del futuro in comune tra due fidanzati alla più grande sfida al senso comune: uomo non solo spettatore dello Zoo, ma animale da esporre nello Zoo. Il giovane si offre volontario vivendo inattese situazioni di vita nello Zoo. Gran clamore, sorpresa, curiosità, turbamenti, dispiego di forze dell'ordine per arrivare a scoprire che un uomo da solo non è sufficiente per lo Zoo e per l'uomo. Basterà un nulla a completare le mancanze perché i volontari saranno trovati.

 

Lettura lieve e divertente che rappresenta un'epoca che potrebbe apparire lontana da noi se non fosse che siamo assuefatti a vedere l'uomo in gabbia protagonista di sedicenti "spettacoli nella realtà". All'epoca in cui è ambientato questo libretto si andava allo Zoo per vedere animali esotici in gabbia, oggi lo si fa accendendo la tv. Nulla ci turba se è l'essere umano, e non qualche sua abilità o competenza, ad essere il soggetto che intrattiene la platea.

Un uomo allo Zoo val pure aver spento la tv per qualche ora.

 

Non è un paese per vecchi

Autore: Cormac McCarthy

 

Giudizio: ****

 

Quando si fa una scelta non si può lasciare nulla al caso. Ne va della scelta, della vita e della morte.

 

Lo sceriffo Bell è un vecchio sceriffo. Sa con chi ha a che fare. Moss è un saldatore con una buona mira. Sa con chi ha a che fare. Tutte queste conoscenze non sono sufficienti per ottenere quanto desiderato. 

 

C'è una cartella con oltre 2 milioni di dollari. C'è una borsa piena di panetti di droga. C'è un killer psicopatico. Sono tutti frutto di una faida tra gang criminali rivali che si sono annientate. Trovare quella somma cambierebbe la vita, decidere di impossessarsene è una scelta per la vita, o per la morte.

 

C'è una giovane moglie. C'è un professionista dell'omicidio. C'è un committente di interessi propri, o forse altrui. C'è una giovanissima autostoppista. C'è la moglie dello sceriffo. C'è lo zio dello sceriffo. Ci dono due ragazzini che aiutano in uomo che ha avuto un brutto incidente in auto. Sono tutti frutto di un paese che è mutato, profondamente mutato. Almeno questo pensano i vecchi. I giovani lo hanno trovato già così e lo conoscono per come è e non per come lo ricordano i vecchi. Nessuno di loro è sprovveduto, nemmeno la giovanissima autostoppista, ma non possono fare altro che andare avanti, cercare una via autonoma per vivere, darsi da fare per migliorare le loro condizioni. Come hanno fatto quelli che li hanno preceduti.

 

La vecchiaia fa capire cose che in gioventù non si capivano. La vecchiaia fa pensare a cose alle quali in gioventù non si pensava. La vecchiaia lascia fardelli di cose non dette. Forse non è il paese ad essere peggiorato, forse in gioventù lo si credeva ingenuamente migliore ma, alla prova della vita, si è mostrato per quello che non è, un paese per vecchi.

 

Cronache marziane

Autore: Ray Bradbury

 

Giudizio: ****

 

Su Marte si respira. Su Marte ci sono i marziani che hanno pelle color rame ed occhi color oro. Su Marte c'è un mondo da esplorare. Su Marte ci si potrà rifare una vita che non si è riusciti a realizzare sulla Terra.

 

I capitoli di questo libro sono racconti brevi, a volte brevissimi, che narrano la vita marziana nel senso che diamo noi terrestri all'uso comune di questo aggettivo: fatti o cose che appaiono strani o fuori luogo. Ed in effetti ai terrestri che si trasferiscono su Marte accadono cose marziane. A partire dal primo incontro nel quale i terrestri restano delusi dal mancato entusiasmo dei marziani che non organizzano un adeguato "comitato di benvenuto", anzi. I marziani sembrano proprio di un altro pianeta.

Accadono eventi inspiegabili, ed inspiegati, anche con le spedizioni successive, eventi che non turbato la fondata speranza dei terrestri sull'esistenza su Marte. Sarà per la nostalgia, sarà per la suggestione dell'essere così lontani da casa, ma i terrestri maturano esperienze di vita letteralmente marziane, altro termine non si può usare. Eppure ogni stranezza viene metabolizzata ed amalgamata nella nuova vita come se fossero anche i terrestri un po' marziani.

C'è il sedicente ultimo dei marziani che avanza il dubbio che la venuta dei terrestri sarà la fine di Marte per come i terrestri l'hanno trovata, c'è chi vuole portare a conoscenza dei marziani il Dio terrestre come Dio universale da collocare con la dovuta attenzione in un mondo che non ha potuto vedere il Messia, c'è chi riparte per esplorare Giove e Plutone, c'è chi pensa di arricchirsi con la prima baracchina di hotdog marziana, c'è chi per l'aria rarefatta si impegna a creare boschi con ogni tipo di pianta per favorire la produzione di ossigeno, c'è chi ritrova i nonni ed i figli che poi sono nonni e figli di tutti e per tutti.

 

In questo nuovo mondo, con piena e solida fiducia nel futuro, il turbamento dei terrestri si manifesta solo allorché sulla Terra accade quello che da sempre accompagna la vita sul nostro pianeta: la guerra. Però ora è una guerra diversa dalle precedenti perché adesso la bomba atomica potrebbe essere fatale per il pianeta. E se in presenza di questa contingenza potrebbe essere ragionevole veder aumentare il numero di terrestri che scelgono di trasferirsi su Marte, in realtà avviene il contrario. Il richiamo di casa prevale, ma non per tutti. Chi rimarrà su Marte o gli "strambi" che sceglieranno di fuggire dalla Terra in fiamme sono le ultime pagine dei 27 anni di cronache marziane. Buona lettura.

 

La luce dei giorni

Autore: Jay McInerney

 

Giudizio: ***

 

Un'ipotesi di futuro luminoso per entrare a far parte dell'élite intellettuale del Paese. Un presente incerto per la mancanza di competitività. Fare parte del "giro grosso" senza potersi permettere quello che fanno gli altri del "giro grosso".

 

Un amore nato all'università. Una vita professionale costruita su capacità, competenza ed una profonda amicizia con l'artista ed amico, prematuramente scomparso per colpa dell'aids, di cui lui è stato editor e lei possibile amante. Un matrimonio solido ma che va spegnendosi, o forse si è già spento, nella routine. Lo stesso matrimonio forse riaperto dalle parole ritrovate di una lettera di quando si era all'università, o forse riaperto da una sceneggiatura del film tratto dal libro di successo dell'amico morto, o forse riaperto da un quadro di un artista famoso aiutato quando fu in difficoltà ed era ancora sconosciuto. Tutto questo racchiuso tra tradimenti e pentimenti e gravidanze surrogate e l'11 settembre 2001 ed il crack della Lehman Brothers e la scoperta e lancio di uno straordinario giovane artista e la truffa di un ex giovane artista lanciato a suo tempo ed ora perso con profondi danni economici.

 

La vita a New York di una coppia matura con due figli preadolescenti. Vivono in affitto in un loft che non potranno mai comprare. Lei che aspira ad una casa meno bohémien, anche in un quartiere meno adatto al loro status, e lui che è impegnato a tenere in piedi la sua casa editrice. New York, la città dalle mille opportunità, può dare fama ad uno scrittore del profondo sud ed al tempo stesso farlo sentire fuori luogo, puoi vivere ad un passo dalla ricchezza, cenare con i ricchi e non essere certo di poter garantire la migliore istruzione, che tu hai avuto, ai tuoi figli. Una sconfitta, ma le elezioni le vincerà Obama ed il tempo, quello sì,  saprà aiutare il matrimonio.

 

Ma chi me lo fa fare?

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

Giudizio: ***

 

Si scrive del lavoro, e del suo stravolgimento, dovuto a fattori sociali e culturali che hanno modificato profondamente il valore che oggi attribuiamo ad esso. Il lavoro nobilita l'uomo o lo rende schiavo?

 

La moderna cultura del lavoro ha sovvertito i nostri stili di vita. Se prima si poteva dire che si lavorava per vivere, oggi pare che si viva per lavorare. Perché mostrarsi impegnati appare più interessante che non esserlo, o perché non avere un lavoro è diventato uno stigma sociale e non più una condizione particolare della quale la società dovrebbe farsi carico per aiutare la persona qualora fosse in difficoltà (astenersi ricchi di famiglia e scansafatiche).

Eppure c'è stato un tempo in cui il lavoro era funzionale a garantire i mezzi di sostentamento per sé e per la famiglia con ritmi e tempi che dipendevano dai bisogni personali. I mutamenti culturali hanno sovvertito questo schema antico ed oggi questo approccio pare non sia più sufficiente. Anche la religione, e la morale che ne deriva, ha rilevanza in questo processo.

Se si ha la (s)fortuna di fare un lavoro che piace può effettivamente diventare una prigionia: lavorare tutto il giorno per tutti i giorni. Non vi è più liberazione (emancipazione) che un tempo veniva assegnata agli spazi "liberati" dal lavoro e dal sonno. Il tempo libero da dedicare ad altro (hobby, lettura, ozio, argh!!!) viene fagocitato da un approccio agonistico al lavoro. Tale approccio competitivo deriva dalla cultura manageriale che contraddistingue la nostra società: devi essere sempre affamato per poter puntare ad obiettivi sempre più ambiziosi. L'ambizione si innesta nel pensiero di fare bene il proprio lavoro: quest'ultimo non basta più, si deve fare meglio, sempre e comunque, costi la sottrazione di tutto il tempo libero necessario. In questo la tecnologia è stata una straordinaria leva moltiplicatrice perché consente di essere operativi in ogni momento della giornata.

 

Una lettura molto interessante seppure non onnicomprensiva: qui non si affronta il concetto di lavoro universale, se ne estrapolano alcune particolari sotto condizioni. Condizioni nelle quali si deve essere più efficienti, più dinamici, più creativi. In una parola si deve essere più bravi con l'effetto collaterale di sovraccaricare il fisico e la psiche per garantirsi questo risultato. Non si può fare altrimenti, l'eccesso di zelo" è diventata norma di vita nel lavoro.

Per inciso, a tal proposito, un recente studio canadese mostra come lo stress lavoro correlato crei problemi cardiovascolari analoghi a quelli che riguardano le persone obese. E se quest'ultimo viene affrontato come un problema sociale perché non si affronta in modo analogo anche lo stress lavoro correlato? Domanda che trova risposta nella competizione innescata nel mondo del lavoro per "vincere", anche se coppe e medaglie non vengono assegnate.

Comunque, allo stato attuale c'è un'alternativa? La lettura del libro fornisce elementi per prendere coscienza di quanto è avvenuto e di come si sta manifestando sul lavoro. Da questa consapevolezza si deve partire per immaginare un modo di lavorare diverso e poi realizzarlo. Buon lavoro a tutti.

 

Storia perfetta dell'errore

Autore: Roberto Mercadini

 

Giudizio: ***

 

L'errore è perfetto nell'essere errore, nessuno meglio di lui nello sbagliare. Eppure per errore si possono trovare, raggiungere, vedere cose che la più puntuta precisione, ambizione, dedizione non avrebbe saputo scoprire. L'errore ha un suo perché che si apprezza, per errore.

 

Questa è una grande storia di amore epistolare, per larghissima parte unilaterale. L'ennesimo amore non corrisposto? No, non è questo, è l'amore che scaturisce dall'incontro tra ordine e caos: al primo spetta la perseveranza per garantire l'accettazione, e non l'annullamento, del secondo che è indomabile. A qualsiasi costo, anche al costo di smarrirsi per cercarsi e ritrovarsi. Sbagliare strada è un errore che può portare a vedere cose diverse e addirittura più belle di quelle che si era progettato di visitare. 

 

Pietro è il preciso, metodico, ambizioso e per non perdere il suo amore, che si è allontanata, le scrive perché non sa dove è fuggita. Pietro pensa che, oltre a dichiarare il suo incondizionato amore, sia utile scriverle storie di errori di successo per spiegare l'errore di insuccesso che è la fuga di fronte alla difficoltà. È pedante e cocciuto perché Pietro è l'ordine. Ammesso e non concesso che il ritorno di Selene, l'amata, potesse essere un errore, non è l'errore che deve spaventare, semmai la paura di affrontare l'imprevedibile nel suo rientro. Perché Selena è imprevedibile, per natura e per un disturbo che acuisce la sua naturale predisposizione, e teme che questo suo essere non possa garantire un futuro con Pietro. Eppure quest'ultimo rincorre un futuro possibile insieme.

 

Ogni storia di un errore di successo è la rappresentazione della più grande storia di amore tra ordine e caos, tra perseveranza e caso, tra paura e coraggio, tra progettazione ed imprevedibilità. Buona lettura a chi, per errore, leggerà questo libro.

 

Io, Jack e Dio

Autore: Andrea De Carlo

 

Giudizio: *

 

Amicizia, amore ed illuminazione divina è la trinità che attraversa le pagine di questo romanzo. Un'amicizia adolescenziale, rinsaldata da un patto eterno che nel segreto dei due cuori non è genuino e viene disatteso. Affiorano ricordi di una vita passata, tanto bella quanto perduta perché negata da tutto ciò che è successo dopo quei momenti felici.

 

La protagonista, Mila, vive una storia d'amore inattesa con un cantante locale famoso che giunge ad tragico finale nel quale lei stessa rischia la vita. In quel momento di profonda prostrazione riappare l'amico Jack, dopo che per sette anni era sparito rendendosi irrintracciabile. Ma Jack è cambiato tantissimo: il vecchio amico, complice, confidente non è più il suo Jack ora è frate Jack.

 

In questo momento Mila inizia una rincorsa, a tratti quasi rancorosa, per capire il motivo della sparizione, per conoscere le ragioni di una conversione che le paiono innaturali, per capire sé stessa ed i suoi sentimenti. Conversione, peraltro, che non ha nulla di ordinario e Mila lo scopre assistendo ai colloqui collettivi che fratelli e sorelle di Jack organizzano nel vecchio convento che stanno ristrutturando. Si parla di un Dio al di fuori dallo schema in cui viene rappresentato nelle religioni organizzate, così come le chiamano i fratelli e le sorelle di Jack.

Gli incontri, con un numero sempre crescente di curiosi che assistono, sembrano organizzati per parlare dell'amore, dell'amicizia, della gentilezza ma fanno emergere come questo non sia esattamente quanto scritto sui testi sacri. Nel corso di questa "predicazione al contrario" nella quale si invita a credere in Dio che non è il Dio in cui si crede, ma è un Dio migliore, emergono con prepotenza i reali sentimenti delle persone, le ipocrisie, le paure, le invidie fino a far scoppiare il caos, con tutte le inevitabili conseguenze.

 

Nota a margine

Ad essere sincero questo libro mi ha deluso. L'aspettativa che amicizia ed amore potessero essere ricompresi in un dinamica trascendentale divina è rimasta delusa. Il romanzo rimane terreno, troppo terreno, e la presenza divina è giustificata solo come espediente narrativo. Nonostante questo ho trovato interessante la sagace rappresentazione di come la religiosità non coincida con la fede e di come la fede sia praticata come atto dovuto per riconoscersi parte di una comunità senza che il sentimento di fede sia adeguatamente meditato ed introiettato come sublimazione di un credo e non come mera convenzione sociale, pratica terrestre che si estrinseca nella messa domenicale.

 

Trilogia della città di K.

Autrice: Agota Kristof

 

Giudizio: *****

 

La sofferenza, che dipenda dall'intimo della persona o che provenga da fuori, è la dimensione della vita nella quale si può anche pensare, e credere, di essere stati felici e di non essere stati soli: soffrire perché si è persa la felicità, esile e misera come può esserla durante una guerra, e soffrire nella solitudine perché questa non è vita, è l'esilio dalla vita.

 

Le tre parti in cui è composto il libro sono essenziali l'una all'altra. Se è vero che ogni parte può essere letta separatamente, se è vero che è possibile leggere le singole parti come libri a sé stanti, anche in ordine diverso rispetto a quello proposto, se è vero che la trilogia può non essere terminata, è pure vero che la lettura complessiva nella sequenza proposta conduce allo stupore dell'inaspettato a partire dal degrado dell'atteso: la guerra ed una famiglia separata.

Due bambini che sono un solo bambino, per provenienza e per fisionomia, due bambini che crescono nonostante la guerra e la vita, due bambini che sanno svincolarsi dagli affetti familiari ed orientarsi nel mondo, ma non sanno liberarsi l'uno dell'altro, due uomini dispersi in una trama familiare che li ha sopraffatti o soggiogati.

 

È da non credere a cosa possa condurre la guerra. È da non credere a come possano ridursi, ed elevarsi, i rapporti umani e familiari. È da non credere a come i sentimenti umani siano sfidati nella vita che muta senza mutare: prima prigionieri del nemico e poi prigionieri del liberatore, prima complice del fratello e poi fuggiasco dal fratello. 

 

Le vicende narrate sono sfuggenti quanto basta per crederle crudeli ed allo stesso tempo ordinarie. Il dolore attraversa le pagine senza lasciare spazio alla tristezza, se non a quella del lettore. Eppure anche il lettore potrà essere appagato dal capire senza capire perché tutto sfugge a qualsiasi consuetudine. È una storia amorale ed umorale nella quale giusto e sbagliato si rincorrono scambiandosi i ruoli: non ci si può fermare nel credere al giusto ed allo sbagliato, si deve provare a vivere.

 

L'uomo che cade

Autore: Don DeLillo

 

Giudizio: ****

 

L'uomo che cade è un performer. Un artista che usa il proprio corpo per rappresentare in modo ripetitivo l'immagine dell'uomo che cade da una delle torri gemelle l'11 settembre 2001. L'orrore, visto dal mondo intero, che si fa gesto artistico. Ma l'uomo che cade è anche colui che scende le scale della torre gemella, con migliaia di altre persone, prima che crolli. E l'uomo che cade è pure uno degli attentatori che si è preparato all'azione in modo tanto meticoloso quanto poco religioso, secondo la guida spirituale. Quest'uomo che ha vissuto in prima persona l'assalto, e la strage, di bambini iraniani, spesso disarmati, alle postazioni irachene nel corso della guerra tra Iraq ed Iran. Orrore personale che ha visto solo lui ed ora diventa l'uomo che si forma per essere lui stesso bambino disarmato all'assalto della postazione nemica.

 

L'uomo che cade è colui che perde l'amico di gioco che lavorava anch'egli nel World Trade Center. L'uomo che cade è il padre che ritrova il figlio e la moglie dalla quale si è separato: scampato al disastro, senza sapere perché,  non va a casa sua, ma va a casa loro. L'uomo che cade è lo stesso che si ritrova in mano, senza sapere come, una borsa che non è la sua. È di una donna che scendeva anche lei le scale poco prima che la torre crollasse, l'una all'insaputa dell'altro. I due per un breve momento si danno un reciproco conforto e sostengno in una situazione che è più grande di ogni cosa, di ogni orrore, di ogni fede.

 

L'uomo che cade è colui che perde la memoria e non sa dove si trova. L'uomo che cade è un americano che non riesce più a capire il perché di ciò che accade. Parla la lingua internazionale che domina qualsiasi tipo di conversazione nel mondo, ma senza sapere cosa dire, in quella lingua, al mondo. Parla e non si capisce lui per primo, certamente non viene capito da chi non è lingua madre dell'uomo che cade, anche se conosce la lingua. Una lingua che voleva essere anche stile di vita e di progresso che, nella caduta, lascia solo le macerie della vita rubata a chi subisce l'attacco ed a chi porta a compimento l'assalto.

 

L'uomo che cade è solo, che sia il performer, che sia l'impiegato del World Trade Center, che sia il terrorista, che sia lo spettatore. L'uomo che cade non smette mai di cadere nella sua solitudine, immortalato in quel fotogramma in cui assume una posa innaturale ed inumana che il performer replica anche per un pubblico che non lo sa vedere. Quell'uomo che cade è invisibile anche se tutti l'hanno visto.

 

La mite

Autore: Fedor Dostoevskij

 

Giudizio: ****

 

Il racconto inizia con il tragico epilogo. Conosciamo già il finale anche se la vicenda che porta ad esso la scopriremo solo dopo, solo quando tutto è già compiuto, proprio nel momento in cui pare sia stata trovata la soluzione in una vita diversa insieme. È stata fatta una nuova promessa di felicità che si realizzerà altrove ed allo stesso tempo è stata rifiutata nel modo più definitivo possibile. Cinque minuti è l'illogica entità del ritardo del marito che, se non fosse stato, avrebbe generato nuove e luminose prospettive. È il protagonista a dirlo, ma non vi sono motivi per crederlo possibile.

 

Il racconto del narratore sostiene ragioni e torti di un amore che per la moglie non è mai stato e per lui lo diventa postumo. Lo diventa mentre cerca di mettere insieme le cronache che hanno condotto al finale fatale. Un rapporto che, nonostante gli "slanci" del protagonista, appare difficile, addirittura impossibile: lei poco più che bambina, lui più interessato a sentirsi nobile d'animo, distaccato e severo che innamorato. Lui che si atteggia e marito irreprensibile e generoso, ma irreparabilmente inadeguato a comprendere ciò che richiede la vita insieme. Lei prigioniera prima delle zie e poi di un uomo che non ama. A lei, il marito, riconosce il tentativo di amarlo, in una prima fase, e poi di disprezzarlo, in un secondo momento, momento dal quale il matrimonio non uscirà più. Un matrimonio di due solitudini che rimangono tali.

