Riforma della previdenza complementare: qualche nota

Cos'è il TFR?
Il TFR, acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, è costituito da soldi dei lavoratori che le aziende accantonano obbligatoriamente per ogni lavoratore anno dopo anno. Si determina accantonando il 6,91% della retribuzione lorda annuale. La retribuzione utile per il calcolo del TFR comprende tutte le voci retributive corrisposte in ragione del rapporto di lavoro, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. Gli importi accantonati sono rivalutati, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso così composto

  • una quota fissa dell'1,5%
  • una quota variabile che ammonta al 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo definiti dall'Istat

Fino al 31/12/2006 questa somma di denaro poteva essere “percepita” come assicurazione contro i rischi derivanti dalla disoccupazione e come “tesoretto” a cui accedere dopo 8 anni di anzianità in azienda per l'acquisto della prima casa o per spese mediche. Di conseguenza il TFR, che era del lavoratore, non era nelle disponibilità del lavoratore, ma era custodito e gestito direttamente dal datore di lavoro. In questo ambito i soldi trattenuti dall'azienda hanno rappresentato una fonte di finanziamento per le imprese (erano risorse a disposizione delle imprese che venivano restituite ai dipendenti come un salario differito nel momento in cui cessava il rapporto di lavoro). Ma questo è stato decisamente un utilizzo “improprio” in quanto il TFR appartiene ai lavoratori e non alle aziende.


I tre pilastri previdenziali: pensione pubblica, fondi pensione, piani pensionistici individuali (PIP)
Oggi, in larga parte, l’unico reddito su cui si possa contare durante la propria vecchiaia è quello che proviene dalle pensioni pubbliche (INPS). Il secondo e il terzo pilastro previdenziale (fondi pensione collettivi e piani pensionistici individuali) sono praticamente inesistenti. Nonostante la riforma Dini avesse introdotto la possibilità per i lavoratori di accedere ai fondi pensione collettivi, questo secondo pilastro previdenziale non ha avuto un grande utilizzo.
La mancanza di fondi pensione collettivi o individuali in Italia ha una spiegazione anche nel fatto che il sistema pensionistico pubblico assorbe tantissime risorse e non tutti i lavoratori sono in grado di contrarre ulteriormente il salario mensile per destinarne una quota alla previdenza integrativa.
Con l'attuale riforma il TFR diventa uno strumento finanziario di accantonamento per la vecchiaia che può integrare le pensioni pubbliche, che inevitabilmente saranno molto più ridotte della attuali, fornendo al lavoratore rendimenti da capitale gestito, anziché fissati per legge. Questo servirà a rafforzare la previdenza integrativa perché avere un secondo pilastro previdenziale da affiancare a quello pubblico è un modo per garantirsi più fonti di reddito e tutelare il proprio reddito una volta andati in pensione.


Cosa sono i fondi pensione?
Diciamo innanzi tutto che ci sono diversi tipi di fondi pensione:

  • fondi collettivi (chiusi o aperti)
  • fondi individuali (Piani Pensionistici Individuali, PIP)

Ai fondi collettivi chiusi possono accedere solo i lavoratori appartenenti ad una data categoria, mentre ai fondi collettivi aperti tutti possono accedervi. Vedremo di seguito cosa significa.

I fondi individuali o personali (PIP) assicurano ai sottoscrittori piani di investimento personalizzati. Aderendo a questi fondi è possibile scegliere un profilo di rischio rispondente alle esigenze ed aspettative personali. Detto questo segnalo che i fondi individuali sono per loro natura molto più flessibili dal punto di vista del sottoscrittore, ma

  • costano decisamente di più perché i costi di gestione del portafoglio cliente non possono essere spartiti su una pluralità di individui come per i fondi collettivi
  • tendenzialmente espongono il capitale del lavoratore a maggiori rischi


Per loro natura credo quindi che i fondi collettivi abbiano, per la maggioranza dei lavoratori, vantaggi superiori a quelli forniti dai sistemi individuali perché

  • sono più efficienti in termini di costi (non comportano costi di vendita, di consulenza e di amministrazione dei singoli portafogli)
  • permettono ad individui con limitate conoscenze sul funzionamento dei mercati finanziari di delegare decisioni difficili e condividere il rischio con altri lavoratori


I fondi pensione sono a contribuzioni definite, ovvero per ogni lavoratore viene aperta una posizione personale. Questo significa che la pensione che si riceverà dipenderà direttamente dai contributi versati e dai rendimenti ottenuti tramite il fondo. I rendimenti ottenuti dai fondi dipendono dal “portafoglio di investimento” scelto.
Come scritto sopra i fondi collettivi si dividono a loro volta in due tipologie:

  • fondi chiusi o anche detti negoziali (sono diretta emanazione delle contrattazioni nazionale)
  • fondi aperti (sono pacchetti predisposti da banche od assicurazioni ai quali i singoli lavoratori possono aderire indipendentemente dal contratto applicato sul posto di lavoro)

I fondi chiusi hanno per caratteristica principale il fatto che possono essere sottoscritti solo dai lavoratori che appartengono alla categoria di riferimento. Per esempio un lavoratore del settore metalmeccanico può aderire al fondo COMETA, ma non può aderire al fondo FONTE che è il fondo chiuso della categoria del commercio privato.

