Il libero mercato e chi ci crede a corrente alternata

Questa mattina leggevo un interessantissimo articolo su "il manifesto" di Franco Carlini. Il tema è la riforma radio televisiva ed il titolo dell'articolo inquadra in una sola frase l'anomalia italiana: "Mediaset piange perché non sa stare sul mercato".

Purtroppo Carlini ha ragione da vendere e purtroppo questo problema non nasce ora con Berlusconi ed i suoi conflitti di interesse, ma è sempre esistito. Mi sovviene cosa è stata ed è la FIAT e gli strani percorsi che si fecero per impedire che la Ford acquistasse l'Alfa Romeo nella prima metà degli anni '80. Il capitalismo italiano è abituato da sempre a fare sponda con la politica (ora si direbbe a fare squadra nel linguaggio confindustriese): dai tempi del senatore Giovanni Agnelli ed il fascismo, fino ad arrivare a Silvio Berlusconi ed il craxismo.

Carlini documenta in modo concreto l'anomalia in cui viviamo da sempre in Italia portando l'esempio americano della At&t (l'equivalente telecom statunitense). Questa società nel 1984 fu smembrata dall'antitrust in 7 società regionali. Se Berlusconi si permette di definire banditismo le proposte di legge del governo, allora certamente banditi illiberali e statalisti furono anche gli americani, campioni di democrazia e libero mercato evidentemente a corrente alternata.
Il problema sta tutto nel nanismo culturale del capitalismo italiano che ha da sempre nei suoi esponenti di spicco la pretesa di sancire la supremazia del mercato, tacendo però sulla mancanza dello stesso in Italia. Era così per l'automobile, è così ora per la radiotelevisione.

Oggi quello che si chiede a RAI ed a Mediaset è di trasferire una delle loro tv sul satellite o sul digitale terrestre, a scelta. Non ci si avvicina nemmeno lontamente ad uno smembramento simile a quello di At&t. Eppure nonostante le grandissime differenze Berlusconi ha gioco aperto nel definire esproprio quella che pare una proposta di legge per nulla vessatoria. Questo conferma che in Mediaset non esiste la cultura del mercato, conferma che non sono state solo le capacità manageriali a rendere Mediaset il colosso che è, ma soprattutto le sponde politiche. Ed anche in questo caso la sponda politica non ha tardato a serrare le fila intorno al cavaliere e, come un sol uomo, ha gridato allo scandalo.

Insomma la mia triste impressione è che lo sventolare il libero mercato anche quando non c'è serve al capitalismo italiano per giustificare i licenziamenti ed i mancati rinnovi di contratti, mentre quando si tratta di gestire un mercato con concorrenti reali il capitalista mette in campo tutte le possibili tutele politiche affinché il concorrente venga in qualche modo addomesticato. Va da se che questo meccanismo non solo è incoerente, ma tende anche a rendere fragile il sistema Italia (sempre per parlare in linguaggio confidustriese).