 

Il finale ci riconduce all'inizio, con la folla che "accoglie" il protagonista davanti a casa al suo rientro di poco tardivo. È un uomo solo circondato da persone che realizza la sua solitudine, non come scelta libera e volontaria e felice, ma come inevitabile destino al quale si è sottratta la moglie.

 

Oblio

Autore: David Foster Wallace

 

Giudizio: ****

 

Lo stato persistente nel quale scompare o si sospende il ricordo di qualcosa è la possibile tattica inconscia, e forse involontaria, per affrontare la vita. Tutti i giorni poniamo qualcosa, o qualcuno, nell'oblio, ci serve per fare altro, per ricordare altro. David Foster Wallace ci racconta cose da ricordate e cose da dimenticate, però tutte funzionali alle nostre esistenze. La vita è come un maiale, non si butta via niente.

 

Non è una lettura semplice, richiede attenzione e perseveranza. Io credo che David Foster Wallace fosse un genio e quindi il mio giudizio è partigiano, si metta agli atti. La mia propensione a magnificare l'autore però non tragga in inganno. Leggerlo richiede "impegno" e produce "fatica", astenersi perditempo.

Periodi lunghi, incisi su incisi che sviano l'attenzione che, prima o poi, viene riportata al punto cruciale. Cura (quasi) maniacale posta nella descrizione di quello che non si può vedere e nemmeno sentire e, forse, nemmeno immaginare.

Sì, David Foster Wallace qui scrive di una crisi matrimoniale perché l'io narrante russa, anche se, forse, non lo fa, anche se, forse, non è una crisi matrimoniale,  anche se, forse, c'è un problema diverso nella famiglia allargata. Insomma c'è dell'altro, sicuramente c'è dell'altro, ma il pathos è centrato sull'ipotesi del russare del protagonista e su una particolare buca del campo da golf. Se cercate un nesso, lo troverete, forse.

In un altro racconto l'io narrante si definisce un impostore. Ha sempre mentito per assecondare o coniugare il contesto e la sua persona alle aspettative dell'interlocutore, che fossero i genitori adottivi, la sorellastra, lo psicanalista. Appariva migliore, ma si sentiva peggiore.

Poi ci sono i quattro ostaggi involontari, bambini di una scuola che non si avvedono del pericolo imminente che incombe su di loro. Lo racconta l'io narrante che giustifica il suo stato di ostaggio involontario dovuto alla distrazione indotta dell'essere a fianco della finestra e vedere o immaginare altre cose che non riguardano la classe ed il supplente. Se ci fosse stata la maestra di ruolo lui non sarebbe mai stato vicino alla finestra e tutto ciò che è accaduto non sarebbe successo.

Senza tralasciare l'orrore dell'incidente domestico che, inspiegabilmente, trova come vittima un neonato, oppure il divertente iter da portare a compimento per valutare il successo di un nuovo dolcetto industriale. Marketing, statistica, psicologia al servizio del consumismo con intrecci aziendali e sociali: mentre un uomo si arrampica sul palazzo, un'azienda ne controlla un'altra che già lavora per lei e che lo farà ancora, ma diversamente, lo sanno tutti anche i diretti interessati.

Volenti o nolenti la società ci plasma, letteralmente. La chirurgia estetica ne è il braccio armato di bisturi. Ma non sempre tutto va bene. È ciò che accade all'io narrante di un altro racconto. È stato scarcerato e posto sotto la tutela della madre. Madre che, per due interventi chirurgici estetici riusciti male, ha assunto un'espressione particolare. Per questo motivo spostarsi con lei sui mezzi pubblici è cosa molto delicata.

Ma nella società dell'apparire e del raccontare, si passa anche attraverso la cronaca di un racconto sentito da un altro in aereo e disturbato dai rumori del velivolo. Due persone nella fila vicina a chi riporterà il racconto ad un amico che a sua volta lo riporterà all'io narrante, stanno parlando. Uno racconta all'altro dell'ascesa e discesa di un ragazzino prodigioso in una società che non è la loro. Questo racconto è la fotografia di due sconosciuti in aereo, disturbati dal velivolo, uno dei due probabilmente già sordo di suo, il doppio passaggio della narrazione e nonostante questo la certezza che la società non sia la tua. 

 

Noi vediamo e sentiamo quello che accade vicino a noi. David Foster Wallace lo raccontava come se fosse vero e come se fosse finto, quindi come se fosse e non fosse allo stesso tempo. Per questo motivo è da leggere con la cura che lui ci metteva nello scrivere.

 

La strada

Autore: Cormac McCarthy

 

Giudizio: *****

 

Per essere i buoni si deve portare dentro il fuoco, ma questo non basta per mostrare di essere i buoni agli altri, anche se pure loro lo sono.

 

C'è stata l'apocalisse, imprecisata e forse imprecisabile. Un bimbo ed un padre avanzano lungo la strada in direzione sud. Tutto quello che posseggono lo trasportano in un carrello della spesa da supermarket in un paesaggio devastato dove nulla realizzato dall'essere umano è rimasto integro. Quel carrello un tempo trasportava beni di consumo ed ora trasporta oggetti logori, ma necessari per la sopravvivenza. Ogni incontro con altri esseri umani potrebbe essere fatale. Una pistola con solo due minuzioni vere e le altre simulate allo scopo di fungere da deterrente in occasione di ogni incontro.

 

Sia padre che figlio sono orfani, rispettivamente di moglie e di madre che un giorno scelse di sottrarsi a questa sopravvivenza animalesca. Il bimbo vede cose che non riesce a capire ed il padre vede e fa cose che non riesce a spiegare. Ma sono cose che possono andare solo così, nessuna altra possibilità è data. L'unica certezza che entrambi hanno è che loro sono i buoni che portano il fuoco e devono avanzare verso sud recuperando il recuperabile per sopravvivere lungo la strada. E lo fanno con diligenza anche se costretti a diffidare di chiunque e per sempre.

 

La strada è lunga, ma ha un punto di approdo, un luogo in cui le cose devono cambiare ed alla diffidenza nei confronti degli altri deve subentrare la fiducia di non essere gli unici buoni. Questo ha un costo ed il costo è quello più alto possibile.

 

Mi limitavo ad amare te

Autrice: Rosella Postorino

 

Giudizio: ***

 

Quello che succede durante la guerra può essere letto solo con molta fatica. La fatica di sopravvivere per una bimba cattolica ed in bimbo musulmano, rifugiati in una chiesa durante un bombardamento, che si cibano di ostie non ancora consacrate. La vita in un orfanotrofio che raccoglie bambini che hanno ancora genitori in vita. Una città cosmopolita che subisce il supplizio in quanto cosmopolita. Il trauma della bambina lasciata sola nell'atrio del palazzo mentre i militari portano via la madre o del bimbo che fugge dalla madre, incitato dalla madre, per salvarsi dalle bombe. 

 

Poi c'è l'Italia, il paese vicino e ricco e in pace, che ospita i profughi: plasma qualcuno, irrigidisce qualcun altro. I primi accettano la nuova condizione, i secondi vogliono tornare nel loro paese per cercare quello che in cuor loro sanno di ritrovare.

In questa speranza vivono le madri ritrovate nella guerra come le madri perse nella pace di una guerra senza fine vissuta dai bambini cresciuti altrove, al sicuro dalle bombe, ma comunque esposti al dolore, alla paura, allo spaesamento. La guerra fa crescere in fretta perché la guerra ruba l'infanzia e ruba la vita.

 

La libreria dei gatti neri

Autore: Piergiorgio Pulixi

 

Giudizio: ***

 

Quello che cerchi spesso è più vicino di quanto tu possa pensare e, anche se lo sai, a volte è comunque irraggiungibile.

 

"Vuoi più bene alla mamma o al papà?" è la sadica domanda universale che l'autore pone prima dell'incipit del romanzo. Ma nelle vicende che verranno narrate, più che il senso della domanda in sé, è il sadismo del comportamento umano che emerge come atteggiamento diffuso. A partire dal quesito che pone l'assassino alla vittima di turno. Vittima che deve soffrire e non morire.

 

Il protagonista è un libraio appassionato di libri gialli con un turbolento passato come maestro elementare. Grazie ad una geniale idea di una cliente, una dolce e simpatica vecchietta, per salvare la libreria organizza in modo informale, attraverso il passa parola, un gruppo di lettura di giallofili. In pratica una setta di innocue persone che amano leggere ed in grado di appassionarsi alle trame più sofisticate, quanto agli atti più efferati purché ci sia il morto.

 

Una mattina, che sì è avviata in modo troppo perfetto perché non si possa presagire l'imminente catastrofe, il protagonista riceve la visita della polizia. Una cara amica ed il suo superiore si presentano in libreria perché potrebbe conoscere la vittima di un omicidio. E pure perché il caso è apparentemente senza via di uscita.

La cara amica della polizia, troppo cara per poterle negare l'aiuto, gli chiede quindi se può aiutarli informalmente in questo caso, come ha già fatto in passato con il suo gruppo di lettura, perché non riescono a trovare appigli per ipotizzare la risoluzione. La restante, ed esigua, parte del gruppo sarà messa alla prova per discutere di un caso vero e giungere all'assassino.

 

Il lettore inciamperà nelle sorprese che vengono trovate lungo la storia e che non lasceranno un dolce sapore. Un argomento di discussione perfetto per un gruppo di lettura avvezzo all'amaro quando nulla è ciò che sembra.

 

Guerra

Autore: Louis-Ferdinand Céline

 

Giudizio: ****

 

"Mi sono beccato la guerra nella testa", letteralmente, un perenne rombo interno che non lascia dormire. Ce lo racconta il protagonista: la guerra è una cosa che non dovrebbe far dormire e, invece, essendo quello che è, crudele violenza disumana, gli uomini vogliono dimenticarla, la ignorano, perché non saprebbero spiegarla e non potrebbero dormire. Possono permettersi di dormire solo coloro che non l'hanno fatta e che ne parlano come se nulla fosse. Per questi la guerra è fatta da giovani uomini, inquadrati nei ranghi, che si dirigono verso un orizzonte di gloria, ma in realtà un orizzonte di morte.

 

Il protagonista si ritrova a terra. L'orecchio dal quale non sente più nulla, schiacciato. Un braccio disarticolato che è schizzato in alto fin quasi a staccarsi dal corpo, ma che è rimasto lì, attaccato, per ricordargli il dolore atroce ad ogni movimento. I suoi commilitoni, tutti morti, rivisti in uno dei non rari momenti di delirio. Un soldato inglese lo salva, principalmente da sé stesso, costringendolo con la forza dei pugni a non dirigersi verso le linee tedesche e portandolo al paese francese più vicino. È la guerra che costringe il ferito a parlare la lingua inglese, lingua che non aveva voluto parlare nemmeno quando era in Inghilterra.

 

Questo è solo l'inizio, l'azione di guerra, in senso letterale, è già finita, ma la guerra si manifesterà in tutta la sua crudeltà anche nelle nefandezze che accadono nelle retrovie. Un'infermiera sadica che molesta sessualmente i moribondi. Un medico che è sempre pronto a tagliare quelle carni già passate dal macello del fronte per imparare la chirurgia. Il commilitone, conosciuto in ospedale, apparentemente il più sveglio di tutti, che si scopre non essere così speciale. Un alto ufficiale che indaga gli eventi accaduti al fronte che hanno visto protagonista il ferito la cui unica colpa è di essere il solo sopravvissuto che può ancora parlare e che deve giustificare il suo essere ancora in vita. I civili che inorridiscono per la violenza dei tedeschi senza sapere che è la stessa violenza dei francesi. E poi i moribondi, quelli prossimi alla morte, ma ancora vivi, per i quali non c'è nulla da fare e che vengono lasciati nel lazzaretto al loro destino di caduti in guerra. 

 

Il prezzo dei fiori in tempo di guerra è elevatissimo. Con tutti quei morti si può anche litigare per l'ultimo mazzo di fiori. È il costo della pace interiore per il ricordo di una persona che si è trovata a morire con altre migliaia di persone in guerra. Per cosa?, nessuno lo rammenta, nemmeno il protagonista.

 

Notti bianche

Autore: Fëdor Dostoevskij 

 

Giudizio: ****

 

La narrazione di un diario di un sognatore può dirsi sogno o incubo? In entrambi i casi è la vita che prende il sopravvento.

 

Il sognatore è un solitario felice del suo sognare. Di una felicità manifestata nel canticchiare per la strada. Il sognatore è ignoto a tutti gli altri, ma immagina quanto potrebbe essere gradevole un saluto scambiato con uno sconosciuto signore che incontra per la strada ogni giorno. Allo stesso tempo la fantasia lo conduce all'apprensione che si manifesterebbe nel non sapere cosa possa essere accaduto all'uomo il giorno in cui non lo avesse incontrato. È tutto molto realistico seppur solo fantasticato, in un balletto senza fine di ipotesi, negazioni, aggiustamenti, mutazioni.

 

La stessa cosa accade con l'amore incontrato per caso in un giorno di felicità e riconosciuto immediatamente senza dubbio alcuno. E lei, Nasten'ka, lo accoglie prima restia, poi gioiosa ed infine complice. Complice di fantasie che racchiudono speranze assai più concrete di esser sposa di un principe cinese. Speranze che l'amore sbocciato sia amore corrisposto e realizzato. Il sogno è comune ad entrambi seppur ineguale: l'amicizia per l'una e l'amore per l'altro sono cose assai diverse che solo la fantasia può far pensare possano coabitare.

 

In quattro notti di confidenze e speranze si raggiunge l'apogeo della beatitudine che è al tempo stesso fulminea a fugage. Come una saetta scaccia il sogno che diventa per un attimo una splendida realtà e poi fugge come un ladro lasciando che il sognatore torni alle solitarie fantasticherie. Dopo le quattro notti bianche è un mattino che mostra la crudezza del mondo sbiadito ed invecchiato rispetto a quello che pareva essere e poi non è stato. Non è inganno è solo un intero attimo di beatitudine. È forse poco?

 

Prima di noi

Autore: Giorgio Fontana

 

Giudizio: ****

 

Questa è la storia della famiglia Sartori nata da un atto di vigliaccheria e da un atto di amore. Sono friulani a bevono vino solo due volte al giorno: a pasto e fuori pasto.

 

Il capostipite, in realtà veneto, diserta durante la rotta di Caporetto e viene accolto da una famiglia friulana. C'è poco, ma ce n'è per tutti anche per chi ha paura della vita prima che della morte. Nella ristrettezza nasce l'amore tra il fuggiasco e la primogenita, "Dai, bel biondino, proviamo a volerci bene". Lei rimane incinta, ma per paura il fuggiasco scappa e bisogna riportarlo a casa, perché per il padre di lei è preferibile che il nipote abbia un padre invece di restare orfano. E del bene i due ragazzi se ne vogliono, ognuno a suo modo, come succederà anche per gli eredi a venire. Un disegno di lei, che li raffigura, li accompagnerà oltre la tomba.

 

La famiglia cresce nel corso del secolo breve che è un lunghissimo secolo di rimorsi e recriminazioni e sofferenze e contraddizioni. Il fascismo a Udine, la seconda guerra mondiale, l'armistizio, il fratello morto di bontà in Africa, che strano che era, solo lui avrebbe potuto morire di bontà e lo fece. L'antifascismo, ma in città e non sui monti, con l'odio in cuore ma con l'amore nei confronti della madre che lo ha voluto tenere con sé ad Udine. La lotta comunista clandestina e poi, nel dopo guerra, in fabbrica. Le poesie minori del poeta minore, democristiano, salvato alla guerra nascosto in una chiesa. Il trasferimento a Milano ed il ricollocamento familiare, due fratelli vicini, ma che non potrebbero essere più lontani. L'anarchia ed il partito radicale tra le rivolte studentesche e l'amore giovanile. La nuora che abbandona marito e figlio per fare la missionaria in Africa, troppo amore rende cattivi per i cari. Poi il reflusso. I nipoti e pronipoti legati tra loro in forma epistolare e clandestina, con i padri e nonni slegati per orgoglio e pregiudizio. Il tumore e la senilità colpiscono e spengono le passioni per le rivoluzioni, politiche, musicali, sessuali. Ed infine la lettera della capostipite, mai aperta dal destinatario, il primo genito appena morto, che spiega l'inizio sconosciuto e nella quale s'interpreta e si riconosce la vera destinataria.

 

Un secolo trascorso non è tempo passato o fuggito, ma vita vissuta senza altre possibilità se non viverla. Nella buona o cattiva sorte, che si creda in Dio o che si creda in altre divinità come le parole, la pace, l'amore, l'uguaglianza, la giustizia in terra e non nella vita eterna.

 

A pala e piccone

Autore: Vincenzo A. Scalfari

 

Giudizio: ***

 

L'archeologia non più essere una metafora della vita, l'archeologia è una ipotesi di vita. Non sempre la migliore possibile, ma, se c'è amore, con il duro lavoro, un muro tornerà alla luce. 

 

Il flusso di coscienza che scorre tra le pagine distribuisce gioie, stupori, candori, cronache, sapori. Questi ultimi sanno di vita, a volte imprecisa, sempre inevitabile, in tutti i casi inattuale, vissuta sul filo del "ci sono sempre, eh, non crediate che non ci sia". E l'esserci è una cifra tonda, senza decimali e senza resti, scandita dal lavoro, dall'archeologia, dall'amore. Parole grosse, ingombranti, non sempre comprensibili se calate nel contesto inadatto alla loro dimensione e ragione.

 

Il lavoro è fatica, passione, ricerca. E questo potrebbe bastare per imbastire l'abito da lavoro, appunto, e brandire pala e piccone. Ma se ci pensiamo con l'occhio sgombro da facili tipizzazioni la fatica, la passione, la ricerca sono caratteri anche di archeologia ed amore. Quindi scrivere dell'uno significa scrivere anche degli altri? No, sì, forse, ma questo non è un quiz è solo una sensazione, postuma e per questo più precisa, forse. 

 

L'archeologia è quell'amore che rimbecillisce le persone che amano l'archeologia. Non basta essere archeologo per amare questo lavoro, la sua fatica, la sua povertà. Si deve credere in chi ha insegnato ciò che si sa per saperne anche più di lui, almeno quanto lui. Al contempo l'amore per l'archeologia chiede di scegliere dove è giusto stare o andare per assecondare questa passione. La scalata per avere un ruolo e la monetizzazione dello scavo per non perdere finanziamenti rende l'archeologia meretricio, non amore. Capirlo ed assecondare la passione allontana dalla sua svalutazione, ma rende tutto più difficile. 

 

Per l'umano sentimento dell'amore per i vivi appare tutto più semplice. Conoscere una persona, innamorarsi della sua bellezza, del suo modo di fare, del suo sorriso, voler passare con lei la vita, non fa sempre i conti con la natura umana. Perché il difficile arriva quando si capisce che l'altra persona non è più la meravigliosa sorpresa di cui ci si è innamorati. La semplicità della risata complice diventa difficoltà della risata dovuta e, senza capire come e quando, nel momento in cui si realizza questa sensazione qualcosa è successo nel fragore dell'amore che rimbecillisce. Si rinsavisce e per questo si soffre, maledetti ossimori!

 

Nel lavoro, in archeologia e nell'amore si devono fare scelte di maturità e si rimpiange quello che era a vent'anni quando tutto era una sorpresa. Anche questa è la cifra precisa della vita che è fatica, passione, ricerca come per il lavoro, per l'archeologia, per l'amore. Grande anch'essa, la vita, tanto da racchiudere tutto ed esserne al tempo stesso racchiusa.

 

Avere tutto

Autore: Marco Missiroli

 

Giudizio: ***

 

Avere tutto è racchiuso nella risposta alla domanda/gioco "cosa faresti con un milione di euro e quarant'anni in meno?". Risposta che muta, si evolve, si precisa fino allo spegnimento. Forse perché nulla sarebbe più memorabile di quanto già sia stato o forse perché nulla sarebbe comunque memorabile.

 

Sandro, figlio di Nando, scende da Milano e torna a Rimini dal padre rimasto vedovo. L'occasione è il compleanno di Nando. Tra loro il rapporto è brusco, spartano, ma vitale. Le due solitudini, poste l'una di fronte all'altra, trovano un arcigno antagonista vivificante. Gli amici del vecchio lo trovano cambiato, gli amici del giovane, ed il padre, temono che Sandro non sia cambiato.

Nando, nelle notti estive, ha ripreso ad andare a ballare con la sua vecchia automobile al circolo del dopo lavoro ferroviario. È stato un ballerino memorabile, seppur trascinato dalla moglie, ed ora ritorna con il pensiero all'inciampo della sua vita nel gesto da lui inventato. Sandro, per l'inciampo della sua vita, ha perso tutto, amore e denaro. Pure il lavoro a Milano non va bene e Rimini pare una via di fuga, oppure il luogo della ricaduta.

Nelle rispettive spigolosità caratteriali i due si sostengono. Il ricordo della moglie e madre li unisce e li sconforta per ciò che è stato e per ciò che non è potuto essere: il ballo perfetto macchiato dall'inciampo del marito ed il vizio per il gioco che ha preso il figlio. Eppure il puntello che li sostiene è proseguire per vincere l'errore. Avere tutto è il modo di ritrovarsi, anche nei ricordi, per tutto il tempo che rimane.

 

Rancore

Autore: Gianrico Carofiglio

 

Giudizio: ***

 

Nulla si può dare per scontato se smontiamo il pregiudizio che l'amore e l'amicizia sono sacri ed inviolabili.

