Ma chi me lo fa fare?

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

Giudizio: ***

 

Si scrive del lavoro, e del suo stravolgimento, dovuto a fattori sociali e culturali che hanno modificato profondamente il valore che oggi attribuiamo ad esso. Il lavoro nobilita l'uomo o lo rende schiavo?

 

La moderna cultura del lavoro ha sovvertito i nostri stili di vita. Se prima si poteva dire che si lavorava per vivere, oggi pare che si viva per lavorare. Perché mostrarsi impegnati appare più interessante che non esserlo, o perché non avere un lavoro è diventato uno stigma sociale e non più una condizione particolare della quale la società dovrebbe farsi carico per aiutare la persona qualora fosse in difficoltà (astenersi ricchi di famiglia e scansafatiche).

Eppure c'è stato un tempo in cui il lavoro era funzionale a garantire i mezzi di sostentamento per sé e per la famiglia con ritmi e tempi che dipendevano dai bisogni personali. I mutamenti culturali hanno sovvertito questo schema antico ed oggi questo approccio pare non sia più sufficiente. Anche la religione, e la morale che ne deriva, ha rilevanza in questo processo.

Se si ha la (s)fortuna di fare un lavoro che piace può effettivamente diventare una prigionia: lavorare tutto il giorno per tutti i giorni. Non vi è più liberazione (emancipazione) che un tempo veniva assegnata agli spazi "liberati" dal lavoro e dal sonno. Il tempo libero da dedicare ad altro (hobby, lettura, ozio, argh!!!) viene fagocitato da un approccio agonistico al lavoro. Tale approccio competitivo deriva dalla cultura manageriale che contraddistingue la nostra società: devi essere sempre affamato per poter puntare ad obiettivi sempre più ambiziosi. L'ambizione si innesta nel pensiero di fare bene il proprio lavoro: quest'ultimo non basta più, si deve fare meglio, sempre e comunque, costi la sottrazione di tutto il tempo libero necessario. In questo la tecnologia è stata una straordinaria leva moltiplicatrice perché consente di essere operativi in ogni momento della giornata.

 

Una lettura molto interessante seppure non onnicomprensiva: qui non si affronta il concetto di lavoro universale, se ne estrapolano alcune particolari sotto condizioni. Condizioni nelle quali si deve essere più efficienti, più dinamici, più creativi. In una parola si deve essere più bravi con l'effetto collaterale di sovraccaricare il fisico e la psiche per garantirsi questo risultato. Non si può fare altrimenti, l'eccesso di zelo" è diventata norma di vita nel lavoro.

Per inciso, a tal proposito, un recente studio canadese mostra come lo stress lavoro correlato crei problemi cardiovascolari analoghi a quelli che riguardano le persone obese. E se quest'ultimo viene affrontato come un problema sociale perché non si affronta in modo analogo anche lo stress lavoro correlato? Domanda che trova risposta nella competizione innescata nel mondo del lavoro per "vincere", anche se coppe e medaglie non vengono assegnate.

Comunque, allo stato attuale c'è un'alternativa? La lettura del libro fornisce elementi per prendere coscienza di quanto è avvenuto e di come si sta manifestando sul lavoro. Da questa consapevolezza si deve partire per immaginare un modo di lavorare diverso e poi realizzarlo. Buon lavoro a tutti.