In tutti i casi, comunque, aderire esplicitamente ad un fondo chiuso e destinare una quota supplementare del proprio salario al fondo (quindi in aggiunta al TFR maturando) garantisce il versamento da parte del datore di lavoro di una quota ulteriore. Tale meccanismo vale per tutti i contratti nazionali che prevedono un fondo previdenziale. Proprio perché i contratti sono diversi i parametri di riferimento possono variare. A titolo esemplificativo si tenga presente che un lavoratore del commercio privato che oltre al TFR maturando decide di versare una quota minima dello 0,55% del suo salario lordo nel fondo FONTE vedrà confluire nella sua posizione nel fondo un 1,55% a carico del datore di lavoro.
Questo è possibile, perché a livello di contrattazione i sindacati hanno ottenuto questo risultato economico per i lavoratori. Di conseguenza va rimarcato che questo non è vero per i fondi aperti dove comunque il lavoratore può decidere di versare una quota aggiuntiva del suo salario, ma non otterrà quote aggiuntive a carico dell'azienda.


Chi può fare la scelta di destinazione del proprio TFR?
Possono decidere cosa fare del proprio TFR tutti i lavoratori con un contratto di lavoro dipendente in forza del quale matura il TFR.
Tra questi non figurano i collaboratori coordinati e continuativi, con o senza modalità a progetto. Sono, al momento, esclusi dal campo di applicazione della riforma le collaboratrici domestiche e i loro datori di lavoro, oltre ai pubblici dipendenti ai quali continua ad applicarsi la disciplina vigente.
I lavoratori che potranno decidere che fare del proprio TFR hanno piena libertà di scelta circa il fondo nel quale far confluire il proprio TFR, ma la scelta potrà essere di natura diversa e avverrà in tempi diversi a seconda della data di assunzione.
Come anticipato sopra sono due le date importanti da tenere presente: il 29 aprile 1993 ed il 31 dicembre 2006.
Chi è stato assunto prima del 29 aprile 1993, avrà la possibilità di frazionare il TFR, lasciandone una parte all’impresa e destinando l'altra parte in un fondo pensione. Nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia già aderito a un fondo pensione, potrà continuare a contribuire con la stessa quota versata in precedenza, mantenendo presso il datore di lavoro il resto del TFR maturando. Se, al contrario, non è ancora iscritto ai fondi pensione potrà scegliere di trasferire il TFR futuro anche solo nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza di questi, in misura non inferiore al 50%.
Queste sono le possibilità e non obblighi per cui sarà sempre possibile, anche in presenza di contribuzione previdenziale antecedente al 29 aprile 1993, oppure in presenza di adesione antecedente al fondo, decidere di far confluire l'intero TFR maturando nel fondo pensione.
Chi, invece, è stato assunto dopo il 29 aprile 1993 non potrà "frazionare" la destinazione del TFR futuro: potrà solo spostare l'intero accantonamento a un fondo pensione oppure tenerlo in azienda.
La scelta del lavoratore potrà essere espressa fino al 1 luglio 2007 per chi è stato assunto entro il 31 dicembre 2006, mentre chi è stato assunto a partire dal 1 gennaio 2007 potrà spostare il TFR integralmente verso un fondo pensione avendo 6 mesi di tempo a disposizione dalla data di assunzione.

Infine va sempre tenuto ben presente che l'ingresso nei fondi pensione, aperti o chiusi che siano, non consente di tornare alla vecchia modalità di gestione del TFR in carico all'azienda. Quindi chi non fosse ancora sicuro della scelta è bene che comunichi che vuole lasciare il TFR in azienda entro il 30/6/2007 per gli assunti prima del 31/12/2006, oppure entro 6 mesi dalla data di assunzione. In questo modo sarà sempre in tempo ad aderire ad un fondo pensione quando lo riterrà più opportuno.


Per chi è utile questa riforma
Il TFR servirà soprattutto ai lavoratori più giovani per avere una pensione adeguata fra 30-40 anni, sfruttando i più alti rendimenti offerti dalla previdenza integrativa rispetto al sistema pubblico. In base a simulazioni si suppone che i giovani di oggi andranno in pensione con il sistema pubblico con 50/55% dell'ultimo stipendio percepito contro gli attuali pensionati che vanno in pensione con circa il 70/75% dell'ultimo stipendio percepito in azienda. L’unica via per coprire questo "buco" pensionistico è garantire rendimenti più elevati all’accantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto.

Come scritto in precedenza i giovani sono chiamati a destinare fino a quasi il 50% della propria retribuzione come contributi e questo significa che i giovani hanno a disposizione poche risorse da investire in previdenza integrativa. Il TFR rappresenta un'opportunità per costruire la seconda gamba del reddito quando i lavoratori andranno in pensione.


E' importante decidere come destinare il proprio TFR evitando il meccanismo del silenzio assenso
I lavoratori che decidono espressamente potranno trasferire il TFR alla destinazione da loro preferita.
I lavoratori che invece non indicheranno espressamente la destinazione del proprio TFR vedranno finire il loro TFR nei fondi contrattuali senza contributo aziendale e con rendimenti più bassi. Infatti i fondi che ricevono il TFR in silenzio assenso sono tenuti a un profilo di investimento molto prudenziale, che rende più o meno come il TFR che per le ragioni sopra espresse è inadatto soprattutto per i lavoratori più giovani.


Fonti per la redazione di questo post:
www.lavoce.info
www.tfrnewscgil.it
www.tfr.gov.it