 

Penelope Spada, ex PM, si trova a barcamenarsi in una vita che non era la sua o forse lo era senza che lei lo capisse. Per caso, o per destino calcolato da altri, deve affrontare contemporaneamente un possibile innamoramento ed uno scheletro che ha ancora nel suo armadio di ex PM.

Per la prima questione tutto è semplice e complesso al tempo stesso. Perché infatuarsi è semplicissimo, ma diventa difficile capire se possa essere vero amore quello che si prova.

Per la seconda questione entreranno in gioco i ricordi e l'amicizia. Amicizia intesa come cosa inesplicabile che esiste tra persone che sono intime e che condividono vite, sogni, passioni, oppure che diventano amiche con giustificabili secondi fini, non esattamente amichevoli.

Di mezzo un decesso per cause naturali, avvenuto due anni prima, che la figlia del morto pensa sia un omicidio, seppure indimistrabile. Una figlia interessata più all'eredità che al padre a differenza della giovanissima vedova apparentemente disinteressata a tutto, tranne che alla ricerca di una vera amicizia. E nell'amicizia, o presunta tale, si raggiunge l'epilogo, tutto sommato piatto come solo il rancore può essere: un sentimento di odio che si trascina nascosto nell'animo e noto solo al portatore.

 

Il mito di Sisifo

Autore: Albert Camus

 

Giudizio: ****

 

Diciamo assurdo per significare che non è possibile, poi la vita si presenta in tutta la sua assurdità senza che ci sia una soluzione se non l'accettazione dell'assurdità come atto di (r)esistenza.

 

L'autore ci offre un boccone amaro dell'assurdità dell'esistenza: priva di significato, irrazionale, impossibile, ingiusta, crudele. È ben disperata e desolata questa prospettiva per la quale non si vede via di uscita se non porre termine all'esistenza. Però il suicidio, fisico o spirituale che sia, non affronta il problema: lo sfugge affidandosi alla speranza della solo supposta esistenza di un'entità superiore e non spiegando come sia possibile che sulla stessa terra ci siano guerre nelle quali si ubbidisce ad ordini assurdi e persone che muoiono di fame in presenza di persone che vivono nel lusso. La condizione umana è pregna di assurdità e per l'autore la soluzione, se così la possiamo chiamare, è la sopportazione dell'assurdità dell'esistenza, sopportazione che può condurre alla libertà nella resistenza attiva e volitiva nei confronti dell'assurdità dell'esistenza.

Sisifo, in grado di imprigionare la morte e sospenderne i suoi effetti sulla terra, riesce a sfuggirle, ma, catturato, subirà l'assurda condanna di spingere un pesantissimo masso dai piedi di un monte fino in cima per vederlo poi rotolare fino a valle e doverlo riportare in cima. La condanna lo rende un essere felice perché in essa conosce i propri limiti e quindi assume su di sé il proprio destino che non dipende da fatti esterni e fuori da sé.

 

È necessaria la presa di coscienza dei propri limiti e l'assunzione del sentimento dell'assurdo che sta nella condizione umana e poi resistere, resistere, resistere.

 

Atti osceni in luogo privato

Autore: Marco Missiroli

 

Giudizio: ****

 

L'educazione sentimentale attraverso la scoperta del piacere e la sua costante ricerca, non necessariamente per amore.

 

Un trauma infantile segna l'inizio. Poi giunge un amore platonico che resterà tale e sorreggerà, anzi, guiderà tutti i tentativi di ricerca dell'amore a venire. Un padre complice del giovinetto. Una madre amorevole che non ama più il padre.

Poi la vita che libera e si libera. Gli amici perduti e gli amici trovati. La letteratura che insegna come sì, come no, come forse. L'inseguimento "agonistico" al primo rapporto sessuale vissuto come lo stigma fino a che non giungerà il momento. Appare inutile cercarlo nell'amore, l'importante è trovarlo dove capita.

Poi l'amore arriva. Pare fulminante ed eterno, splendente e rovente. Invece è solo un passaggio esaltante, ma temporaneo, perso per poca attenzione perché, forse, non meritava tanta attenzione. La rottura innesca una fase di crisi profonda dove l'amore è un orpello inutile e tutto diventa solo una performance atletica priva di coinvolgimento emotivo: è piacere per il piacere. Diventa routine fuori dell'ordinario, ma pur sempre routine.

Fino a che, come un lampo, giunge l'amore vero, quello che diventa la priorità di vita da custodire e preservare dalla poca cura messa nel precedente amore. È la svolta e gira così tanto la vita che la cambia. L'italiano, per i francesi, che vuole diventare avvocato per difendere chi ha meno opportunità ed il francese, per gli italiani, che decide di insegnare letteratura a chi ha meno opportunità: il massimo comune denominatore. Anche in questo il protagonista trova il suo porto, sicuro e sincero, come solo l'amore vero sa essere e nessuno lo chiamerà atto osceno in luogo privato.

 

Topeka School

Autore: Ben Lerner

 

Giudizio: ***

 

La scuola che è competizione prima della competizione che è già lì che attende nella vita.

 

Adam è uno studente speciale, un eloquente campione nell'arte del pubblico dibattito, disciplina agonistica dove le parole possono essere violenza e provocare sofferenza. Si sente un poeta, vorrebbe essere un poeta. I genitori lavorano nella prestigiosa clinica psichiatrica della città. Il padre ha la capacità di comprendere i ragazzi difficili che non riescono a parlare ed aprirsi. La madre è una famosa scrittrice femminista che con l'aiuto dell'amica, e sua psicoterapeuta, ha fatto emergere un proprio trauma infantile.

 

Questa è una storia di irrequietezza adolescenziale, di trasgressione, di tradimenti, di bullismo, di amore. È il passato che ci ha condotto a questo presente dove un dibattito pubblico è diventato una lotta per la vita e la morte di gladiatori verbali giudicati da una giuria di professori. Uno dei contendenti "asfalterà" l'altro per la gioia ed il piacere del pubblico. Non è necessaria la logica argomentativa, serve affermare la supremazia dell'uno sull'altro per rapidità di esposizione, per citazioni di fonti più o meno reali, per sofismi che non devono condurre al vero, ma alla vittoria.

 

Questa è una storia dei turbamenti dei primi amori. Rappresenta il disagio di non essere all'altezza di ciò che viene chiesto. Racconta l'emarginazione di non essere riconosciuto come parte del gruppo perché fragile e vulnerabile. Descrive la violenza che può scaturire dal mix di sostanze stupefacenti e sentirsi finalmente incluso nel gruppo, ma al tempo stesso umiliato. 

 

Questa è una storia di adulti che non hanno visto o sentito. Adulti che hanno tradito perché era più semplice che restare fedeli. Adulti che invidiano la fama dell'amica senza ammettere l'invidia. Adulti che lottano perché i bambini messicani entrati negli Usa vengano lasciati ai genitori ed usano i propri bambini come scudo morale. Adulti figli di un'epoca diversa da quella dei propri figli e dei propri genitori, eppure chiamati ad essere luce per gli uni e per gli altri.

 

C'è stupore e dolore che, a distanza di anni, può assumere il tono della nostalgia o della rivalsa. La strada percorsa non è indifferente a ciò che si prova per quanto vissuto in un tempo remoto che ci appartiene come ricordo. Una vita passata, una vita andata, una scuola per una vita ancora solo annunciata.

 

Sanguina ancora

Autore: Paolo Nori

 

Giudizio: ***

 

Questo romanzo non è un romanzo e se in questa affermazione il lettore legge una contraddizione sappia che questa contraddizione non è una contraddizione.

 

La vita di Dostoevskij, secondo Paolo Nori, non è una vita e viene presentata come un romanzo che poi è una vita. Dostoevskij viene graziato dallo Zar a pochi minuti dall'esecuzione capitale in ottemperanza alla pena a lui inflitta per aver letto in privato cose che per volere dello Zar non devono essere lette. A proposito di non contraddizioni. La pena sarà convertita in anni di lavori forzati nel corso dei quali Dostoevskij "penserà" il libro che in quel momento non può scrivere. Dostoevskij salva i diritti delle proprie opere grazie ad una brillante idea di amici che gli consigliano di farsi aiutare da una stenografa per consegnare nei tempi previsti dal contratto il libro che deve all'editore. Non farlo gli costerebbe la perdita dei diritti su tutte le proprie opere per i futuri nove anni. Scrive un libro dettandolo e, riuscito nell'impresa come un Phileas Fogg che scommette di poter compiere il giro del mondo in 80 giorni, chiede la mano alla molto più giovane di lui stenografa, non senza il necessario amorevole aiuto da parte della stessa che è stata e sarà ancora la sua salvatrice. Dostoevskij, in perenne ristrettezze economiche, trova tempo e modo per sperperare anche il poco che ha al gioco e chiedere soccorso alla moglie. Fogg le scommesse le vinceva, seppure per effetti planetari, Dostoevskij no. Dostoevskij è, tra gli illustri altri, uno dei "creatori" della letteratura russa.

 

E se tutto questo non vi basta per immaginare che questa vita è in romanzo, in questo libro Paolo Nori ci mette del suo. Ci racconta dell'innamoramento per quel primo libro di Dostoevskij letto da ragazzo, Delitto e castigo, amore che sanguina ancora. Amore che lo ha condotto ad amare, studiare, conoscere, tradurre la letteratura russa. Ci sono passaggi di vita vissuta dell'autore che "abbracciano" il lettore per raccontare come l'autore è stato "abbracciato" più di tutti da Dostoevskij.

 

Paolo Nori mi sta simpatico. Non lo conosco, ma sono portato a simpatizzare per lui, per quello che ha scritto e detto in questo brutto momento in cui gli eventi bellici tra Russia ed Ucraina hanno portato ad un impazzimento generale che identifica la cultura russa come nemica. Oggi, che ho letto questo libro, Nori mi è ancora più simpatico perché scrive, in un modo tutto suo e forse a me sufficientemente prossimo perché siamo entrambi emiliani, di come non si debba temere la letteratura russa e di come si possa amare Dostoevskij anche se a distanza di tanti anni ti fa ancora sanguinare.

 

La luna e i falò

Autore: Cesare Pavese

 

Giudizio: ****

 

Un uomo maturo riscopre la terra dalla quale è voluto scappare ed alla quale è voluto tornare, non da vincitore, ma apparentemente pacificato per aver fatto ciò che voleva fare.

 

Poco o nulla è mutato, i luoghi gli ricordano tutto ciò che lui è stato: trovatello allevato da persone a cui ha voluto bene e che per quel "fardello" percepivano un contributo. Poi lui a servizio da una famiglia ricca, apparentemente come una persona di famiglia. Una famiglia da amare e dalla quale scappare perché la tenuta della Mora era "angusta". Anguilla, come lo chiamavano tutti, voleva andare lontano dove mai nessuno dei suoi compaesani era stato. Pur nel benessere di quel casale dove viveva con sor Matteo e le tre figlie, Irene, Silvia, Santa, Anguilla aveva bisogno di fare altro, di lasciarsi alle spalle questa vita. Scoprirà solo al suo ritorno le drammatiche vicende della famiglia.

 

Oltre ai luoghi ritrova il vecchio amico Nuto e con lui rivive i ricordi dell'infanzia e della giovinezza. Nuto resta l'amico nel cuore del ragazzino e dell'uomo adulto che è ora, l'amico che lo spingeva a leggere per capire, a leggere per conoscere e liberarsi da false credenze popolari, affrancarsi dall'ignoranza. Nuto ha abbandonato la vita da suonatore di clarinetto, sempre in giro per le feste di paese. Ora fa il falegname, come il padre, ma resta il compagno saggio, quello che capisce le cose della vita. Quello che ha vissuto la guerra in paese mentre Anguilla era in America. Un partigiano nell'anima, che sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, che non è salito tra i monti con i partigiani per senso di responsabilità ed impedire che fosse messa a fuoco la sua casa.

 

Al suo ritorno Anguilla conosce Cinto, un ragazzino storpio che gli ricorda com'era alla sua età. Cinto vive nella stessa casa dove anche lui ha vissuto con la famiglia adottiva. Anguilla si affeziona a questo ragazzino, lo vuole aiutare, ma alla tragedia dell'handicap fisico se ne sommerà un'altra. Cinto rimarrà a casa con la famiglia di Nuto mentre Anguilla se ne andrà, di nuovo, non senza promettere il suo ritorno.

 

La luna segna i ritmi delle stagioni, i falò possono essere propiziatori, o nascondere, o distruggere. Una vita in fuga per raggiungere il luogo da cui è partito e ripartire per un equilibrio forse non ancora trovato seguendo la luna e cercando i falò della sua infanzia.

 

Fedeltà

Autore: Marco Missiroli

 

Giudizio: ****

 

È facile essere fedeli al proprio amore? Sì, no, forse, ma poi qual è la condizione migliore se la fedeltà è un "amore ridotto" rispetto all'"amore aumentato", pur in presenza del tradimento?

 

Una giovane coppia, lei agente immobiliare, lui docente universitario precario. Si amano eppure entrambi sono scossi dall'ipotesi del tradimento. Un tradimento che si insinua nelle loto teste e non recide il loro amore perché quell'amore non mette nel conto la fedeltà come possibile gancio per scardinarlo.

 

Lui è un "uomo incompiuto", vorrebbe scrivere, non riesce a farlo. Si invaghisce di una studentessa, ma si ferma perché anche il tradimento per lui è un atto incompiuto. Almeno qui, almeno ora. Poi si vedrà, come tutto, come sempre, si vedrà.

Lei è una donna volitiva, risoluta, determinata e quando trova la ragione per essere infedele lo è in modo deciso e solo una volta, ma vale per sempre. Nonostante abbia scelto l'"uomo sbagliato" che resterà un amico.

La studentessa trova rifugio affettivo nel negozio del padre e nel ricordo della madre. L'amante/amico di lei persegue una via agonistica nel combattimento, letteralmente incontrollato ed incontrollabile.

Le famiglie di provenienza sono luoghi di affetto e tormento, di preoccupazione e rifugio. L'ineffabile resta tale, macera, ma non rode. Inevitabile come il meteo che muta indipendentemente dalle tue speranze. Si torna sempre a casa, la casa che è tutto e per sempre.

 

Nulla è semplice se non sei disponibile a farlo risultare semplice e tutto è complicato se credi che possa essere meno complicato.

 

Filosofia da divano

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ***

 

Se state leggendo queste righe comodamente adagiati sul divano siete predisposti alla ribellione che, se non vi salverà la vita, potrebbe almeno salvarvi l'anima.

 

Si pensa al divano come al luogo di perdizione utile solo a far perdere tempo invece di produrre, correre, consumare. Detto altrimenti non solo un oggetto inutile, ma pure dannoso. Il divano è per il capitalismo quello che la kryptonite è per superman.

È giunto il momento di mettere a frutto l'impatto storico e culturale che ha il divano, cioè curare i semi sparsi perché possa esserci un ampio raccolto. Il divano è il luogo dove possiamo decidere di fare ciò che ci procura piacere, qualsiasi cosa essa sia, senza dover rendere conto a nessuno: accocolarsi con il proprio amore, leggere un libro o un fumetto, rivedere per la centesima volta un film di cui conosciamo i dialoghi a menadito e che però ogni volta accende un'appassionata e piacevole visione, ascoltare la musica preferita. Oppure dormire (sulla pennichella post prandiale ci sarebbe tanto da dire) ed in generale riposare, cosa massimamente inopportuna, azione della quale dovremmo solo vergognarci perché non porta a nulla. Avere cura del proprio piacere, qualunque esso sia, poter impiegare il proprio tempo libero dando respiro a noi, è tutt'altro che il nulla, è il tutto. Ma questo tutto non è nell'agenda di una società capitalista orientata al mero profitto. Oziare fa guadagnare chi ozia e non fa salire il pil.

 

Se avete un divano, una predisposizione a volervi bene, un'innata indole ribelle, una travolgente passione per assecondare i vostri piaceri, prendetevi qualche ora di tempo per leggere questo libro che attraversando storia e suggestioni di un oggetto di arredamento parla alle nostre anime.

 

Citofonare Hegel

Autore: Paolo Pagani

 

Giudizio: ***

 

I filosofi, e la loro filosofia, sono grimaldelli in grado di rovesciare il comune sentire e scardinare la realtà per indagarla. Rispondono in modo mai ovvio a questioni solo apparentemente ovvie. Non è spirito di contraddizione fine a sé stesso, ma spirito di esplorazione che non smette mai di stupire, anche a secoli di distanza quando, quelle stesse domande e le relative risposte, si dimostrano attuali più che mai.

 

L'autore presenta temi cruciali della nostra vita organizzando i contributi di filosofi e personaggi letterali che sembra parlino a noi oggi. Seppur molto anteriori al nostro quotidiano, questi contributi sono la scintilla scoccata su temi già scottanti nei tempi andati ed ancora presenti.

Contributi che si avviano con la tragedia della guerra che Kant abolirebbe a fronte di Tolstoj che la vede come accidente fatale ed inevitabile. Procedono sulla provvisorietà delle teorie scientifiche che per Popper non possono essere vere ed intoccabile per sempre. Eppoi ci imbattiamo in Bergson che ci dice come non sia possibile descrivere gli accadimenti della vita in una prospettiva calcolabile e quantitativa: le vite umane sono anche altro.

Ben altro, e ne è esempio una domanda attualissima: uomo o donna si nasce o si diventa? Se lo è chiesto la de Beaouvoir molto prima che venisse introdotto il concetto della fluidità di genere. Una volta non vi era dubbio alcuno, erano i genitali che sancivano il genere, ma la filosofa supera il primato meramente biologico ed approda ad una indagine culturale e politica. Socrate dà una sua risposta, seppur non strettamente connessa all'indagine della de Beaouvoir: l'uomo [e la donna] è la sua anima. Chiedere a Gulliver cosa possa significare questo quando ci si ritrova in un mondo differente dal proprio.

L'autore riserva un ampio spazio per tutto ciò che, a mio avviso, attiene alle "dinamiche sociali a distanza": il linguaggio, le fake news e la ragione. I sofisti, "artigiani della parola" (i migliori erano veri e propri artisti) capaci di dire tutto ed il contrario di tutto perché l'obiettivo non è la verità, che non esiste, ma persuadere l'interlocutore. Wittgenstein aggiunge un grado di difficoltà: i nostri pensieri sono ingabbiati dal nostro linguaggio e quindi, per loro natura, limitati dai limiti del linguaggio. Heiddeger ci parla dell'inautenticità, ovvero di quanto non corrisponda al vero quello che viene pubblicato sui social. È solo chiacchiericcio, viene pubblicato ciò che ci si attende. Sui social indossiamo l'armatura forte e romantica con la quale conquisteremo l'amore e la gloria come Don Chisciotte che combatte i mulini a vento per conquistare Dulcinea.

Non dobbiamo cercare di "scansare" i pregiudizi perché secondo Gadamer il superamento di ogni pregiudizio, apparirà a sua volta come un pregiudizio che pure è parte essenziale per interpretare ciò che leggiamo: il pregiudizio ci può aiutare a comprendere e non è necessariamente negativo. Sui social media siamo tutti dei Pinocchio, l'autore precisa insopportabili Pinocchio. Ci dichiariamo interessati ad apprendere, ma senza fare la fatica necessaria per apprendere. In fondo per lo scettico Pirrone non possiamo aspirare alla verità, possiamo solo accontentarci di ciò che percepiamo e rimanere imperturbabili e ricchi nella nostra assenza di opinioni proclamandoci liberi da qualsiasi dogma. Se non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, la realtà è un accumulo di punti di vista che non fanno luce sulla verità che siamo impossibilitati a conoscere. Cercare la verità è un'intenzione, ma come tutte le avventure umane è fallibile. Ed Husserl ci spiega come la realtà sia la composizione di diversi punti di vista soggettivi e sempre parziali.

Per tornare all'analogico l'autore affronta due colossi: lavoro e natura. Per il primo si chiede come sia stata possibile la sua svalutazione nonostante la prominenza valoriale nella nostra Costituzione. Marx ha intuito che il capitalismo è un sistema che conduce a periodici e distruttivi tracolli. Il capitalismo è cambiato dai tempi di Marx per sopravvivere e mantenere nel profitto la sola linea guida. Keynes cerca una via etica all'economia, ma tra le sue ricerche e soluzioni e le teorie di Marx troviamo il ragionier Fantozzi, sfruttato, vessato, umiliato, costretto a vivere per lavorare. Detto altrimenti, uno schiavo.

Non meno drammatiche sono le vicende che riguardano la natura. Secondo la teoria di Darwin non esiste un progetto universale precostituito dal Supremo che ha creato ogni cosa, ma il tutto che vediamo è risultato di lenta evoluzione. Quindi non un Dio, ma un Bio e, come per il contemporaneo Marx, si staglia sull'orizzonte l'idea che non è Dio che ha creato l'uomo, ma l'uomo che ha creato Dio. E dire che Darwin aspirava ad essere un religioso di campagna. Prima di questi due rivoluzionari frequentò questa pianeta un rabbino mancato, cacciato dal Portogallo perché ebreo ed accolto in Olanda, ma cacciato come eretico dalla sua comunità perché sosteneva che Dio è la Natura. Con tanti saluti all'immagine antropomorfa che ci siamo fatti del Creatore.

