Blogging: hobby o lavoro?

Su "il manifesto" del 1 Maggio 2008, nella rubrica "chip&salsa", leggo  un interessante articolo dal titolo "Connessi, sfruttati e contenti. Crowdsourcing, ovvero l'utilizzo delle masse collegate alla rete". In questo articolo si riprende un'indagine del "New York Times" che partiva dalla precoce scomparsa di alcuni blogger tecnologici colpiti da infarto e sollevava una nuova questione: l'autosfruttamento di blogger o degli utenti dei social network. In pratica il confine tra hobby e lavoro si assottiglia. E quando questo accade significa che si lavora sempre, ovvero l'hobby viene assorbito dal lavoro.


Pare che oggi i nuovi sfruttati siano i blogger (in questo spazio equivale a parlare di corda in casa dell'impiccato):

  • lunghe ore senza pause, né limiti definiti;
  • pagati a cottimo, per pochi euro;
  • ossessionati dall'idea di essere esclusi perdendo il proprio posto.

Nell'articolo si cita il caso di Facebook, un social network con 70 milioni di affiliati il cui valore si aggirerebbe sui 15 miliardi di dollari. Poco tempo fa ha deciso di utilizzare i propri utenti per effettuare la traduzione del sito nelle diverse lingue.
Chi desidera collaborare deve scaricare un'applicazione e procedere nella traduzione di frasi e comandi usati nel sito e titolo gratuito. Naturalmente si gioca sulla "disponibilità" dei propri utenti. Per questo concetto è stato inventato anche un neologismo: crowdsourcing (da crowd + outsourcing), ovvero l'utilizzo delle masse collegate alla rete per fare eseguire un lavoro prima svolto internamente da un'azienda o un'istituzione. Ovviamente le vecchie "istituzioni" che avrebbero svolto il lavoro in modo remunerato non hanno tardato a farsi sentire. Alcuni traduttori professionisti hanno criticato l'esito del lavoro esternalizzato, giudicandolo di bassa qualità.

Un altro esempio citato è Bebo che è stato venduto dai fondatori, i fratelli Birch, per 850 milioni di dollari ad Aol, di proprietà del conglomerato media TimeWarner.  Questo sito è stato arricchito da musicisti, molti dei quali sono alle prime armi, che hanno condiviso le loro creazioni arricchendolo di contenuti e richiamando visitatori ed inserzioni pubblicitarie. Della ricca vendita nelle loro tasche non entrerà niente.

Appare quindi molto diffusa la pratica secondo cui molte aziende lasciano agli utenti i mezzi di produzione mantenendo però la proprietà dei prodotti risultanti. Gli utenti traggono soddisfazione dal fatto di partecipare e di "esprimersi" e le società ci guadagnano. In tutto ciò il confine tra hobby e lavoro diventa sempre più sottile, praticamente impalpabile. E quando questo avviene forse non è più corretto parlare di hobby. La conquista delle 8 ore lavorative al giorno aveva lo scopo di cadenzare le giornate secondo questo ritmo:

  • 8 ore per lavorare;
  • 8 ore per dormire;
  • 8 ore per svagarsi.

Le nuove tecnologie e le nuove culture di rete pare che stiano rubando spazio alle ultime 16 delle 24 ore giornaliere. Forse allora non è un caso se il "New York Times" ha accostato alcuni decessi all'autosfruttamento che è in corso... io per esempio non mi sento proprio benissimo...