Bio-combustibili: sì o no?

Dilma Rousseff è in visita a Roma. E' ministro del governo Lula, presidente che in Brasile, ma non solo, ha generato tante speranze legate ad una tangibile azione di "sinistra" in quel disastrato continente che da sempre è feudo degli Stati Uniti d'America. In questo contesto si inserisce il dibattito sui bio-combustibili, che anche in Italia hanno grandi sostenitori di sinistra come Dario Fo e Franca Rame (vedi la campagna lanciata qualche anno fa sull'uso dell'olio di colza). Purtroppo, però, forse la cosa non è tanto lineare come potrebbe apparire.

Infatti il ministro Dilma Rousseff non ha dubbi nel sostenere che gli agro-combustibili non sono riconducibili alle categorie di destra o di sinistra, ma nemmeno che la scommessa su etanolo e bio-diesel si presenti come energia contro prodotti alimentari, ovvero non deve intendersi come produzione energetica alternativa alla produzione di cibo. E' "semplicemente" una grande opportunità per il Brasile e per il mondo sempre più inquinato, perché assicura un programma che coinvolge l'agricoltura familiare e non solo il grande agro-business, considerando gli aspetti sociali e ambientali della produzione di questa nuova forma di energia.
Lula stesso, in un articolo apparso sul "The Guardian" intitolato "Le meraviglie della canna da zucchero", ha scritto che i bio-combustibili offrono una speranza per i paesi poveri che cercano di rendere compatibile la crescita economica con l'inclusione sociale e la protezione ambientale, sostenendo anch'egli che la questione degli agro-combustibili non è ideologica, ma che deve essere supportata da una politica che la sostenga. Questa politica del governo brasiliano è diretta a coinvolgere l'agricoltura familiare nel programma di produzione del bio-diesel, con finanziamenti agevolati ed esenzioni fiscali. Sostengono il presidente Lula e la ministra Rousseff che l'antitesi etanolo-alimenti è falsa, che la foresta o la produzione agricola per alimenti non saranno toccate. Perché il Brasile è immenso (851 milioni di ettari) e che i 3 milioni di ettari usati per la produzione di etanolo sono appena lo 0.5% delle aree coltivabili.

Eppure, in un quadro apparentemente così lineare ed idilliaco qualcuno vede qualche problema all'orizzonte. E' il caso di Stédile, leader dei Senza-Terra, che di dubbi ne ha molti: ritorno alla monocoltura, l'agro-business su grande scala multinazionale, l'uso generalizzato degli ogm, i contadini lasciati alle leggi del mercato. Tutti elementi che sottostanno e rispondono solo alla logica del profitto.
Stédile fa un'analisi assai preoccupata sostenendo che di fatto è in corso una grande alleanza fra tre tipi di capitale transnazionale: quello petrolifero, quello automobilistico e quello agricolo (come Bungue, Cargill, Monsanto) che sono in procinto di unirsi con i grandi proprietari terrieri del sud, specie in Brasile, per la produzione di agro-combustibili. L'obiettivo palese è quello di produrre una merce "competitiva" per mantenere i loro livelli di profitto e i loro modelli di vita, niente a che vedere con l'ambiente e il riscaldamento globale.
L'impatto di questa politica, dal punto di vista dell'ambiente, potrebbe essere ancora più devastante del problema dell'inquinamento che si suppone di abbattere con i bio-combustibili. Infatti nell'agricoltura capitalista funzionano le regole dell'economia politica, per cui se l'etanolo e gli agro-combustibili danno al produttore più profitti che mais, cotone, grano o fagioli, ci sarà una naturale migrazione di colture alimentari. Come effetto ci sarà un ampliamento delle aree di mono-coltura, canna o soya, per i combustibili e la produzione agricola nella forma di mono-coltura è notoriamente dannosa per natura e ambiente.

Quindi qual è la soluzione? Purtroppo non ho risposte certe, credo però che alcune cose possano e debbano essere fatte in tempi assai rapidi come cambiare il modello di trasporto ed investire in mezzi e ricerca sulle fonti d'energia che stimolino l'uso di fonti alternative.