In conclusione la partita si gioca, tra due tedeschi e due francesi, su ragione e credere. Hegel che intorno e con la ragione costruisce un sistema mastodontico in grado di afferrare, collocare e spiegare il tutto attraverso la dialettica (ipotesi, tesi, sintesi). Sistema talmente potente che può essere utilizzato per smontare sé stesso (Marx docet). La ragione trova un'accezione ben diversa quando viene identificata dall'illuminista Voltaire come l'elemento essenziale per convivere. Senza la ragione sarebbe tutto un gran guazzabuglio. Come dargli torto?

Un altro francese, geniale, approda al credere per via matematica. È una scommessa statisticamente vincente e per lui la fede diventa anche l'unica cosa per cui valga la pena vivere. Al contrario il distruttivo Nietzsche, colui che filosofeggiava con il martello, vive la stagione in cui la scienza pare essere in grado di spiegare tutto. Viene meno la necessità dell'autorità cristiana perché sostituita dalla nuova autorità della scienza. Dio è morto e siamo noi che lo abbiamo ucciso.

 

Una lettura semplice, ma per nulla semplicistica. L'obiettivo di attualizzare pensatori passati sposa con chirurgica precisione temi che sono la nostra quotidianità. Citofonare ad Hegel è una sfida stimolante. In tutti i casi, se lo cercate, non fatelo all'ora di colazione perché sta leggendo il giornale, il social media ante litteram. Nessuno è esentato dal cercare di capire dove si trova ed ognuno deve avvalersi degli strumenti a sua disposizione, con l'accortezza di non farsi ingannare dagli stessi.

 

Il sospetto

Autore: Friedrich Dürrenmatt

 

Giudizio: ****

 

Il vecchio commissario si trova in ospedale dopo aver subito un difficile intervento chirurgico. L'operazione è andata a bene, ma la verità è che gli resterà ancora poco tempo da vivere. Cerca svago nelle riviste che sono a sua disposizione e si imbatte in una foto di un medico nazista che sta operando senza anestesia. La cosa lo disgusta al punto da mostrare la foto al suo amico medico che ne resta turbato. Non tanto e non solo per il pensiero di cosa rappresentasse quella foto, ma perché riconosce nel medico nazista un suo vecchio compagno universitario.

 

Il commissario, al quale viene comunicato dal suo superiore l'imminente pensionamento che avverrà in settimana, pur rimanendo fermo nel letto dell'ospedale, muove tutte le pedine ancora a sua disposizione per smontare l'alibi che lo stesso amico medico darebbe al suo ex compagno di corso, prima, e poi per verificare la correttezza del sospetto. È una questione di giustizia alla quale il commissario è destinato.

 

Saremo coinvolti in un'indagine metafisica perché puramente cerebrale, se così si può dire. In essa convergono le indoli dei protagonisti, a partire dal commissario che, nonostante tutto, non può arrendersi a non verificare il sospetto. Il dottore turbato anch'esso dal sospetto, ma impreparato ad affrontare sospetti che non conducono a diagnosi, ma che conducono al colpevole, ora divenuto il famoso medico dei ricchi in città. Apparirà anche un personaggio che in campo di concentramento subì un intervento senza anestesia e per questo fatto la sua vita ha ricevuto un destino ben determinato. Naturalmente troveremo anche il sospettato che sarà succosa portata di questo banchetto narrativo.

 

L'autore affronta il tema dell'ineludibilità delle scelte umane guidate dalle singole pulsioni delle persone. La paura, il piacere, la debolezza, la ricerca della verità come compito assoluto, l'opportunismo, la distrazione, l'innocenza e la colpevolezza sono presenti nei dialoghi e nei comportamenti cuciti addosso ad ognuno dei personaggi. Una pacificazione impossibile rispetto alle pulsioni incontrollabili ed, infine, incontrollate. In un finale letteralmente scandito come se fossimo in presenza di una bomba ad orologeria il sospetto si mostra per quello che è.

 

Bomba atomica

Autore: Roberto Mercadini

 

Giudizio: ***

 

Questa è la storia della Bomba. Quella bomba che portò Einstein a dire "Non so con quali armi verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre." (Fonte: wikipedia.it). Online però si trova anche una prosecuzione del ragionamento del grande fisico che dice "In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio". Quest'ultima affermazione, di cui non ero a conoscenza, si inserirebbe perfettamente nelle dinamiche scelte dall'autore per rappresentare la storia narrata in questo libro.

 

Un libro che racconta di come un "errore" possa diventare la scoperta (terrificante) del secolo che porterà un marziano (come tutti i fisici ungheresi vengono identificati) all'intuizione della possibilità di innescare una reazione a catena. Potrebbe essere una barzelletta: c'è un italiano (spaghetti), un ungherese (marziano), un americano (però comunista), ed un danese (il papa) che si trovano al bar. Poi ci sono i tedeschi che, nonostante siano geniacci, arrivano alla conclusione che la bomba non si può fare. Sì, si possono fare reattori nucleari che generano energia, ma non si possono trasportare su un aereo per bombardare il nemico. Tra i tedeschi ci sarà chi si dispera come un bambino al momento della scoperta che i nemici ci sono riusciti, che gli altri hanno visto quello che loro non hanno visto. Uno smacco accademico, con buona pace delle centinaia di migliaia di morti giapponesi.

C'è un filo conduttore che attraversa questa vicenda ed è l'idea che questa arma di distruzione di massa debba essere usata contro Hitler, il nemico mortale o sarebbe meglio scrivere contro il popolo tedesco. Però le vicende si svolgeranno in modo tale che sarà il popolo giapponese a subire il bombardamento.

La storia della Bomba è costellata di casualità che correggono percorsi o scelte errate per andare in direzioni giuste. È fatta da persone che da seconde diventano prime (Fermi), da persone chiamate a fare ciò che avrebbe dovuto fare qualcun'altro (Truman), da persone coinvolte casualmente nel progetto e che poi ne diventeranno i primi responsabili (Oppenheimer), da persone che capiscono sole e prima e contro tutti gli altri che Fermi non aveva creato un nuovo elemento chimico, ausonio, ma aveva scisso un atomo di uranio (Noddack), da persone date per finite, per la fisica, che però producono la scintilla ultima e necessaria in grado di realizzare l'innesco (Bohr).

 

Tutto è bene quel che finisce bene, se fosse una favola. Questa non è una favola è la rappresentazione di come il destino si concretizza per vie sghembe e per volontà umana e non per colpa di un destino cinico e baro. Qui il confine tra bene e male smette di avere quel significato granitico ed insuperabile perché siamo sicuri che un male usato a fin di bene possa essere riconosciuto come un bene? È l'umanità, baby.

 

Poco mossi gli altri mari

Autore: Alessandro Della Santunione

 

Giudizio: ***

 

Seppure in tutto c'è un equilibrio non è mai definitivo. Di definitivo c'è solo la morte e se quella scompare dalle buone abitudini tutto può essere e non essere, anche contemporaneamente.

 

Una decisione collettiva, molto seria e comunista ha un'inattesa conseguenza. La famiglia del protagonista decide di rimanere unita, per sempre. O meglio il lato materno della famiglia, perché il lato paterno non ci pensa un attimo e di loro si perdono le tracce.

Però nella famiglia unita si verifica un fatto impensabile del quale l'ideatore non poteva sapere: si smette di morire. Con tutte le novità e necessità organizzative che questo comporta. Sistemare stanze per mogli e mariti dei giovani che entrano in famiglia. Ma non solo perché la vita non è solo casalinga, si sviluppa e si misura anche con il confronto esterno. Le dinamiche e le inerzie tipiche del paese possono trovare difficoltà nel collocare luoghi e persone. L'ispezione dell'Inps non rileva alcuna irregolarità nell'assenza di decessi e tutto prosegue. Radio Campogalliano si sente forte e chiara con i giusti tempi ed argomenti, a suo modo migliore delle altre. Il frigorifero direttamente collegato alla Siberia è un gioiello di economia verde.

Eppure c'è qualcosa di imperfetto in questo progetto comune, come se l'eternità fosse troppo fragile per garantire un equilibrio eterno che sia amare la moglie, giocare a pallone, danzare in balera, donare sangue, capire la trisavola che quando parla in dialetto arcaico è incomprensibile. Questo equilibrio va ricercato nell'invenzione, o nella scoperta, o nella reinvenzione a partire dalla Festa de l'Unità e dal riutiluzzo delle Lire. L'eterno presente conduce alla nostalgia della nostalgia, per molti mai provata.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, si verifica un lutto. Il più inaspettato e supremo dei lutti possibili. Una nuova condizione che getterà nello sconforto alieno, seppure tangibile, che scuote nel profondo gli animi fino a quel momento protetti dalla morte.

 

La vita prosegue anche se non è la nostra, anche se non potremo raccontarla o sentirla, anche se non la capiamo perché così va la vita, avrebbe detto il buon caro vecchio Kurt Vonnegut.

 

La parola a don Chisciotte

Autore: Rick DuFer

 

Giudizio: ***

 

L'intervista come approfondimento di personaggi di fantasia è impossibile. Proprio per questo ne possiamo leggere ben nove (otto + una, ma con arguta giustificazione per l'ultima) perché è fantasia.

 

Queste interviste a personaggi, e non solo, di pura fantasia rappresentano un'appassionata indagine su quanto la lettura possa fornirci riscontri concreti e reali seppur passando da opere di fantasia. E non penso alla "morale" che ogni libro può o potrebbe annunciarci. Penso invece ad un gioco intellettuale che ci porta a conoscere ciò che l'autore vuole farci sapere per gioco, per esigenza personale, per convinzione. Esattamente come avviene in ogni intervista che ci mostra intervistatore ed intervistato.

 

In queste pagine si spazia, letteralmente, da colloqui con pianeti a deità dormienti, da conversazioni con amortali e androidi, a chiacchiere con padroni e servi, maghi e filosofi. E non è necessario avere una preparazione specifica sulle singole categorie "incarnate" dai personaggi di fantasia perché quanto serve per sapere di cosa si parla viene (de)scritto. Ogni personaggio è parto della fantasia di un padre (solo in un caso si deve parlare di madre) al quale potremmo perfino essere (dis)interessati. Perché è il potere della fantasia e non il mezzo incidentalmente umano che ci suggestiona.

 

L'autore invita a "concludere" il testo "redigendo" la personale decima intervista per portare a compimento l'opera raggiungendo il numero tondo per eccellenza. Personalmente credo che il numero nove, tre volte il numero perfetto tre, sia di per sé perfetto, ammesso che possa esistere un numero perfetto. Una lettura che mostra come nulla è impossibile anche se tutto è limitato.

 

Il tempo invecchia in fretta

Autore: Antonio Tabucchi

 

Giudizion: ****

 

Prendendo a prestito una parola dalla protagonista di uno dei racconti di questa raccolta si potrebbe dire carinissima. Tale termine, però, non si può utilizzare sempre. Prenderò quindi in prestito dalla stessa ragazzina la parola singolare perché, sì, questa raccolta di racconti è indubbiamente singolare. Il tempo è singolare pur essendo passato, presente e futuro, cioè molteplice.

 

Dal passato affiorano ricordi, veri o falsi che siano, e tracimano in un presente, dolente o leggero, ma necessario per guardare al futuro, qualunque esso sia. Ricordare la nonna che parla. Stare con la zia che si prende cura del bambino e trovarsi adulto con la schiena che duole, ma sempre con lei, in ospedale, per accompagnarla oltre. Conoscere l'amore, prometterlo e poi perderlo in una vita votata al Paese e sfregiata dalla sconfitta. Poi la riabilitazione ed arrivare al momento in cui si realizza che i tre giorni più belli della vita sono stati trascorsi giocando a scacchi ed andando a teatro con l'antico nemico, che nemico non era, comandava solo l'altra parte della barricata. Dichiararsi innamorato del film che non è mai stato girato, ma del quale sei stato promotore ed interprete. Godere della serenità raggiunta nonostante quello che sai e che non puoi dire. Ricordare quella canzone, cantata da una mamma con tra le braccia un bambino. Prevedere il futuro, diversamente segnato, leggendo le nubi con un signore ed una bambina sconosciuti eppure amici del mare. Sapere di essere in un posto che non è cambiato pur essendo diventato un altro posto. Vivere il racconto fino all'estremo dove non è possibile valicare la parola fine.

 

Il tempo ci accompagna imperturbabile ed eterno. Invecchia con noi e rende difficile l'orientamento tra passato, presente, futuro. Ed è questo che gli fa acquisire velocità o lentezza. In tutti i casi contraria a quanto noi vorremmo. Singolare e molteplice, il senso è comunque unico.

 

Sono mancato all'affetto dei miei cari

Autore: Andrea Vitali

 

Giudizio: ***

 

Un finale atteso già nel titolo, eppure a suo modo inaspettato, si manifesta in questo breve diario di un uomo semplice, orgoglioso, spigoloso che è marito, padre, commerciante.

 

Il negozio di ferramenta sotto casa è suo. La vita scandita dai perfetti orari di apertura: sveglia ore 6, apertura ore 7, pranzo servito dalla moglie alle 12.30, riposino pomeridiano e poi via, di nuovo in negozio fino alle 19. Alle 21,30 pronto a dormire nel letto dopo un assaggio già fatto sul divano. In questa quotidianità tutta la professionalità e tutto l'orgoglio di saper fare il suo mestiere e di sapere come si affronta la vita.

 

Eppure... eppure proprio la vita, così precisa, puntuale, professionale viene messa a dura prova dai cari perché il "mestiere" di marito e padre non è stato adeguatamente "curato" come fatto con i clienti. All'orizzonte si addensano le nubi dei tre figli che crescono e nessuno dei tre sarà in grado di dargli tranquillità prima e sicurezza poi.

 

Lui così sicuro nelle sue certezze, tanto che "se la cosa non ti sta bene la porta per uscire è sempre lì", si ritrova a ad affrontare situazioni inconcepibile create dal sangue del suo sangue, in parte dovute al suo agire ed in parte dovute al suo non agire. E gli errori, attivi e passivi che siano, vengono tutti al pettine prima del gran finale.

 

Smells like Kurt spirit

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

Ma cosa vuoi che sia una canzone?

Voglio solo che sia una rivoluzione.

E rivoluzione sia.

 

Quanto è bello, e devastante, poter fare la migliore cosa possibile e restare imprigionato nell'impossibilità di ciò che credevi possibile. Questo libro non racconta la storia di Kurt Cobain e dei Nirvana, o meglio racconta "solo" la loro intenzione, racconta "solo" la loro aspirazione. E quel "solo" è comunque tantissimo, talmente tanto che ancora oggi ci sono persone che indossano le loro magliette anche se, forse, per motivi diversi rispetto alle intenzioni.

Kurt ed i Nirvana hanno creato quella miscela da cui è scaturito un suono, ed una vita, diversamente punk, diversamente pop, diversamente rock. È quella cosa che è stata etichettata grunge perché ogni tassello dello spettacolo deve essere identificato e classificato per continuare a vendere e divertire, ma soprattutto a vendere.

La loro rivoluzione è immaginata prendendo il potere dall'interno del sistema per farlo marcire, ma senza mettere adeguatamente in conto che il sistema avrebbe proseguito imperterrito e si sarebbe alimentato della loro rivoluzione passando sopra la testa di tutti e di tutto. La generazione dei giovani apatici, dei giovani disinteressati a tutto, la generazione tradita da un mondo che nega un futuro, la generazione che non conosceva i Nirvana prima della fama, si appassionerà alle loro parole perché accompagnate da chitarre distorte avvinghiate a suadenti melodie pop. I Nirvana vengono compresi su un piano diverso rispetto a come Kurt avrebbe voluto fossero compresi. Quando un prodotto "si vende", seppur rivoluzionario, resta un prodotto che il pubblico consuma.

Kurt si sentirà marcire dentro perché anche lui ha tradito. Ha tradito chi doveva essere tradito perché fascista più del fascismo, quelli per cui l'indipendente non può esplorare altri generi e men che meno vendere, vendere tanto, ed ha tradito le persone alle quali voleva mostrare la rivoluzione di essere liberi di fare e dire ciò che a loro piaceva. Le persone non l'hanno capito e si sono innamorate del "prodotto". Si sono innamorate della rockstar senza cogliere il fatto che quella rockstar non era interessata a vendere il prodotto per marciare, ricca e maestosa, sulla strada del successo commerciale seppure Kurt volesse diventare una famosa rockstar. Contraddizioni ce ne sono e sono parte di quella generazione, dei diseredati e degli yuppie.

 

Nel nome, scelto non a caso per la band, si identifica quello stato che si raggiunge nel momento in cui c'è il superamento del dolore, di tutto il dolore. Un dolore fisico ed un dolore metafisico. Per il primo c'è l'eroina, per il secondo c'è la ricerca di una serenità che arriva quando si suona. Ma non bastano, non bastano mai e ne vuoi altro, e altro, e altro e gli intervalli tra l'uno e l'altro diventano sempre più insopportabili.

Sappiamo come è finita. Forse adesso pensiamo che non poteva finire diversamente perché era un "gioco" troppo grande o, forse, troppo ingenuo. L'ingenuità è uno schermo che protegge fino a che non si apre la porta che risucchia l'anima: mostra tutte le contraddizioni che portiamo con noi senza che lo schermo dell'ingenuità ci possa proteggere. Ora accendo lo stereo e torno ad essere il ventenne che aveva ascoltato, apprezzato, sognato e che non aveva capito.

 

Senza mai arrivare in cima. Viaggio in Himalaya

Autore: Paolo Cognetti

 

Giudizio: ***

 

Forse è proprio come se lo aspettava, certamente aggiornato dagli anni in cui qualcuno glielo ha "raccontato". Nel dubbio quel racconto se lo porta con se, nel suo zaino. Insieme a due amici che camminano al suo fianco.

 

Era un sogno che si avvera. Nel suo manifestarsi mi pare non ci sia nulla di avventuroso, come lo intendiamo abitualmente. Eppure l'avventura c'è già nei tre amici che decidono di fare quel viaggio per vedere luoghi che li accomunano, montanari, o alpinisti, o pittori, o scrittori che siano.

Il titolo già sottintende che l'avventura è esserci stati, non essere saliti sul picco. L'avventura sta nell'essere derubato in modo ingenuo proprio il giorno dell'arrivo. L'avventura sta nel conoscere una maestra che vive in un luogo da abbandonare quando arriva l'inverno, perché lì sarebbe troppo freddo, e raggiungere un altro luogo dopo 3/4 giorni di viaggio per insegnare ai suoi studenti. 3/4 giorni di viaggio è un tempo che si comprende solo se hai visto e camminato in quei territori per te che in 12 ore sei arrivato dell'Italia con l'aereo. L'avventura è non sapere nemmeno come si chiama questa maestra che parla un inglese inaspettato. L'avventura sta nel non ricordare come sei entrato in tenda e nel sacco a pelo e svegliarti alla mattina successiva chiedendo agli amici chi ti abbia aiutato. Non eri ubriaco, eri sotto gli effetti del male di altura che ti colpisce intorno ai 3mila e 500 metri. Tu non credevi saresti mai stato tanto in alto quanto la vetta del monte Bianco ed invece ora sei sopra quella quota, pur non avendo scalato. L'avventura è solo immaginare di aver visto il felino di quei territori perché è talmente abile nel mimetizzarsi che lui vede te, ma tu non vedi lui. L'avventura è adottare temporaneamente un cane che ti segue senza che tu sia il suo migliore amico. L'avventura è ricordarsi all'ultimo minuto di fare una foto di gruppo con tutti i ragazzi che hanno governato muli ed attrezzato i campi e preparato da mangiare per ogni freddissima notte. Poi c'è la storia, la geografia, la geopolitica, ma questa è un'altra avventura, parallela e diversa.

 

Poteva essere una semplice "scampagnata" ed invece è stata una splendida avventura.

 

Underworld

Autore: Don DeLillo

 

Giudizio: ****

 

Gli Stati Uniti d'America, le stelle e le strisce, danzano a partire da una partita di baseball che diventa l'epica dell'uno contro uno: Ettore contro Achille, Davide contro Golia. Tutti sono parte di una comunità ma, al tempo stesso, tutto si riduce al singolo contro il singolo, oppure all'amico verso l'amico. Che sia amicizia, fraternità,  amore, sesso occasionale, rancore è pur sempre la solitudine l'elemento comune.

 

Nell'epica scorre l'odio, l'amore, la paura, la rabbia, la delusione. In una parola scorre la vita di chi si ritrova solo anche quando è parte di una comunità.

Quindi i New York Giants contro i Brooklyn Dodgers diventano Thomson contro Branca. La Guerra Fredda e la rincorsa agli armamenti diventa la ragione di vita per americani e sovietici, ma è sempre un uno contro uno. Qui si racconta di Hoover e, seppur assente, possiamo immaginare l'omologo sovietico. Oggi ha vinto il secondo, ma domani... domani la gestione dei rifiuti diventerà essenziale e chi ha perso la "guerra fredda" si trova nella miserabile condizione di aiutare chi l'ha vinta grazie alla corsa agli armamenti. Non lo fa per altruismo, ma per denaro pur sapendo che il costo è infinito dolore umano. Dolore umano che accomuna vinti e vincitori.

Come per denaro, e dubbia autenticità, il romanzo viene attraversato da leggendari passamano della palla da baseball colpita e scagliata fuori campo nella partita che entra nella storia il 3 ottobre 1951. Noi che leggiamo sappiamo che è storia vera, ma i protagonisti ripongono solo fiducia in chi si trovano di fronte per il loro acquisto. Ed hanno ragione, è fiducia ben riposta, anche se non potranno mai dimostrarlo, anche se è dimostrarlo quello che conta.

