Vivere in un paese dalle "geometrie" variabili

Correva l'anno 1998. Il paese Italia era immerso nella "felice" era ulivista (everybody welcome in the age of the ulivos, cantava Guzzanti figlio nel "Pippo Kennedy show"). Tutto sembrava a portata di mano: si entrava nell'euro, l'economia andava a gonfie vele, Prodi veniva "sgambettato" dal trio Marini, Bertinotti, D'Alema, ... insomma c'era grande fermento e tanta fiducia.

Nello stesso periodo circolava una mail di sostegno nei confronti delle donne afghane e di denuncia rispetto alle loro condizioni di vita, perché costrette dalla teocrazia talebana ad una vita inumana. Mi ricordo che ebbi un'aspra discussione con un amico che sosteneva l'inutilità di una presa di posizione di questo tipo da parte del mondo occidentale. La sostanza, per lui, era che i soliti rompicoglioni della sinistra avevano messo in scena un nuovo nemico da abbattere identificandolo con il regime talebano che aveva avuto la "sfrontatezza" di resistere ai carri armati sovietici. Insomma i comunisti italiani, non avendo potuto "godere" della vittoria sovietica sul campo, avrebbero voluto con questa mail garantire  una vendetta da gustare fredda, ottenendo una vittoria postuma e simbolica (infatti il blocco sovietico si era sgretolato nell'agosto 1991, affidando le sue sorti ad un noto bevitore di vodka. Qualche sociologo poi ci spiegherà questa strana coincidenza sull'indole al bere di Bush ed Eltsin).

A distanza di 3 anni, nel 2001, lo sgambetto del trio Marini, Bertinotti, D'Alema ai danni di Prodi concretizzò l'ascesa al governo di Berlusconi e l'11 settembre assistemmo, esterefatti, alla tragedia di New York e Washington. Ovviamente subito ci fu detto che i colpevoli erano i talebani protettori di Bin Laden e che si sarebbe dovuta intraprendere una nuova crociata (enduring freedom), non in nome di un dio, ma in nome di un'idea (spiegare a Bush che in termini filosofici le due cose coincidono sarebbe stato troppo complesso).
A questo punto in afghanistan arrivarono i carri armati americani e, come per magia, anche il mio amico, e quelli che la pensavano come lui, scoprì i maltrattamenti a cui erano soggette le donne afghane. A quel punto la mail che circolava nel 1998 fu sottoscritta da Bush in persona: con questo atto giustificò l'attacco all'Afghanistan non come semplice vendetta per gli eventi di New York e Washington, ma come atto di liberazione delle donne con il velo.
In Italia i Ferrara's wife e compagnia cantante alzarono altissimi cori di "alleluia" alla guerra sacrosanta per la liberazione delle donne afghane e giustificarono i danni collaterali delle bombe a grappolo con il bene superiore della libertà per le afghane.

Oggi sono passati quasi 5 anni dall'invasione dell'Afghanistan e da un reportage di Ruotolo per "anno zero" di Santoro scopriamo alcune cose molto interessanti:

  • le donne afghane hanno ancora il burqa;
  • i talebani non sono la governo, ma controllano vaste zone del territorio;
  • si stima che i morti civili siano circa 20mila.

Insomma, come nella migliore tradizione gattopardesca si è deciso di cambiare tutto per non cambiare nulla. Prima erano i sovietici a fare la loro "bella" guerra imperiale, mentre oggi siamo noi trovando anche giustificazioni a questo operato. Questo dimostra la straordinaria capacità dell'italiano medio di posizionare il proprio pensiero a seconda della convenienza del momento, evitando di riflettere quale sia il significato politico, e direi di più, etico, che sta dietro ad ogni presa di posizione in difesa degli oppressi e dei deboli.

Questo in Italia succede quando si è "costretti" a cambiare idea, perché la storia lo impone e, si sa, è sempre il vincitore a scrivere la storia.