 

Ogni data ha una storia, per alcuni l'una più fortunata di altre. Ed ogni storia è data di inizio dalla quale si dipana un'evoluzione tragica, o triste perché non può essere altrimenti. La gioia non è del sottomondo imprigionato in vite che non possono aspirare ad essere epiche perché invariabilmente identiche le une alle altre e senza gloria. La devota donna di origine irlandese abbandonata con due figli da un marito italoamericano di cui non si sa: è fuga o rapimento? La tragedia del figlio maggiore che accetta inconsapevole una sfida mortale dopo essersi innamorato di un'artista anaffettiva che rivedrà anni dopo. Il fratello minore che potrebbe essere campione di scacchi, ma che sceglie l'esercito per "scarso agonismo". Agonismo che non sa trasmettergli il maestro e dovrebbe trasmettergli un prete perché vincere non è uccidere. Il ragazzino nero che si intrufola nello stadio per la partita di baseball dell'anno e sa vincere la personale partita con il vicino, diventato amico fraterno come può accadere solo tra chi condivide la stessa fede sportiva, fino a che tra loro non ci si mette di mezzo la palla della gloria. Ragazzino che sarà poi sconfitto e tradito dal padre. Comico istrionico, ucciso dal suo istrionismo. Professore di scienze che si innamora e sposa l'artista; crede che lei non lo ami perché poco ambizioso, mentre lei non sa amare. Una suora rude ed acida che riesce a vedere la santità anche dove forse non c'è santità ma solo tragedia, quella tragedia che ha visto ed alimentato per anni. Il sottomondo che deve restare sepolto perché qui sono tutti vinti.

 

Questa non è l'America, questo è il sottomondo che raccoglie le vite di chi ce l'ha fatta e di chi non ce l'ha fatta secondo gli standard americani. L'America è i suoi standard. Standard rudi e puntuali tanto da far dire che Lenny Bruce, Clyde Tolson, Ralph Branca non ce l'hanno fatta pur facendocela. Un momento di gloria è pur sempre solo un momento mentre il sottomondo è un atteggiamento, un'intenzione dovuta alla quale è impossibile sottrarsi.

 

Tempo fuori luogo

Autore: Philip K. Dick

 

Giudizio: ****

 

Titolo che in Italia è tradotto anche "Tempo fuor di sesto".

 

Le esperienze che viviamo sono reali, ma non è detto che siano completamente vere.

 

Anni '50 del secolo scorso, quartiere residenziale di una tranquilla cittadina statunitense. Il protagonista, Ragle Gumm, vive a casa della sorella e del cognato la frustrazione di un uomo che non ha trovato lavoro, non ha trovato moglie, non ha messo su famiglia. Eppure è famoso, in città lo riconoscono e conoscono tutti perché ha un hobby nel quale è indiscutibilmente il migliore. Il quotidiano locale pubblica tutti i giorni un gioco a premi intitolato "Dove apparirà l'omino verde?" nel quale i partecipanti devono indovinare in quale casella di una scacchiera si troverà il personaggio del gioco. Ragle vince quasi tutti i giorni, la sua foto viene pubblicata sul giornale e lui diventa famoso, un vero eroe popolare.

In questo modo guadagna qualche dollaro, ma questo non modifica il suo malessere di vivere una vita diversa da quella che vorrebbe, da quella che hanno tutti. A peggiorare la sua situazione Ragle inizia a notare strane incongruenze, la sparizione della cordicella per accendere la luce del bagno, alcuni oggetti sostituiti da foglietti con su scritto il loro nome. Sospetta di essere malato di mente, ma scopre che anche ai parenti succedono cose anomale. Qualcosa di inspiegabile sta accadendo, questo pensiero si insinua nella mente di Ragle. La necessità di trovare una spiegazione condurrà il protagonista alla scoperta di una realtà inaspettata seppur pienamente giustificabile per chi l'ha creata. La vita del protagonista è la sua vita, ma modellata alle necessità di un bene superiore a lui oscurato per garantire la sua piena partecipazione ed affidabilità.

La sua non è malattia mentale, non è paranoia, esiste un vero e proprio complotto a fin di bene, ammesso che un complotto possa avere un fin di bene per colui che ne diventa oggetto e soggetto protagonista e dal quale dipendono le sorti del mondo intero così come conosciuto da Ragle stesso. Forse quello che lui vorrebbe per sé ma non gli è concesso.

 

Sette brevi lezioni sull'epicureismo. Epicuro e l'arte della felicità

Autore: John Sellars

 

Giudizio: ***

 

Sono solo sette e sono brevi, per davvero. Questa è una verità anche se quel che per l'autore e per me è breve potrebbe non esserlo per altri. Anche questa è una verità. Chi si aspetta qui valutazioni da "persona informata sui fatti", lasci perdere. Io sono all'oscuro di tutto, posso solo abbozzare la filosofia di Epicuro per tramite dell'autore affermandone la ragionevolezza e non la verità assoluta. 

 

Di che cosa abbiamo realmente bisogno per vivere una vita felice? La risposta che fornisce Epicuro è la tranquillità. Nulla di più lontano da quanto si possa immaginare per il filosofo tratteggiato come dedito a "sesso, droga e rock'n'roll" ante litteram nella comune non comune che fondò nei pressi di Atene. Per Epicuro la felicità sta nell'assenza del dolore, che sia fisico o dell'anima. In base al concetto attuale che tutti noi possiamo attribuire al termine "felicità" si può dire che Epicuro sia fuori tempo. Ed è letteralmente vero, ma possiamo escludere che la sua filosofia abbia un fondamento di verità? Forse no. Forse l'essere felici non è "il di più" a cui oggi tutto ci spinge.

 

Epicuro afferma che il dolore fisico può essere alleviato dal piacere mentale. Questo dolore è meno gravoso del dolore dell'anima perché se non è grave passerà in poco tempo, mentre se è più intenso cesserà rapidamente conducendo alla morte. In entrambi i casi ci si troverà nella condizione di "assenza del dolore". È possibile obiettare che non si potrà trovare felicità nella morte, ma Epicuro afferma che la morte è la condizione di non esistenza e quindi non paragonabile con la vita che è la condizione di esistenza. La morte è una cosa diversa e non deve spaventare perché, prima o poi, riguarderà con certezza tutti, e dopo di essa non esisterà più quell'io che provava dolore.

Epicuro è convinto che il dolore sia il male, mentre il piacere sia il bene purché ricercato in modo calcolato e non fine al suo mero inseguimento per perpetuarlo. Il dolore fisico può essere alleviato dal piacere mentale. Il ricordo di momenti piacevoli, la conversazione con un amico, possono aiutare e lenire il dolore. Ma non tutti gli atti di piacere sono privi di conseguenze dolorose e quindi il piacere deve essere ricercato con oculatezza.

Se avere fame è una sensazione dolorosa, al contrario essere sazi produce una sensazione di piacere e questo piacere non aumenta se continuiamo a mangiare, anzi, se proseguissimo potrebbe condurre ad una dolorosa indigestione. Se la povertà può gettare nello sconforto e nella dolorosa disperazione del non sapere come vivere, un'eccessiva ricchezza può generare la preoccupazione di come difendere i propri beni. Questo condurrebbe all'assenza di tranquillità che secondo Epicuro è la condizione necessaria per vivere una vita felice. La felicità è puntuale, quando la si raggiunge non può essere aumentata, anzi tentare di farlo potrebbe rendere infelici.

 

Per Epicuro una vita piacevole non è quella trascorsa tra feste, buon cibo e vino, piaceri carnali ma quella che affrontiamo nel sobrio ragionare che indaga cause e conseguenze di ogni atto da noi scelto o rifiutato. In particolare su dèi e destino dopo la morte, cioè quello che oggi chiameremmo soprannaturale, e che è fonte di profondo turbamento mentale che è superiore al dolore fisico. È vuota quella filosofia che non contribuisce a curare la malattia dell'anima. Quindi la filosofia come terapia per ricercare felicità, bene, piacere, la filosofia come terapia necessaria perché la vita è foriera di dolore e sofferenza da limitare e superare.

Per questo motivo è necessario osservare, studiare, capire. Non appaia quindi una stranezza gli studi che Epicuro dedicò alla natura ed alle condizioni meteorologiche. Sapere che le saette non sono lanciate in modo più o meno casuale da un dio furioso, poterle prevedere in qualche misura perché frutto di una combinazione di elementi naturali è condizione che dà all'essere umano tranquillità ed aiuta a trovare la serenità nel sapere che gli eventi accadono in quanto naturali e non sovrannaturali. Prova ne sia la lettera che Epicuro scrisse a un amico il giorno della sua morte. Tra i profondi dolori fisici a cui forse non era preparato, trovò sollievo scrivendo all'amico della persistente serenità e tranquillità raggiunta data dal fatto che, come era naturale, tutto quel dolore sarebbe finito in breve alleviato dal ricordo del piacere goduto in vita.

 

Rubrica "i Paralleli" - Linus - Gennaio 2023

Autore: Vanni Santoni

 

Giudizio: ****

 

Ho testé letto (testé? Ma come scrivi? Ti sei riletto?) la rubrica "i Paralleli" di Vanni Santoni su Linus (Linus chi? Il deejay o il giornaletto di fumetti? Vabbè, in ogni caso lascia perdere) che mi ha dato risposte, parziali, a personali riflessioni resilienti (resilienti? Fai abuso di termini abusati!). Partendo da Neil Gaiman (lo conosco di fama) che in un episodio minore di Sandman (questo proprio non lo conosco nemmeno di vista) lascia intendere che la maggiore preoccupazione degli scrittori è la sopravvivenza a catalogo dei propri libri (Neil è un cattivello oppure il pensiero ha attraversato la sua testa di persona personalmente afflitta da questa preoccupazione). A rafforzare questa tesi arriva a supporto Bolaño che ebbe a scrivere che il modo più sicuro per garantirsi tale privilegio è vincere il Nobel, oppure morire anzitempo (anzitempo? Sei più vecchio di tuo nonno da vecchio!).

Ed in effetti il parallelo di cui si legge nella rubrica si sviluppa raccontando di 4 libri capolavoro, 2 per ciascuno, di Vitaliano Trevisan e Abdulrazak Gurnah. Il primo defunto precocemente, il secondo vincitore del premio Nobel. Appunto.

 

Al di là di questo "attacco", secondo me assai felice nella rubrica di questo mese, e prescindendo dai 4 titoli di cui scrive con ampi elogi Santoni, libri che io non ho letto, il punto che dà una risposta, seppur parziale, al mio rovello (rovello? Ma tu ti devi far curare da uno bravo!) è laddove Santoni affronta l'accusa di scegliere nomi sconosciuti rivolta al comitato svedese. Lo fa affermando che qualsiasi lettore dovrebbe essere lieto del fatto che quei "buontemponi" da Stoccolma gli suggeriscono grandissimi autori da leggere a lui sconosciuti. La frase è declinata al maschile, ma vale anche al femminile. Questo sentimento di gratitudine però non si manifesta e, al contrario, scattano sentimenti di profonda indignazione. Perché? Qui Santoni mi apre gli occhi ed introduce il concetto che avevo escluso dalle mie miserrime riflessioni: la tifoseria. Ogni lettore vorrebbe vedere assegnato il riconoscimento del premio Nobel a chi piace a lui e spesso all'unico che conosce. Il che non significa che questo "escluso" non possa essere meritevole di gloria. Forse Borges e Roth non sarebbero stati meritevoli? Ma certamente esclude che possano essere tifoserie ad assegnare il Nobel. Le tante polemiche su questa materia che affolla periodicamente media e social media defluiscono dalle curve degli stadi come striscioni arrotolati sotto le braccia di tifosi arrabbiati per non aver visto vincere la squadra del cuore e non lieti per aver assistito ad una bellissima partita.

 

È il tifo, baby, a suo modo una poesia.

 

La bambina filosofica. Come rendersi impopolari

Autrice: Vanna Vinci

 

Giudizio: ***

 

L'impopolarità è la via per sopravvivere ad un presente che ti uccide nella rincorsa alla popolarità.

 

Chi potrebbe pensare quello che si trova in questa raccolta di aforismi disegnati? Nessuno tranne lei, la bambina filosofica. Lei sceglie il sentiero impervio, quello meno battuto che porta a rimirare in splendida solitudine un suggestivo tramonto che l'umanità non merita. Trovato un luogo comune molto frequentato la bambina filosofica lo ribalta, squassa con meticolosa perizia e fa in modo che il luogo comune stesso venga svuotato dal significato originale e ne assuma un altro. E lo splendido tramonto diventa alba.

La bambina filosofica ama cullarsi nel sentimento della distanza. Nulla le è troppo vicino, nemmeno i suoi pensieri. Che siano riottosi, pigri, incuranti, critici, sarcastici è il distacco tra lei e loro che li contraddistingue. Perché per rendersi veramente impopolare lo deve fare anche con sé stessa. È un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare.

 

In questo periodo natalizio leggere questo libro mi ha ricordato quanto la popolarità sia prodotto del marketing dei bisogni indotti ma non necessari. Il volume si legge in fretta, fa ridere, addirittura fa riflettere e non produce incubi notturni.

 

Filosofia di Fantozzi

Autore: Stefano Scrima

 

Giudizio: ****

 

A tutti succede di riconoscersi in quel servile, impacciato, sfortunatissimo ragionier Ugo Fantozzi. È un supereroe (post)moderno al pari di quel rissoso, irascibile, carissimo Braccio di Ferro. Ma Fantozzi è quello che perde, perde sempre, perde comunque, perde anche quando vince. Tanto che fantozziano diventa un aggettivo della lingua italiana: "Di persona, impacciato e servile con i superiori. Anche, di accadimento, penoso e ridicolo" (Fonte: treccani.it).

 

Fantozzi nasce, vive e soffre per farci ridere. Ridere nonostante tutto. Ridere della società in cui viviamo. Ridere dei canoni culturali che contraddistinguono le nostre esistenze. Ridere delle disgrazie altrui perché "meglio a lui che a me". Ridi che ti passa e fatti una risata ogni tanto perché tu non sei Fantozzi, sei solo tale e quale però in carne ed ossa. Quante volte hai programmato un fine settimana al mare e, dopo interminabili ore di coda al casello per colpa di un proditorio sciopero dei casellanti che rivendicano sul lavoro quello che tu non hai, arrivi in spiaggia ed inizia a piovere? Sei Fantozzi, fatto e finito.

 

Scrima ci racconta di come Paolo Villaggio innervi nel suo personaggio una profonda critica sociale e culturale. La catastrofe è sempre lì che aspetta Fantozzi, o come dicon tutti Fantocci, fulcro imprescindibile di un sistema dal quale non può sfuggire perché è la sua esistenza stessa che garantisce il perdurare del sistema. Serve un "ultimo" sul quale tutti possano contare per dimostrare la loro "forza", che sia il potentissimo presidente, come è umano lei, oppure colleghi assenteisti che lasciamo a Fantozzi l'incombenza di coprire le loro assenze. E l'unico sanzionato per assenteismo sarà il nostro fantozziano ragioniere.

 

Fantozzi cerca di districarsi da questa melma adottando pratiche analoghe a quelle che subisce, ma che invariabilmente gli si ritorcono contro per incapacità, goffaggine, vigliaccheria. Anche quando si ribella al vile destino da ragioniere Fantozzi è sempre lui a subirne le conseguenze. Ribellarsi all'ennesima visione del film colto, infrangere la vetrata dell'azienda, vincere a biliardo per un inaspettato scatto di orgoglio contro il mega dirigente che lo ha bullizzato per tutta la partita, consolare la figlia irrisa dalla direzione aziendale nel corso della recita natalizia, lottare per difendere la stima, e non l'amore, che la moglie ha nei suoi confronti.

 

L'infelicità aleggia come un avvoltoio nelle diseguaglianze di una società in cui tutti cercano di migliorare la propria condizione contro, e non con, gli altri. Fantozzi è emblema di tutti e di tutto, quando nacque dalla penna di Villaggio negli anni '70, ma lo resta ancora oggi in una società che è figlia di quella e che mantiene immutate le eredità più detestabili e deprecabili. Possiamo riderci sopra.

 

Ufo 78

Autore: Wu Ming

 

Giudizio: *****

 

La vita [e la morte] sul pianeta terra nel 1978, per citare in modo bislacco Giuseppe Genna, scrittore di cui viene citato un sogno dell'epoca.

 

Tasselli affastellati che, collocati nel modo più opportuno, vanno a ricomporre un puzzle tra gli infiniti puzzle possibili del 1978. Avvistamento di Ufo, rapimento ed uccisione di Aldo Moro, la lotta politica, la lotta armata, la scomparsa di ragazzi per colpa di alieni, la droga, le utopie di una comunità, le differenze sociali che esplodono, il malessere generazionale, la musica, l'amore e l'odio, Gladio, lo studio di parti di tutto questo perché non è possibile abbracciare tutto.

 

Al contrario questo romanzo abbraccia tutto. Dà una sola risposta attraverso la testimonianza di una bellissima foto, ipotizzandone le conseguenze, e narra le vicende che collegano in modo casuale persone lontanissime che in quel 1978 si ritrovano vicine fisicamente ed emotivamente.

Uno scrittore di successo, un paleocosmologo, viene attratto da una vicenda che è tanto personale quanto legata agli argomenti di cui lui si occupa. Una giovane antropologa viene attratta da una vicenda che è tanto legata agli interessi professionali quanto diventa poi personalissima. Un forestale di poche parole che, silenzioso, macera il dolore per la sparizione di due scout su un monte di cui è custode e sommo esperto. Ufologi che inseguono gli avvistamenti per smascherare l'inganno. Ufofili che sono interessati solo all'esperienza dell'avvistamento e non alla sua catalogazione. Un luogo "magico" di streghe, di alieni, di strategia della tensione e di guerra fredda. Una comunità di pari, che si dimostra essere utopia, in una lotta impari per la sua sopravvivenza e che per questa si trasforma perdendo cuori, amori, purezza, o ipotesi migliori per cui vale la pena vivere. Ex tossico dipendenti che, riusciti a trovare una misura di vita nella comunità, dubitano della forza che hanno trovato nella comunità, e che altri potrebbero trovare, e temono la loro debolezza.

 

Su queste vicende aleggiano tre scomparse eminenti: due giovanissimi scout sul monte Quarzerone, Jacopo e Margherita, ed Aldo Moro a Roma che scrive ai notabili del suo partito "Il sacrificio degli innocenti è inammissibile".

Questo libro è un'opera che squarcia un periodo della Repubblica italiana che non ha trovato le risposte a fronte delle tante domande che ci pone.

 

Comica finale

Autore: Kurt Vonnegut

 

Giudizio: ***

 

Come fortuna e sfortuna siano facce della stessa medaglia, comiche per le quali non possiamo che ridere perché così va la vita. E dopo un film serio arriva sempre la comica finale.

 

Una coppia di rampolli di famiglie ricchissime si sposa ed ha due gemelli, un maschio ed una femmina. Ma questi sono mostruosi, talmente brutti che i genitori decidono di segregarli in una delle loro residenze dove li vanno a trovare solo il giorno del compleanno. Per il resto dell'anno sono affidati alle cure di dipendenti. Uno dei due, il maschio, è l'autore di questa che può definirsi la cosa più prossima alla sua autobiografia che, però, inizia altrove.

E precisamente inizia quando lui, Presidente degli Stati Uniti di America, decaduto, vive sull'isola di Manhattan con una nipote sedicenne, incinta di un ragazzino coetaneo che vive con loro. Nella zona tutti, a parte un gruppo di sopravvissuti a qualche isolato di distanza, sono morti per colpa di virus e di una misteriosa malattia chiamata la morte verde. A questo va aggiunto che la forza di gravità del pianeta ha subito delle modifiche che hanno portato al collasso il Paese sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista economico. Gli Stati Uniti come li avevamo conosciuti non esistono più. Così va la vita.

È da queste condizioni che il Presidente Wilbur Rockefeller Swain Giunchiglia-11 inizia a scrivere la sua vita a partire da ciò che la sorella gemella, Eliza, ha rappresentato per lui. Infatti i due, completamente isolati dal mondo, maturarono la necessaria curiosità e capacità all'autoformazione, ma senza mostrarlo. Di anno in anno i genitori andavano a trovarli e li trovavano sempre mostruosi e stupidi, incapaci di qualsiasi possibilità relazionale non sapendo nemmeno parlare. In realtà i due avevano un'intelligenza straordinaria che si manifestava tanto più quanto più erano vicini. Grazie a queste stupefacente intelligenza impararono da soli la lingua, anche lingue antiche. Inoltre erano tra loro complementari: Wilbur sapeva leggere e scrivere perché questo era il suo compito nella coppia. Come se Wilbur ed Eliza fossero due parti separate dello stesso cervello: Wilbur la parte razionale e logica, Eliza la parte emozionale e creativa.

Il giorno del loro quindicesimo compleanno decisero di fare una sorpresa ai genitori. Capirono che mamma e papà non avrebbero retto alla persistente stupidità dei figli. Fino a quel momento l'avevano ritenuta necessaria in quella anomala dinamica familiare, ma ascoltando di nascosto parole terribili pronunciate dalla madre decisero di presentarsi per quello che erano diventati. Quindi parlarono e mostrarono le competenze acquisite avendo letto tutti i libri presenti nella residenza. Il colpo fu durissimo per i genitori, ma ebbe un risultato amaro per i due ragazzi. Siccome Eliza non sapeva né leggere né scrivere venne rinchiusa in una clinica psichiatrica mentre Wilbur, ritenuto più intelligente, fu mandato all'università a studiare medicina. Così va la vita.

Nel suo percorso universitario alquanto stentato, Wilbur sarà l'ultimo del suo corso, nasce un contenzioso con la sorella che riesce a sfuggire legalmente alla reclusione nella clinica psichiatrica incolpando la madre e Wilbur del suo tragico destino e chiedendo un risarcimento. Ma in fondo i due gemelli si vogliono bene e Wilbur, nonostante tutto, si impegna a garantire alla sorella tutte le opportunità che la porteranno a morire su Marte. Così va la vita.

Oltre alle angosce familiari Wilbur matura anche una intuizione che lo porterà alla presidenza. Sostiene infatti che la solitudine delle persone sta dilagando, il paese ha bisogno di famiglie allargate in modo tale che nessuno possa mai più essere solo. Per questo scopo adotta lo slogan elettorale "Non più soli". E la cosa funziona. Lui diventa Presidente degli Stati Uniti e ad ognuno viene assegnato un nome aggiuntivo che lo farà entrare a far parte di quel clan. Wilbur, per esempio, farà parte della famiglia allargata Giunchiglia di cui sarà fiero e riconosciuto componente fino alla morte. Così va la vita.

 

Il libro è dedicato a Stanlio ed Ollio che ancora oggi ci fanno ridere. Nella premessa dell'autore per l'edizione italiana, si trovano le ragioni per cui Vonnegut adottò tre nipoti, figli della sorella più giovane defunta, il viaggio fatto in aereo con il fratello maggiore per andare al funerale, quali fossero le profonde differenze tra i due ed il motivo per cui decise di iniziare a scrivere. È un racconto che da solo merita la lettura perché così va la vita.

 

Il giocatore

Autore: Fëdor Dostoevskij

 

Giudizio: ***

 

Il gioco vince su tutto, anche sull'amore. Parola di giocatore innamorato, ci scommetto!

 

Anche il più disinteressato può cadere nella trappola, lo testimonia il protagonista di questo romanzo, Aleksej. Questi inizialmente è un giocatore prudente ed oculato, letteralmente non interessato al gioco e costretto dalle richieste che gli fa la donna che ama seppur da lei non corrisposto, Polina. Lui è il precettore dei bambini della famiglia della donna il cui capofamiglia, un generale russo a riposo e follemente innamorato di mademoiselle Blanche, ha messo a rischio la stabilità economica della famiglia ipotecando i patrimoni familiari a favore di un marchese francese. Aleksej si dichiara a Polina disposto a tutto pur di entrare nelle sue grazie e la donna gli chiede di giocare per lei per garantire le finanze della famiglia messe a rischio dalla condotta del patrigno, il generale. 

 

La prudenza è eccessiva, il gioco non garantisce i risultati richiesti da Polina e quindi non resta altro che sperare nell'imminente morte della nonna che sta in Russia e nella sua eredità. Quotidiani telegrammi vengono spediti dalla Germania, dove alloggia la famiglia, in Russia per avere notizia sullo stato di salute dell'anziana signora che però si riprende e decide di raggiungere la turbolenta famigliola in Germania. Con irruenza e spavalderia anche lei si getta nel gioco chiedendo di essere accompagnata da Aleksej ed è un successo che la fa vincere una cifra clamorosa, anche grazie alla sua saggezza che le consente di staccarsi dal tavolo al momento opportuno. Però la notte non è buona consigliera e l'indomani, nonostante gli accorati appelli di Aleksej, la signora torna al tavolo e perde tutto, anzi più di tutto, tanto da dover tornare in Russia con il primo treno.

Quello che accadrà successivamente è un gorgo nel quale Aleksej viene trascinato. Persa ogni speranza per l'amore di Polina si getta anima e corpo nel gioco come unica ragione di vita, con un finale beffardo al quale Aleksej non si sottrae, anzi se ne rende artefice.

 

Non si può tralasciare che Dostoevskij scrisse questo romanzo nel momento in cui aveva perso tutto al gioco. Un contratto capestro, sottoscritto precedentemente con l'editore, lo costringeva a consegnare un romanzo in un tempo brevissimo per salvare i diritti di tutte le sue opere future. Raggiunse l'obiettivo solo grazie all'idea di amici che gli presentarono una valente dattilografa alla quale dettò il testo consegnandolo nei tempi richiesti. La ragazza era una sua ammiratrice e successivamente diventerà la sua seconda moglie. Tra gioco ed amore è una lotta eterna.

 

Mattatoio n. 5 ovvero la crociata dei bambini (rivista in fumetto)

Autori: Ryan North ed Albert Monteys

 

Giudizio: ****

 

Fumetto tratto dall'omonimo romanzo di Kurt Vonnegut

 

Alle prese con il racconto di una storia (vera), di satira e con una spruzzata di fantascientifico che rende il racconto molto più sorprendente di quanto già non sia, la riduzione in fumetto si presta in modo splendido per quei fortunati che non avessero già letto il romanzo di Vonnegut perché, quando giungerà il momento, avranno tra le mani un libro bellissimo da leggere dopo essersi dilettati in precedenza con il fumetto. Per chi avesse già letto Vonnegut a Dresda con altri bambini in guerra sarà un tuffo in un modo diverso di rileggere la stessa storia.

 

Il protagonista Billy Pilgrim è in perenne viaggio, ma in modo non ordinario, in un senso molto diverso da cosa si intende comunemente con il termine viaggio. A partire dall'abbracciare una fede religiosa che lo porterà in guerra, a ritrovarsi prigioniero di guerra a Dresda durante i bombardamenti degli alleati, dal venir riconosciuto malato di mente come reduce di guerra, a diventare un noto è ricco oculista con una famiglia che si "preoccupa" per lui, dal diventare amico di Kilgore Trout, a tenere conferenze come guida intellettuale del Paese perché ha capito alcune cose e le vuole condividere con il resto dell'umanità, fino alla morte. Così va la vita.

 

Amaro e divertente, non si può fare a meno di ridere e piangere perché ci si imbatte in sentimenti forti, seppure bislacchi e sghembi per come li intendiamo comunemente. Leggere il fumetto non è un surrogato del romanzo è solo una (possibile) rappresentazione, fedele nelle differenze, che trova spazio in un altro linguaggio. Un po' come gli abitanti del pianeta Tralfamadore hanno un'idea di tempo e di vita diversa da noi terrestri. La vita di Billy Pilgrim, tra un riavvolgi (reload), un manda avanti veloce (fast forward) ed un possibile ricomincia daccapo (rewind), prova a raccontarle entrambe.

 

Lo stadio di Wimbledon

Autore: Daniele Del Giudice

 

Giudizio: ***

 

Si può essere riconosciuto scrittore senza aver mai pubblicato nulla, ma solo per aver scritto tanto e detto altrettanto bene in vita.

 

Il protagonista inizia il viaggio alla ricerca di ciò che vuole trovare e, fatalità, il treno che lo trasporta ha un guasto. Succede a poca distanza dalla stazione, quando si dice la fortuna, ma quanto basta per rendere accidentato fin da subito il percorso che il protagonista vuole affrontare: ricostruire attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto la vicenda umana di Roberto Bazlen, scrittore defunto, ma per lui meritevole di memoria.

 

È Trieste la città dove si trova e dove tornerà diverse volte. È una libreria, quale altro posto sennò?, dalla quale parte ed alla quale ritorna per cercare di ricostruire i fili di questo personaggio che appare inafferrabile. Prima di spostarsi a Londra, in questa città parla con amici che rivelano aspetti prevedibili seppur sorprendenti: Bazlen era il più bravo di tutti, il più intelligente, meritevole di ben altro destino, ma proprio per questo non scrisse nulla perché quella scrittura non sarebbe stata all'altezza della sua bravura. Un destino ineguagliabile nel quale il suo stile è stato scrivere la vita degli altri in fitti carteggi privati.

 

Il protagonista si ritrova a percorrere le vie, i caffè, le piazze di Trieste sulle quali aleggiano Saba, Svevo, Montale e, per la sua ricerca, ricorre il nome di Ljuba Blumenthal indicata dai molti come colei che più potrebbe dire di e su Bazlen. Lei è ebrea, fuggita dall'Italia all'epoca delle leggi razziali, ora vive a Londra e precisamente a Wimbledon. Il protagonista la raggiunge ed ha due colloqui con lei che, anche se non portano a compimento la ricerca, aprono alla risposta di cosa possa significare scrivere e vivere che, forse, fin dall'inizio era l'obiettivo.

 

Elogio dell'idiozia

Autore: Rick Dufer

 

Giudizio: ***

 

L'idiozia è sfuggente anche se siamo indotti a non valutare questa sua scivolosità. Siamo spesso portati a pensarla come un monolite di facile identificazione (questa è pura idiozia, solo un idiota poteva fare quella cosa), ma ciò che è ancora più facile è identificare l'idiozia sempre esterna a noi. L'idiota è sempre l'altro, anche se a volte lo vediamo riflesso nello specchio.

 

Il mondo, la vita, sono colmi di idiozie e spesso sono quelle che diventano motore del mondo e della vita stessa, come conosciuti da noi oggi, anche se al primo impatto apparivano idiozie assolute. Detto altrimenti nel libro si evidenzia come l'uomo ha esplorato questo pianeta (in senso ampio e per ogni disciplina), spesso contro il comune buon senso, apparendo un vero idiota per i contemporanei. Eppure senza questa idiozia di partenza forse oggi non potremmo elencare tutto quello che con idee idiote abbiamo scoperto. Del resto qual è quell'idiota che, a rischio della propria vita, si imbarcherebbe sedendo su una "bomba" per essere sparato nell'inesplorato spazio ed arrivare sulla luna? Ci sarà certamente un idiota che affermerà che non può esistere idiozia più grande, da cui consegue che nessun uomo ha calpestato il suolo lunare. Il dibattito è aperto.

Da questo punto di vista l'autore gratifica il lettore con passaggi consolatori ed al tempo stesso lo annichilisce: quando scrive che il seme dell'idiozia alberga in tutti, includendo per primo sé stesso, intende proprio tutti e quindi anche il lettore che sta leggendo le pagine del libro. È consolatorio perché il lettore sta leggendo l'elogio di sé stesso, ma negli aspetti che più vorrebbe nascondere. Così va la vita (cit. Vonnegut).

Qualcuno potrebbe uscire dalla lettura del libro pensando "che idiozia ho fatto leggendo questo libro" e qualcun altro potrebbe pensare l'esatto opposto, eppure entrambi hanno una cosa che li accomuna: sono portatori del seme di idiozia che alberga in ognuno, ma che riconoscono solo nell'altro. Stupefacente.

 

L'autore rivendica il diritto ad essere idiota, ma non come l'inafferrabile modo d'esistere in antitesi all'intelligenza genericamente intesa, bensì come possibile ipotesi di intensificazione del pensiero e delle azioni che conducono alla genialità. Va inteso: non tutte le cose idiote diventano geniali. Se in Italia il codice della strada prevede di tenere la destra è idiota tenere la sinistra ed in questo non c'è nulla di geniale. L'idiozia è quindi una scintilla che può condurre alla fiamma della genialità solo se quella scintilla attecchisce su un materiale combustibile e controllabile che non diventi distruttivo. Detto con le parole dell'autore che la definisco "l'idiozia è ignoranza incolpevole in movimento".

 

Infine mi è parso molto interessante la parte conclusiva del testo nella quale vengono presentati tre "brillanti idioti", diventati autori di culto, che hanno costruito un universo letterario: Lovecraft, Dick, Tolkien. Ognuno con la propria prospettiva letteraria e seguendo una propria direzione hanno esplorato universi da loro immaginati e costruiti e dai quali, io per primo, in molti abbiamo attinto sollecitazioni, stimoli, piacere. È o non è un'idiozia? Io non mi sbilancio, ho la presunzione di essere troppo idiota per farlo.

 

Il metodo del dottor Fonseca

Autore: Andrea Vitali

 

Giudizio: ***

 

In un luogo di nessuno, accade ciò che nessuno potrebbe accettare, tranne l'uomo, il miglior predatore sulla faccia della terra.

 

Al protagonista viene assegnato, finalmente, un nuovo incarico operativo dopo mesi di "reclusione" alla scrivania a redigere e sistemare scartoffie. Motivo di tale pena un "eccesso di zelo", o tragica spavalderia, se così possiamo definire l'uso improprio dell'arma nel corso di una operazione.

 

Sta di fatto che questa repentina riabilitazione ha il sapore della beffa. Infatti è sì un caso di omicidio, ma apparentemente è già stato risolto dalle autorità locali di un luogo ameno che si trova sperduto lungo il confine. Sia come sia, questa notizia viene comunque accolta dal protagonista con il dovuto entusiasmo perché gli consentirà due "giorni d'aria" da quella maledetta scrivania.

 

Eppure, forse, le cose non stanno proprio come gliele ha presentate il suo capo. Forse il fiuto dell'investigatore che, nonostante l'evidente sciatteria professionale che alberga nel protagonista, gli fa notare alcune cose "strane" fino a pensare che il colpevole, non ancora arrestato, sia solo un capro espiatorio. Un capro espiatorio utile a coprire altro di cui però nulla si immagina. In questo ha un ruolo fondamentale la conoscenza dell'unico altro ospite dell'albergo del paesino che si trova lì per aver accompagnato il fratello in una rinomata clinica che ha sede vicino al paese.

 

Da questi elementi nasce una ricostruzione dei fatti sorprendente sotto molti punti di vista e decisamente inattesa di cui nulla si può dire. Buona lettura.

 

Il prigioniero dell'interno 7

Autore: Marco Presta

 

Giudizio: ***

 

Una pandemia che, nelle dinamiche alle quali ha costretto tutte le persone, dona una maggiore consapevolezza al prigioniero: non è solo come vorrebbe.

 

Il protagonista scrive pezzi satirici sulla realtà che sbircia da articoli e da titoli di giornali. Estrae ogni elemento, più o meno ridicolo, facendone satira di costume. Ride e noi, con lui, ridiamo di noi. Forse per questo è riluttante a far parte di un tutto più grande del suo tutto ma, costretto dai fatti, deve accorgersi della vita vera che accade come un fatto di cronaca nel suo condominio.

 

Scopre un gentile ed austero vicino di pianerottolo che perde la memoria e che deve aiutare perché letteralmente solo al mondo. Si accorge di una coppia in difficoltà perché il marito deve chiudere il bar per la pandemia, appena aperto, restando privi di reddito. È costretto ad interloquire con la vicina no vax che poi si scopre essere donna non così supponente come appare, tanto da sapersi prendere cura di chi ha bisogno. Viene coinvolto in gesti di altruismo imposto da un'altra vicina, tanto insistente quanto dolce, da indurlo ad un clamoroso qui pro quo. Capisce che la vicina del piano di sopra "affitta" il cane per dare un alibi a chi non avrebbe giustificazione per uscire di casa nel corso della pandemia ed anche lui, preso da sconforto, potrà ricorrere a questo espediente. Si affeziona alla comodità dell'acquisto e consegna a domicilio dei generi alimentari. Non e-commerce su scala industriale, ma rivitalizzazione di un rapporto tra consumatore ed esercente sulle basi dell'umanità che passa da un filo telefonico ed il titolare che ti porta a casa la spesa.

 

In tutto questo trova il tempo di litigare con un collega scrittore, dalla nomea altisonante, ma riuscendo poi a recuperare il litigio, che subisce e che non voleva, con un atto di devozione che fatica a spiegarsi.

Poi, inattesa, è costretto alla convivenza con la fidanzata che credeva persa. Lei si presenta a casa sua e lì si piazza, la donna dei suoi sogni per la quale il protagonista si chiede come possa avere scelto lui tra i tanti migliori di lui. Lei è sfuggente e difficile da "gestire" nelle dinamiche della convivenza, ma è il suo amore, oppure così appare.

Infine la madre, vive lontana in un'altra città e sta sola con una badante. La sente con regolarità pagando lo scotto del senso di colpa del figlio degenere che non si occupa adeguatamente del genitore. Anche della madre scoprirà cose inattese che alla fine, insieme a tutte le scoperte fatte nel corso della pandemia, arricchiranno la vita del protagonista che sarà, da quel momento in poi, lontana dalla vita precedente.

 

Divertente e leggero quanto basta da lasciarci lo spazio per pensare a tutte quelle cose che ci circondano ed alle quali non facciamo caso.

 

La ragazza con la Leica

Autrice: Helena Janeczek

 

Giudizio: ***

 

La ragazza con la macchina fotografica è una stella. Attorno a lei ruotano astri di una galassia audace e indomita, capace di gioia, amore, malinconia.

 

Gerda, protagonista per sempre nel ricordo di vite appassionate, muore giovane, bella ed amata. È la prima fotografa morta nel corso della guerra civile di Spagna. Gli amici le sopravvivono nel dolore e nel rimpianto di ciò che lei rappresentò per ognuno di loro. Gerda era la gioia di vivere determinata dalla libertà che sapeva prendersi, nonostante tutti e tutto. Gerda sapeva far ridere e disperare, dava il brio sincero ad una situazione altrimenti devastante: l'avvento del nazismo, le leggi razziali, la difesa della repubblica spagnola. Quella Gerda che era tedesca, ebrea e di sinistra.

 

Gli amici, ognuno dei quali a suo modo sapeva brillare di luce propria, restano legati a lei per quello che era stata e per quello che ognuno di loro aveva provato nei suoi confronti. Robert le insegnò ad usare la Leica. Furono felici come due compagni in lotta per la Repubblica spagnola. Ruth l'amica premurosa di una vita troppo breve. Con Gerda fuggirono dalla Germania per Parigi e fu compagna pronta ad affrontare le difficoltà alle quali la vita le sottopose. Willy l'amico fedele e non amato come lui avrebbe voluto. Georg il compagno impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali ed attraverso il quale sarà possibile il rocambolesco recupero di alcune foto.

Gerda è stata capace di deluderli e ferirli un po' tutti ma, a suo modo, di farsi perdonare ed amare per la sua gioia di vivere, nonostante tutto, per la ricerca di libertà che è tale solo se è di tutti e per tutti. Un inno al fare ciò che si ritiene sia più giusto, nonostante i rischi che ciò comporta e con Gerda ogni cosa appariva possibile e giusta.

 

La lentezza

Autore: Milan Kundera 

 

Giudizio: **** 

 

Il passato si affaccia sul presente in un castello riadattato per diventare albergo, con tanto di piscina, dove si intrecciano due storie amorose distanti tra loro due secoli tra Vincent e Julie e Madame de T. ed il Cavaliere.

 

L'amore, se così possiamo chiamare ciò che sarebbe più appropriato chiamare piacere, è il fondale sul quale viene tratteggiato il fatale incrocio dell'essere e dell'apparire in ogni aspetto della vita e non solo in amore. La sottile macchinazione di Madame de T. lascerà il Cavaliere senza amore, ma non senza una notte di passione. E la folle visione ed audace passione di Vincent lascerà lui e Julie altrettanto spogliati di ciò che, per un momento, hanno pensato potesse essere amore.

 

L'intreccio delle diverse storie introduce "maschere" tutte pronte a giocare un ruolo da protagonista se non indossassero il travestimento a loro concesso. Vincent, amico di Pontevin, vive di riflesso della saggezza e dell'arguzia dell'amico cercando invano di imitarlo, ma senza averne doti dialettiche e vocali. Julie, dimessa e posta in disparte sulla scena, vede in Vincent il suo possibile "salvatore" al quale si concede con tutto il corpo, più che con l'anima. Pontevin stesso può contare su una corte di amici che lo assecondano e lo riconoscono come loro mentore sagace e pronto ad indicare tutti i mali ed i vizi dei personaggi pubblici. Berck, uomo politico oggetto delle feroci critiche di Pontevin, più interessato al prestigio mediatico che a quello morale. Immacolata, ex amata da parte di Berck, che lo scaricò in gioventù e che ora lo vuole riconquistare a costo di distruggere il suo attuale compagno più che il loro rapporto. Il professore del quale nessuno sa né pronunciare né scrivere il nome, entomologo ceco emarginato dal regime comunista e costretto a vivere facendo il muratore, crede nel riscatto che gli offre l'occidente, ma si accorge che è solo opportunismo senza capirne il senso, come se fosse un marziano sceso sulla terra e si culla nella forza fisica che gli ha dato fare il muratore per vent'anni.

 

In questo gioco di maschere, a volte tragiche, a volte comiche, l'autore, per bocca di Pontevin, introduce la figura del "ballerino". Il "ballerino" cerca costantemente attenzioni e gratificazioni da un pubblico plaudente. E se per errore non le trovasse le insegue ossessivamente. Si pone sempre dalla "parte giusta", purché in favore di telecamera. Sfiderà il mondo intero, i suoi avversari, ma non assumerà nessuna responsabilità affinché quella "parte giusta" possa avere ragione perché lui si sarà già spostato sul palco. In fondo il "ballerino" si muove velocemente e con grazia all'interno di ciò che per lui altro non è che una finzione, funzionale al racconto di sé che vuole comporre.

In queste vicende il tema della lentezza sembra fuori luogo e parrebbe più appropriato il suo contrario. La velocità con la quale Berck passa dalla solidarietà ai malati di AIDS alla solidarietà ai bambini somali, la velocità con cui Vincent trova e disperde l'amore di Julie, la velocità con cui il professore ceco si rivela uno specchietto per le allodole del quale non si conosce e non si vuol sapere nulla di più che la sua presenza in sala. Queste "velocità" assumono tutte valori negativi facendo emergere come la lentezza sia la condizione migliore da ricercare.

 

Un titolo da leggere in negativo rispetto ai contenuti.

 

L'alba dei nuovi dèi. Da Platone ai Big data

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

Giudizio: ***

 

Potrebbe non essere un'apocalisse se... dietro questo "se" la ricostruzione di un percorso lungo millenni e la prese d'atto che potrebbe essere il momento di rimettersi in cammino.

 

La filosofia nasce in un momento di rottura nel quale l'uomo si libera dal "dio che parla nella sua testa" e si rende consapevole del proprio pensare, del proprio ragionare in autonomia. Gli eroi dell'antica Grecia sono uomini che agiscono su "suggerimento divino", la nascita della filosofia introduce l'elemento di rottura di questa "sensazione". Induce la consapevolezza che il pensiero è proprio dell'essere umano e non un suggerimento divino. Socrate ancora "sentiva un demone" che lo induceva a fare la cosa giusta, ma con Platone questa sensazione viene superata. Questo elemento di "rottura", insanabile, garantirà i progressi della Ragione e la fuga dagli dèi. A partire da Platone, per arrivare ai giorni nostri passando dall'illuminismo, viene costruita una scenografia di certezze provate, illustrate, approfondite, migliorate. Tutte le certezze che oggi noi ci portiamo appresso e che ora non ci paiono così evidenti.

 

I due autori mettono in parallelo la situazione in cui nasce la filosofia, così come l'abbiamo conosciuta per oltre due millenni, con l'attuale situazione nella quale si trova l'essere umano. Allora ci fu una crisi dovuta alla frattura tra gli dèi e l'umanità. Tale crisi fu affrontata, ma non sanata dalla filosofia. Ed oggi, carichi delle scoperte dovute al percorso della Ragione, ci troviamo in una società in crisi nella quale vengono meno le certezze che credevamo consolidate. Ora dobbiamo capire cosa vogliamo e cogliere dalle nuove condizioni che si sono create quegli elementi che potrebbero essere un'opportunità per evitare l'imminente apocalisse. Difficile, ma non impossibile purché si tenga presente il nuovo "ecosistema" in cui siamo collocati. Isolati, alienati, precarizzati, bombardati da informazioni che ci raggiungono in tempo reale sui nostri smartphone, ci sentiamo persi ed abbandonati nella tempesta. Abbiamo creduto di potere tutto ed ora abbiamo il riscontro tangibile di essere impotenti di fronte alla realtà da affrontare. Forse è giunto il momento di fare i conti con l'incertezza che sarà sempre presente perché non potremo avere tutto sotto controllo anche se, creando le "opportune reti di salvataggio", potremmo ragionevolmente affrontare il futuro con maggiore fiducia. I nodi delle reti non sono solo discipline interlacciate, ma sono esseri umani in grado di affrontare insieme gli inevitabili rischi.

 

Spinoza e popcorn

Autore: Rick DuFer

 

Giudizio: ***

 

Una "spensierata" passeggiata tra filosofia, serie televisive e realtà. Quest'ultima indagata dalla prima e utilizzata dalle seconde per raccontare "storie che non sono la realtà", ma che si agganciano al pensiero filosofico. Roba da passeggiate tutt'altro che "spensierate": oddio!, la filosofia anche quando non voglio pensare! Maledetta!

 

Ho conosciuto questo autore in modo casuale, cercando online le ragioni (inesistenti) per cui la cultura russa è stata messa al bando come "effetto collaterale" della guerra di invasione che la Russia ha scatenato nei confronti dell'Ucraina (come se avessimo smesso di leggere e studiare Goethe, Schopenhauer, Hesse, Brecht, pochi tra i molti altri, per colpa dell'Olocausto) ed ho scoperto un autore curioso.

Per pari curiosità ho letto questo libro che analizza quanto l'influenza di grandi filosofi abbia riscontri nelle sceneggiature delle moderne serie televisive. La filosofia, che nel luogo comune esiste solo in trattati ostici e spesso imperscrutabili per i non addetti ai lavori, qui viene presentata come parte fondante di serie televisive che guardiamo per diletto o per svago e che concedono per qualche ora di sganciarci dalla realtà spesso grigia, certamente difficoltosa ed ansiogena.

 

Il titolo stesso dà il senso della misura irriverente e consapevole di ciò che si trova nel libro: quanto di più sacro alla cultura, il filosofo per eccellenza, unito alla pratica più disimpegnata dell'intrattenimento accompagnato dai popcorn. L'autore però ci mette in guardia fin dalle premesse: questo libro non è il "manuale" adatto per studiare la filosofia. Per fare questo si devono leggere i testi dei filosofi. Semmai nel libro si troveranno spunti di riflessione curiosi e sorprendenti che potrebbero spingere ad approfondimenti illuminanti. E se mai qualcuno per "colpa" di questi approfondimenti diventasse un "filosofo", potrà scrivere nelle sue note biografiche che si è appassionato alla filosofia perché, in un libro assai divertente, lesse delle implicazioni filosofiche presenti nelle sue serie TV preferite.

 

Il quartetto Razumovsky

Autore: Paolo Maurensig

 

Giudizio: ***

 

La memoria, il timore di perderla e non poter dare la propria versione dei fatti. Tra questi un grande segreto, anzi due grandi segreti, l'uno inopportuno all'altro, l'altro inopportuno a dirsi al mondo. Quale l'uno, quale l'altro, poco importa.

 

Il narratore racconta in prima persona la propria vita, ora che è vecchio e prossimo alla morte, ma più prossimo di quanto potrebbe essere naturale per un vecchio come lui. Narra del personale orgoglio di aver fatto parte del quartetto Razumovsky. Erano giovani, erano i più bravi, erano i più apprezzati. Poi la guerra e la fine di tutto, la fine del sogno di gloria eterna. Quindi la necessità di fuggire dalla Germania distrutta e ricostruire una vita nuova negli Stati Uniti. Nuova, ma non per tutto: i segreti che nasconde lo accompagneranno in ogni cittadina nella quale andrà ad abitare libero seppure fuggiasco a sé stesso ed al mondo intero.

 

In questo girovagare senza voler mettere radici, per caso, incontra un componente del quartetto che lo porta ad incontrarne un altro ancora, il leader del gruppo. Riprendono a suonare e riprendono a sognare. Il timore che i grandi segreti vengano scoperti, perché entrambi legati al quartetto, aleggia in modo persistente eppure suonare sublima tutto.

È impossibile ricomporre il quartetto originale perché la quarta componente, anch'essa approdata negli USA, è affetta da un male degenerativo e non può suonare, non può parlare ed il vecchio protagonista spera che non possa nemmeno ricordare. Questo è un bene per i suoi segreti indicibili ed il quarto componente viene ricoperto da una ragazzina americana che poi avrà una brillante carriera come solista. Tutto scorre fino alle prove generali prima dello spettacolo che, per scelta del leader, sarà anche quello finale. Tutto giunge a compimento e la vicenda prende un'accelerazione tale che costringe il vecchio a ricordare.

 

Auto da fé

Autore: Elias Canetti

 

Giudizio: ***

 

La realtà può essere comica, grottesca, crudele, meschina e in nessun caso può essere interpretata da un essere solo ed incapace di vederla per quello che è e non per quello che vorrebbe fosse.

 

Kien, sinologo di fama internazionale, vive in un appartamento nel quale custodisce migliaia di testi preziosissimi che ha letto e studiato. Li padroneggia e li ama come null'altro al mondo, sono la sua vita e la sua fede. Non crede nell'umanità, a partire dai colleghi professori, e diffida del mondo non curandosi delle necessità della vita. Quando esce dal suo mondo, i libri, trova il mondo reale nel quale è sperso, fuori luogo, goffo, grottesco. È cosciente della sua grande statura intellettuale che ostenta e non riesce a conciliarsi con la vita reale che per lui è solo leggere e studiare, null'altro. Lui è destinato a questo e non sa e non vuole occuparsi delle miserie umane come cucinare e tenere casa in ordine.

Per queste inutili piccolezze c'è Therese, la governante. I due sono quanto di più lontano si possa immaginare: se l'uno cita Confucio, l'altra parla dei prezzi al mercato e delle sue innate virtù domestiche e morali. Nonostante questa lontananza i due si sposano: l'uno per essere sgravato definitivamente da tutto ciò che non è la lettura, l'altra per un malinteso miglioramento della condizione sociale. Un matrimonio grottesco che trova ragione nella comunione di intenti che rafforzano l'esclusione del mondo al quale appartiene il congiunto.

Le loro vite si attorcigliano in un crescendo di tensione tra i due ai quali si affiancano altri grotteschi personaggi come il portiere, ex poliziotto in pensione, figure dei bassifondi di Vienna che Kien frequenta una volta cacciato da casa ed infine il fratello di Kien che potrebbe portare equilibrio, ma vi riesce solo in modo apparente separando ciò che era stato unito in modo forzoso e maldestro. Il finale sarà sfavillante, luminoso, caldo, inevitabile.

 

Per me una lettura ostica, colma di situazioni surreali alle quali puoi dare credito solo se volti pagina scoprendo che quanto raccontato nella pagina precedente è necessario preambolo di una situazione ancora più grottesca. Viene rappresentata la fotografia di una società colma di individualità che interpretano il vicino come un antagonista e scelgono, e cambiano, le alleanze in funzione di un beneficio personale immediato. Su tutto aleggia la superbia dei personaggi ognuno dei quali mette sé stesso su un piedistallo: Kien il più grande sinologo mondiale, Therese la cui statura morale è inarrivabile, l'irreprensibile Pfaff, ora portiere, ma ex poliziotto integerrimo, Fischerle il più grande scacchista del mondo temuto dal campione mondiale Capablanca, lo stesso fratello di Kien preso dalla sua missione di psichiatra che ottiene riconoscimenti ed apprezzamenti da colleghi e pazienti. Tutti capaci di vedere solo in sé stessi una reale consistenza e contribuendo a creare un insieme di egoismi ed opportunismi collettivi.

 

Solaris

Autore: Stanislaw Lem

 

Giudizio: ****

 

In questo libro non si narra solo di un'esplorazione spaziale, ma si descrive anche la più ostica e travolgente esplorazione dell'anima, se così possiamo chiamare tutto ciò che sono i sentimenti, i ricordi, le relazioni con altre entità intelligenti raccolti come esperienze di un essere umano.

 

Solaris è un pianeta che gravita intorno a due stelle, particolarità che lo rende interessante per gli scienziati. Il pianeta è ricoperto da un oceano gelatinoso che pare sia il reale artefice della possibilità, che nega le leggi della fisica terrestre, di gravitare intorno a due stelle. Partendo da queste basi viene addirittura creata una disciplina, chiamata Solaristica, che è impegnata ad indagare questo strano pianeta. Dagli studi pionieristici emerge che l'oceano potrebbe essere qualcosa di più e di diverso rispetto all'iniziale ipotesi di soggetto fisico che regola le dinamiche gravitazionali. Alcuni scienziati valutano che l'oceano sia un vero e proprio essere pensante, dotato di intelligenza propria, ovvero che sia un essere vivente, l'unico abitante del pianeta secondo il metro umano.

L'attività dell'oceano si manifesta in modo mastodontico ed incomprensibile. Genera complicate e gigantesche strutture che persistono per un certo periodo e poi si sciolgono. Gli scienziati hanno catalogato tali manifestazioni della natura Solaristica e le hanno esplorate dando loro nomi stranissimi. Queste esplorazioni purtroppo costano la vita a diversi scienziati e piloti anche se il protagonista, Kris, intravede negli incidenti una strana avventatezza degli esploratori più che una reale intenzione dell'oceano di "difendersi". L'oceano pare ritrarsi per accogliere, per lasciar vedere fin dove è possibile. È l'uomo che si trova davanti all'inatteso e non riesce a gestire la novità.

 

Kris è uno psicologo e viene comandato a raggiungere tre colleghi scienziati sulla base del pianeta sospesa a diversi chilometri dall'oceano. Al suo arrivo viene accolto da un collega, Snaut, che parla in modo illogico quasi a voler nascondere qualcosa ed al tempo stesso voler mettere in guardia il nuovo arrivato. L'evoluzione dei primi accadimenti sul pianeta porteranno il protagonista ad incontri strazianti e dolci, inspiegabili e reali. Sarà l'inatteso che dovrà gestire.

 

Il libro è intriso della volontà dell'uomo di estendere le proprie conoscenze, ma mostra come questo avvenga per "conquista" e non per "collaborazione". Allo stesso tempo l'autore descrive la frustrazione indotta dall'impossibilità di comunicare, ovvero l'impossibilità di comunicare attraverso i canoni scelti dall'umano. Ma soprattutto l'uomo è pervaso dal terrore che il pianeta sappia ascoltarlo, conosca i suoi segreti più reconditi, ma non riesca a comprenderli. Un'entità che sa cosa pensi eppure non ti comprende è un ostacolo che per l'umano è insormontabile perché non pone al centro l'antropocentrismo che caratterizza l'umano da sempre. Seppur grandioso e mastodontico ciò che l'uomo esplora può essere catalogato, ma non accettato, forse perché l'oceano non è un essere vivente come l'uomo lo immagina, ma una moltitudine che lo osserva e che non lo sa capire. Questo schianta filosofia, scienza e cultura di una specie intera, quella che l'esploratore ritiene l'unica possibile.

 

Roger Federer è esistito davvero

Autore: Emanuele Atturo

 

Giudizio: ****

 

Questo è un volo sulla carriera di un grandissimo campione del tennis contemporaneo. Decolla dall'ultima finale di Wimbledon ad oggi, ma dubito ve ne possano essere altre, persa contro Djokovic e senza riuscire a concretizzare due match-point a suo favore. L'autore parte da qui e, per sintetizzare all'estremo, definisce Federer come il più bel giocatore di tennis anche se non il più forte capace di vincere i punti importanti.

 

La carriera di Federer muta nel tempo. Da ragazzo irascibile e propenso a rompere racchette, diventa giocatore apparentemente glaciale e "chirurgico" nel superare l'avversario, per approdare poi alla scoperta di essere più fragile di quanto appare quando si trova di fronte in particolare a due colleghi. La classe cristallina di Federer, inizialmente, non viene identificata da tutti come tale, a partire da campioni come Agassi. Nella testa di Federer, per ogni colpo, ci sono talmente tante opzioni disponibili solo a lui che paradossalmente non lo rendono più "forte", ma lo rendono più "debole". Però la sua maturazione interiore lo porta a trovare un equilibrio che gli consente di dominare incontrastato per qualche stagione il circuito tennistico. Apparentemente senza sforzo, lui è in grado di fare cose che per gli altri non sono nemmeno immaginabili. David Foster Wallace inventa il "momento Federer", quella magia che lo porta alla conquista di un punto che va contro ogni legge di fisica e di logica. Il suo tennis non è "utilitaristico", ma è il più bel tennis che si sia visto negli ultimi decenni, sicuramente da quando gli attrezzi di gioco si sono evoluti da racchette di legno a strumenti maggiorati e costruiti con materiali più vicini all'ingegneria aerospaziale che all'artigianato della zattera.

 

La seconda fase della sua carriera è quindi sontuosa ed inarrivabile. Gli avversari di quel periodo sono sgominati uno dopo l'altro, sembra che non ci sia per nessuno di loro una concreta possibilità di impensierire il Re.

Eppure all'orizzonte si manifesta un avversario irriducibile, colui che si mostrerà spina nel fianco da quel momento: Nadal che arriva anche a sconfiggerlo a Wimbledon. Poi arriverà Djokovic e, seppure in tono minore, Murray che però sarà in grado di negare a Federer l'oro olimpico alle olimpiadi di Londra 2012 nel giardino preferito di Federer, Wimbledon.

 

Pur non essendo più il numero uno incontrastato, Federer riesce a rimanere al vertice con il suo gioco fatto di estro, destrezza e longevità. Un gioco che, visti i modelli tennistici dei suoi avversari, appare contro intuitivo tanto da far pensare che Federer non possa essere esistito, mentre è stata una splendida apparizione che ha ridato lustro ai cosiddetti "gesti bianchi". Mi sento di sottoscrivere il pensiero dell'autore: se non si può dire che Federer è il più forte di tutti i tempi, però si può dire che è quello che ci ha mostrato il tennis più bello.

 

E ti vengo a cercare

Autore: Andrea Scanzi

 

Giudizio: ***

 

Non chiamatelo maestro, è termine che riteneva improprio e che lo infastidiva, però potete ascoltarlo e godere di tutto ciò che ha prodotto.

 

Questo libretto non racconta nulla di nuovo per gli esegeti dell'opera di Battiato. Però rappresenta, in modo accessibile e senza troppi orpelli filosofici e filologici, l'evoluzione artistica (ed umana) di colui che non voleva essere chiamato maestro. Siamo in presenza di una apologia dichiarata, esplicita, all'interno della quale l'autore si ritrova spesso a scrivere la locuzione "uno delle cose migliori mai scritte" dichiarando al contempo che questa è frase troppo inflazionata per non incorrere nel rischio di depotenziare l'intrinseco valore che vuole enfatizzare. Però, al netto di questa propensione che ogni sincero ammiratore mostra nei confronti della persona che ammira, chi non conosce Battiato, o lo conosce solo per sentito dire, credo possa trovare in questo libro una buona via per approfondire.

 

Il talento (genio?... ma forse non gli sarebbe piaciuto) di Battiato gli ha consentito di esplorare i canoni della musica dal pop alla classica, dalla sperimentale alla melodica, senza negarsi cinema e pittura. Ogni suo estimatore può apprezzare solo piccoli spicchi della sua opera e negare la bontà del resto. Succede a tutte le persone di grande talento che possono spaziare senza essere capite fino in fondo.

Io non conosco la fase sperimentale di Battiato e non sento il bisogno di conoscerla perché mi apparirebbe incomprensibile, non sarei in grado di apprezzarla o disprezzarla. Al contrario sono ancorato al periodo più popolare, per certi versi altrettanto incomprensibile nei testi, quello nel quale la radio mi faceva sentire brani come "L'era del cinghiale bianco", "Up patriots to arm", "Prospettiva Nevski", "Bandiera bianca", "Cuccuruccuccù", "Centro di gravità permanente", "Scalo a Grado", "Voglio vederti danzare", "La stagione dell'amore", "E ti vengo a cercare", "Povera patria", "La cura", "Shock in my town". Io ascoltavo rapito e gasato, succube ed appassionato. Parole leggere, apparentemente casuali ed imperscrutabili, su un tappeto musicale che mi entrava in profondità nella testa. La profondità raggiunta per effetto della leggerezza.

Per il resto non so, e forse nemmeno mi interessa, perché a me questo è bastato.

 

Aneddoto personale:

Nell'agosto del 1982, dodicenne, stavo aiutando i miei a ritinteggiare l'appartamento. La radio era accesa e partì "Bandiera bianca". Ricordo ancora il mio pensiero: quanto dovevo sentirmi fortunato per vivere nel periodo in cui l'Italia era campione del mondo di calcio e la radio trasmetteva canzoni così belle come quelle di Battiato.

 

Sembrava bellezza

Autrice: Teresa Ciabatti

 

Giudizio: ***

 

Tutto ciò che leggerete in questo libro è (para)verità. La para era quella particolare gomma, di superficie irregolare e granulosa, di color marroncino chiaro, che veniva utilizzata nei sandali di colore blu "con gli occhi" e, negli anni '70, tutti i ragazzini erano convinti che con quelle calzature si potesse correre più velocemente. Era una (para)verità, ma tutti ne erano convinti.

 

La scrittrice e la protagonista del libro sono la stessa persona. Nessuna finzione, nessun inganno, lo scrive la scrittrice stessa, nonché protagonista. Questa, ora, è una donna famosa, intervistata, ricercata in televisione grazie alle sue grandi capacità, la migliore scrittrice italiana. In questa vita di apparente soddisfazione personale porta in sé un senso di colpa, nascosto per prima a lei stessa ed anche ai diversi analisti che l'hanno avuta in terapia. Una vita che si potrebbe definire travagliata: separata, eppure ancora si riferisce al marito come il marito che pure l'ha lasciata per un'altra donna, una figlia, Anita, con la quale ha un rapporto estremamente conflittuale, completamente rifiutata dalla ragazza che la ritiene responsabile della fine del matrimonio dei genitori, forse perché sa dei tradimenti coniugali della protagonista, iniziati il giorno prima del matrimonio. Tradimenti occasionali, così li chiama la scrittrice.

 

La fama raggiunta la riporta in contatto con la migliore amica dell'adolescenza, Federica, sorella minore della ragazza più bella della scuola, Livia, a sua volta fidanzata del ragazzo più bello della scuola, Massimo. Un quadretto perfetto se non fosse che la scrittrice in questo quadretto non si inserisce. Emarginata perché è la provinciale arrivata nella grande città a "cercare la ruota", figlia di una madre della quale si vergogna, chiaramente sovrappeso ed imperfetta, asimmetrica, si riferiscono a lei come la cicciona che è uscita con Federica e non la invitano alle feste. Ora la scrittrice viene contattata da Federica che le racconta di come ha seguito da lontano la sua brillante carriera, di come ha tenuto i ritagli dei giornali come una ammiratrice.

 

Inizialmente la protagonista è più disturbata che lusingata, non vuole entrare in questo vortice di ricordi che per lei potrebbero essere dolorosi. Poi accetta, forse per rivalsa perché adesso è lei quella famosa, e si rituffa nella sua adolescenza. Con Federica scavano nel loro passato e si confidano le rispettive e successive vite, si raccontando reciprocamente tutti gli errori, tutte le frustrazioni e tutte le difficoltà. La scrittrice vive questa intimità come un tuffo nell'adolescenza che in fondo non ha mai abbandonato perché non si è mai sentita adulta, nemmeno quando è diventata madre. 

E rivede anche Livia, immutata, letteralmente immutata, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di visto comportamentale: lei è ferma ai suoi 18 anni. Questa constatazione ed il racconto che le fa Federica dell'evento oscuro del passato, nel quale anche la scrittrice è coinvolta, fa salire in quest'ultima il senso di colpa del non fatto quando avrebbe potuto fare. Quel senso di rivalsa iniziale non viene meno, anzi viene acuito, ora la scrittrice può dimostrare di essere lei la benefattrice. 

È un continuo ribaltamento del ruolo per la protagonista che al contempo si vede nel giusto e nello sbagliato, sarà poi vero che lei è davvero quello che si sente, migliore? Incontra Massimo e fatica a riconoscerlo. Era il ragazzo più bello della scuola, anche lei se n'era innamorata, ma non veniva degnata di uno sguardo. Ora è invecchiato, ingrassato di trenta chili, con la barba. Eppure la protagonista sceglie di avere un rapporto occasionale anche con Massimo, quel ragazzo che le faceva battere il cuore. Così tradisce Livia, ed anche Federica, nonostante Massimo e Livia si siano lasciati in quei fatali 18 anni e per trent'anni non si siano più visti. Dove sta la bontà e dove la cattiveria?

 

Il 28 maggio però tutto avrà una fine, inaspettata, sembrava bellezza.

 

Un uomo felice

Autore: Arto Paasilinna

 

Giudizio: ***

 

Nella connaturata propensione all'infelicità umana (ricordate la "natura matrigna"?) in questo libro si narra la vicenda di un uomo che affronta tutto ciò che trova davanti a sé per giungere ad essere felice. E, pur raggiungendo questo stato agognato da chiunque, ogni azione che mette in atto non ha di per sé l'obiettivo della felicità, ma risponde al suo essere, ovvero non essere un uomo qualunque. Cocciutamente agonista, egocentrico seppur con oculata parsimonia, propenso a percorrere la via del giusto, docilmente attratto dal piacere, è la sfida che lo rende felice.

 

L'uomo felice si chiama Jaatinen ed è un ingegnere giunto in un piccolo paese per rifare il ponte sul fiume Eccidio, il luogo della storia locale, adeguatamente rimodellata dalla classe dirigente dalla comunità del posto. In questo contesto il protagonista si caratterizza nello spazio di pochissimi giorni per la sua straordinaria non conformità al luogo trovando negli operai del posto i più convinti sostenitori e nei notabili del paese i più convinti detrattori. Il personale agonismo ed irrequietezza gli impedisce di sottostare a ciò che ritiene ingiusto, per sé o per altri, e porta lo scontro ad un costante crescendo. L'ingegnere affronta uno ad uno tutti i detrattori che cercano di ostacolarlo. Non è una "sfida alla O.K. Corral" (anche se qualche colpo viene esploso), è una sfida al riconoscimento della propria libertà di azione e di scelta.

 

A ben vedere il comportamento di Jaatinen non è sempre limpido, ci sono passaggi controversi dettati dall'ingegno e dalla spregiudicatezza necessaria nella condizione dell'"uno contro tutti". Va pur detto che alla fine di ogni scontro anche gli sconfitti trovano una loro pace che può essere interpretata come la loro felicità. Si può quindi dire che il titolo è riduttivo perché, tutti i giocatori e tutte le giocatrici, traggono un beneficio personale e collettivo che li conduce verso la felicità.

 

L'uomo del titolo è forse una metafora della comunità intera. Infatti all'inizio della storia la comunità è apparentemente felice, seppur con qualche afflizione, ma alla fine della storia lo è maggiormente: quanto potrà durare questa ulteriore apparenza? È il protagonista stesso che, raggiunta una felicità letteralmente fuori dal comune, si interroga sul fatto che sia possibile un'altra felicità, diversa, più ampia ed esterna a quella che lui stesso dichiara di vivere. Si interroga se questa sfida per una nuova felicità accresciuta sarebbe davvero maggiore felicità, sminuendo quindi quella attuale. La risposta sta nell'età e nel fatto che, se prima la felicità è stata nella sfida, oggi la felicità sta in altro. Ogni età ha una sua felicità, l'importante è coglierla per ciò che è e non per ciò che potrebbe essere e forse, per questo, Jaatinen è un uomo felice.

Il lettore sul lettino

Autore: Guido Vitiello

 

Giudizio: ***

 

Chi più, chi meno, siamo tutti lettori, eppure in questo libro non si scrive di tutti, ma si scrive solo di quella cerchia (ristretta?) di "condannati all'essere lettori". Per molti questo "status", essere lettore, è la grazia, la gioia che sfocia nel quotidiano piacere della lettura, ma che si trascina appresso annessi e connessi. Chi avrà la curiosità di leggere questo libricino potrà ritrovarsi "dotato" di questi accessori e della "pena" a cui conducono. Riderne o piangerne è una libera scelta come decidere di leggere l'uno o l'altro libro appoggiato sul comodino. Lo scrittore si espone apertamente creando quell'empatia inarrestabile che sgorga dal pensiero "lo faccio anche io", oppure "succede anche a me". Quando scatta questa scintilla ideale non si può che diventare buoni compagni di viaggio anche se, come scrive l'autore, massimamente seduti sul divano o sdraiati sul letto. 

 

Il percorso proposto al lettore ha un ricco corredo di ossessioni ed ansie tipiche dei cosiddetti "lettori forti" e che spesso non hanno nulla a che vedere con la lettura in sé. Succede infatti che uno dei tabù che il lettore deve affrontare è l'azione di prestare un libro. Il più delle volte tale gesto, che è un semplice invito alla condivisione della lettura, si traduce nella tragedia dello smarrimento del libro che non verrà mai restituito. Tragedia alla quale persone di "buon senso" non possono esporsi ed un possibile stratagemma per non subire questo sacrificio è occultare la propria biblioteca (per i più facoltosi) o libreria per evitare la fatidica domanda: "me lo presti?".

Seppure di senso diverso le stesse ansie possono risiedere nei libri regalati. In questo caso non è la mancata restituzione o, nell'ipotesi non necessariamente migliore, le pessime condizioni nelle quali viene restituito il volume, perché il libro regalato non è mai solo un oggetto. In realtà è un soggetto dotato di anima e vita propria in grado di "spostarsi", di "offendersi" e di "filiare". Donare soggetti in grado di "autodeterminarsi" è una responsabilità immane soprattutto se il libro non si dimostra all'altezza del compito perché mediocre o insignificante per colui che lo ha ricevuto in dono. E che dire se non venisse nemmeno letto?

 

Non possiamo però prescindere dalla "corsa all'accaparramento" tipica dei momenti di crisi. Il lettore forte è avvolto da una crisi perenne per cui entra in libreria per acquistare un volume e ne esce con tre!, quattro!, dieci! Questo comportamento ossessivo compulsivo trova una parziale risposta nella "necessità" di leggere tutto. Operazione aritmeticamente impossibile, ma che davanti agli scaffali, davanti alla bancherella viene oscurata. Ed il lettore forte si ritrova il "classico" comodino sommerso di libri dei quali, al primo trasloco o spostamento, non ricorderà nemmeno l'acquisto.

Questa ossessione per il "tendere ideale a leggere tutto", anche nell'impossibilità letterale di poterlo fare, ha l'altra faccia della medaglia nel dichiarare come letti libri mai letti perché ci sono classici che "non puoi non aver letto".

 

Per non parlare dell'approccio alla "manipolazione" del volume. C'è chi lo legge allargando all'inverosimile l'apertura possibile tra le pagine e chi invece scosta le pagine con tale cautela ed attenzione che alla fine della lettura il libro sembra non essere stato nemmeno sfogliato. Poi ci sono quelli che fanno le orecchie alle pagine, scrivono note a margine, a matita o a penna, sottolineano anche con evidenziatori. Questi comportamenti sono tutti autoescludenti, se fai parte della "tribù" che sottolinea solo a matita rifuggirai il sottolineatore con penna o peggio con evidenziatore. Se scosterai le pagine con cautela non potrai mai solidarizzare con chi squarcia la rilegatura o fa le orecchie alle pagine. Eppure tutti leggono apprezzano, o disprezzano, lo stesso libro. È un modo diverso per affrontare la "vita della lettura", chi è più passionale, chi è più riservato e non ce n'è uno più giusto dell'altro.

 

Ed a proposito della vita ci sono interessanti passaggi sul concetto del vivere. È d'uso comune, peraltro supportato dal pensiero di grandi intellettuali, esortare alla lettura perché solo con questa potrai garantirti centinaia, migliaia (ma solo per i lettori fortissimi) di vite. Al contempo altri intellettuali e scrittori metabolizzano il fatto di aver letto troppo e di sentire la necessità di "gettarsi nella vita vera" e non restare rinchiusi nella vita romanzesca, finta per definizione. A queste due posizioni, ovviamente contrapposte, si contrappone la realtà dei fatti: se è vero che la vita romanzesca non è la vita vera, è pur vero che la vita vera non è dato sapere cosa sia precisamente, che fare la coda in posta o al supermercato, non ti rende più "vissuto" che aver letto un romanzo cavalleresco, seppure ora sai che la vita è colma di code e di attese, mentre forse può renderti più "vissuto" avere un travolgente amore o prendersi cura di chi ti sta accanto. Per certo non si è vissuto di più se si pubblica su un social media che si sta leggendo il tal libro, o si sta mangiando in tal posto, o si sta vedendo il tal film, o si ha mal di testa per un colpo dato allo scaffale mentre si recuperavano le attrezzature per un'escursione in Kenia. La vita è dove sei, qualunque cosa tu faccia, per questo io sono della scuola del "leggi tanto", ma non trascurare quello che fai quando non hai un libro aperto in mano perché la vita vera è questa, non trascurare.

 

Infine, ma il libro non finisce qui e non finisce così, si scrive dei lettori monogami e poligami. Il parallelismo amoroso può apparire improprio, ma solo se si prescinde dalla anima e vita propria che un libro possiede. Per questo ci sono lettori che non si sentono di "tradire" il volume in corso di lettura con altri testi, mentre altri lettori rinnovano quotidianamente l'esperienza di lettura facendo avanzare i progressi di più libri parallelamente. Ne scrivo ora, in conclusione, perché la lettura è amore, cultura, fantasia, passione ed ognuno sceglie di viverla come meglio crede. Del resto amare, o non amare, la lettura non deve diventare uno stigma, ognuno proceda per quanto può, per quanto riesce, per quanto vuole a prescindere dalla "tribù" alla quale appartiene, o meglio nella quale viene catalogato.

 

Note personali:

Io sono uno di quei lettori che non riesce a scrivere, sottolineare, fare le orecchie alle pagine dei libri.

Non ho letto Don Chisciotte e Madame Bovary, ma nemmeno L'Idiota, I fratelli Karamazov, Guerra e pace, L'uomo senza qualità, Sulla strada, Furore, Uomini e topi, Moby Dick, Le affinità elettive, Senilità, It, Il signore degli anelli, Il ritratto di Dorian Gray e tanti altri. Ad occhio e croce, in vita mia, ho letto non più di 400 libri, una miseria rispetto allo scibile umano, ma per me comunque una goduria, nonostante qualche delusione (per fortuna poche).

Tendo a leggere un libro per volta. La prima eccezione l'ho prodotta nel corso della lettura di Infinite Jest: nelle due estati (corrispondenti a sei settimane di villeggiatura) nelle quali ho terminato il libro, ho inframezzato con altri libri. Ad essa sono seguite poche altre letture poligame.

Ho abbandonato la lettura di tre libri: Sulla strada, L'isola del giorno prima (anche se di Eco ho amato Il nome della Rosa, ma soprattutto il pendolo di Foucault), Il signore degli anelli (anche se di Tolkien mi sono divorato Lo hobbit e faticosamente conquistato Il Silmarillion, quest'ultimo per me lettura assai difficile).

Su tutti ho un autore dal quale non sono mai stato tradito o deluso: Kurt Vonnegut. Escludendo i lavori di questo straordinario scrittore provo un sincero amore nei confronti de I ragazzi della via Pal (l'unico libro che mi è stato letto da bambino, ho riletto da bambino scolarizzato, ho riletto da ragazzo, ho riletto da adulto), Il giro del mondo in 80 giorni, Se questo è un uomo, Addio alle armi, Metello. Tanti altri libri mi hanno tenuti aperti gli occhi, ma tanti altri li ho dimenticati, non per colpa loro, ma per colpa del mio essere finito, limitato, parziale. Così va la vita (scrive Kurt Vonnegut in Mattatoio n. 5, o la crociata dei bambini)

 

Il Mago di Riga

Autore: Giorgio Fontana

 

Giudizio: ****


La storia di una vita geniale e malandata rievocata in presa diretta nel corso dell'ultima partita di scacchi.

Miša, il protagonista, è il genio precoce e fuori dai ranghi. È completamente privo di quella disciplina con la quale la scuola di scacchi sovietica ha forgiato i suoi campioni. Ne è privo non solo quando si trova di fronte alla scacchiera, ma anche nella vita vissuta. Uomo gentile, capace di grande attenzione e cura nei confronti delle persone che gli stanno accanto, quanto distaccato e distratto, pronto a sacrificare tutto per uno sviluppo imponderabile. Purché ci siano gli scacchi lui farà correre i singoli pezzi nel modo migliore su ognuna delle 64 caselle.

Gli scacchi sono letteralmente la sua ragione di vita. È capace di accettare di giocare una partita in un bar con un suo ammiratore sconosciuto che sarebbe disposto anche a pagare per avere l'onore di quella partita. Questo non è necessario perché è la gioia di poter giocare a scacchi che ripaga Miša e gioca ben volentieri con lo sconosciuto. Nel corso di una partita simultanea con una ventina di dilettanti, solo una ragazzina riesce a fare patta, ma mentre questo risultato si concretizza lei si accorge di non aver annotato le mosse della partita e scoppia in lacrime. Miša con carta e penna ricostruisce la partita insieme alla ragazza e, facendole un sorriso, le lascia l'autografo sul foglio appena redatto augurandole ogni bene.

Sulla tavola da scacchi è irruente, coraggioso, addirittura avventato. È disponibile a sacrificare ogni pezzo per quello che ha in mente per il suo gioco. Nulla è intoccabile ed impensabile, sulla scacchiera può accadere tutto perché non è mero calcolo, ma è intuito ed audacia. La maggioranza dei colleghi non la pensano come lui, ma lo temono perché sanno che da lui si possono aspettare di tutto. Si sparge addirittura voce che sia in grado di ipnotizzare gli avversari. Una sciocchezza che contribuisce a costruire il mito del più giovane campione del mondo, fino a quel momento.

Nella vita vissuta nulla è diverso. Miša è disponibile a sacrificare affetti, amicizie e pure la sua salute per continuare a giocare come vuole lui. In lui non c'è mai calcolo. Una stella talmente brillante che si brucerà rapidamente e che nell'ultima partita rincorrerà i ricordi senza avere rimpianti. Proverà ancora, e per l'ultima volta, quella sensazione per cui solo la vittoria, e nulla di meno, è possibile. Andava fatto quello che si doveva fare e lui lo sapeva fare meglio di tutti gli altri, senza superbia, con grande rispetto per tutti, anche se il costo sarà il sacrificio estremo.

 

Seneca tra gli zombie. Guida filosofica di sopravvivenza al caos

Autore: Rick Dufer

 

Giudizio: ***


Già nel titolo, e nel sottotitolo, troviamo i presupposti essenziali per la librificazione del testo: il caos, i morti viventi, una (possibile) guida per. Tanto che il buon Seneca potrebbe apparire addirittura ridondante se non fosse che, io credo, Seneca sia solo l'innesco, quella "cosa dalla quale nasce cosa" e che non è mai semplice, o semplificante, o, appunto, orpello inutile ed eccessivo. Che se poi conoscessi Seneca potrei valutare le cose altrimenti, ma questa è una storia che non posso raccontare perché non conosco Seneca.

La cosa che più mi ha intrigato di questo libro è il tentativo di indicare che se una cosa è possibile non è necessariamente (molto) probabile. In una società nella quale tutti sono zombie è possibile che io/tu sia/mo dei loro. Anche se, avendo io scritto tutti, sarebbe contro la logica che anche io non lo fossi con certezza. Come ne usciamo da questo paradosso? Intanto, molto semplicemente, perché quel tutti l'ho inserito io che non ho alcun titolo, ma il punto, a mio avviso centrale, sta nell'indagine alla quale veniamo invitati dal saggio: tu potresti essere uno zombie oppure no, però adesso lo devi verificare tu e se non lo vuoi fare è probabile che tu sia uno zombie.

L'antidoto è pensare autonomamente senza lasciare che altri lo facciano per noi. Con tutte le difficoltà del farlo nel grande rumore prodotto dall'infodemia in corso che tende a rendere circoscritti problemi che in realtà sono illimitati per dare risposte (certe) su tutto e per tutto e per sempre.
Praticare l'esercizio del dubbio è una profilassi antizombificante, ma è necessario dosarlo adeguatamente per evitare il dubbio che paralizza, ovvero per evitare che il dubbio ci attanagli a tal punto da renderci incapaci di affrontare la realtà, e non sto pensando alla scelta tra pizza margherita e pizza quattro stagioni. In tal senso la risposta viene data dal concetto di intraprudenza che vale la pena approfondire, se non altro per la curiosità indotta dal neologismo.
Trovo anche molto interessante la valutazione sul ribaltamento che il concetto di politicamente corretto ha subito che, per come la vedo io, è l'anticamera del "non sono razzista, ma..." e pure la figura metaforica dello "spigolo" che è quell'angolo della nostra vita contro il quale "sbattiamo" e che ci provoca dolore solo se non siamo zombie.

Infine due righe personalissime: leggere un saggio nel quale vengono citati Philip K. Dick, Kurt Vonnegut, David Foster Wallace, mi ha rinfrancato. Anche grazie a questo è possibile respingere l'incipiente zombificazione contro la quale non c'è shampoo che tenga.

 

La peste

Autore: Albert Camus

 

Giudizio: *****

 

Forse c'è una nota di presagio che risiede nel fatto che il luogo dove tutto accade sia un luogo brutto. Comune e brutto. Una città mal concepita che volta le spalle al mare, vicinissimo, ma dalla cui vicinanza il clima non trae benefici. Una città ordinaria nella quale le vite scorrono senza sussulti. Tutti i cittadini hanno ruoli definiti, forse definitivi, incasellati negli schemi prescritti da una normalissima città dove ci sono i quartieri per i ricchi ed i sobborghi per i poveri.

 

In quest'ordine, a suo modo rassicurante, da un giorno all'altro, si manifesta la falla: il sottosuolo decide di "spurgarsi". Migliaia di topi emergono dalle fogne per trovare la morte in superficie. Inizialmente la cosa non desta troppo allarme, come se non fosse nulla di più che un fatto della vita. L'emergenza viene vissuta come un problema di nettezza urbana che richiede impegno di mezzi ed uomini fuori dall'ordinario, ma il sentore comune è che prima o poi la città sarà liberata da questa incombenza straordinaria.

 

In realtà il pericolo all'orizzonte è ben altro e le conseguenze non tardano a mostrarsi. Ai cumuli di topi iniziano a sommarsi anche i cadaveri umani. È la peste.

Ha inizio la cronaca dei fatti che interseca le vite dei personaggi nella lotta quotidiana, sia che si mostri attiva, sia che si mostri passiva. Ogni singola aspirazione, speranza, emozione è schiacciata dalla nuova vita alla quale tutti sono costretti. Ognuno si trova di fronte ad una condizione inconcepibile fino a poche settimane prima. La città è chiusa e chi ha l'amore, i cari, lontani non potrà più raggiungerli o essere raggiunto. Pure le comunicazioni sono difficilissime e spesso prive di risposte. Ma anche chi ha la fortuna di avere le persone care vicine è costretto a rivedere la propria condizione. Quello che aleggia su tutti li costringe a ripensare a cosa sono, a cosa vogliono essere ed a cosa possono essere.

 

C'è chi vuole assolvere al proprio ruolo fino in fondo, dottore tra i malati. C'è chi vuole spiegare le ragioni profonde, ma necessarie, dei dolori che si provano, uomo di fede tra i fedeli che non devono dubitare della fede. C'è chi vuole scrivere quello a cui sta lavorando da anni, da quando ha perso la sua amata per negligenza, per non aver trovato le parole giuste. C'è chi vuole tornare dalla sua amata perché, senza di lei, pensa che per lui sarebbe il nulla. C'è chi nasconde qualcosa, forse, di terribile. C'è chi aspira ad essere santo perché non è così ambizioso da aspirare ad essere uomo.

La tempesta sanitaria avvolge la città ed ognuno è avvolto anche da una tempesta personale con i propri dubbi, le proprie paure, i propri bisogni. Tutto ha una fine, anche la peste. Alcuni di coloro che riescono ad uscirne dovranno fare i conti su cosa è cambiato in loro prima che su ciò che potrebbe essere cambiato nel rapporto con chi ritroveranno. Per altri sarà necessario fare i conti su chi hanno perso e non potranno rivedere mai più.

 

La peste non cambia mai, sono gli uomini e le donne che cambiano.