Italia 2010, la scuola calpestata

E' iniziato l'anno scolastico 2010 e Claudia ha iniziato la scuola elementare (per me che sono un genitore antiquato), la scuola primaria (per i tecnocrati del ministero dell'istruzione). Ma al di là dei nomi la sostanza non cambia. Faccio alcune considerazioni sullo stato della scuola perché intravedo pericoli, grossi pericoli. La prendo un po' larga, ma poi vado al punto, non preoccupatevi ;-)
Per voler dare una collocazione alle mie idee politiche, assumendo la classica definizione di destra e sinistra, io mi colloco completamente e convintamente a sinistra. Per me questa collocazione si contraddistingue per tre elementi fondamentali:

  • giustizia;
  • uguaglianza;
  • libertà.

Fuori da ogni retorica credo che si possano realizzare queste condizioni umane solo se a tutti i cittadini di una nazione siano dati gli strumenti per avere piena consapevolezza nell'interpretare la realtà nella quale si trovano. Solo con questo presupposto si garantisce un vero esercizio democratico nel diritto di voto ed un pieno riconoscimento nella società. Come si fa per ottenere tutto questo? Attraverso la diffusione della cultura, da intendersi come diffusione degli strumenti per interpretare la realtà.

 

La scuola quindi diventa elemento chiave e oggi la situazione sotto il sole del "bel paese" è assai negativa. Infatti nella nostra società tutto questo non deve essere dato per scontato. Io per esempio contesto che alla scuola debbano essere applicati concetti utilitaristici tipici delle aziende private. Troppo spesso si è creduto, ed in parte c'è anche la responsabilità dell'ex ministro alla pubblica istruzione Berlinguer, che per rendere la scuola più moderna fosse necessario renderla più simile ad una azienda. In base a questo concetto si introduce l'elemento che se non c'è utile la scuola non possa sostenersi. Io invece sono convinto che lo Stato debba garantire un investimento nella scuola a prescindere e che la scuola possa anche essere in perdita, purché produca "Cultura" e non clientelismo od assistenzialismo come ci fanno credere la ministra Gelmini o il suo collega di Governo Brunetta. Infatti la scuola non è un investimento sul breve termine, ma un investimento sul futuro e non della scuola per la scuola stessa, ma della nazione per la nazione. La riforma che stiamo subendo non ha nulla a che vedere con un investimento, ma produce una regressione spaventosa.
Di questa regressione non tutti sono pienamente consapevole perché forse non si rendono conto della perdita in termini di prospettiva per i nostri figli, per esempio con la forte limitazione del tempo pieno dovuto ai tagli che la ministra Gelmini ha prodotto nelle ore di docenza.

Già questo tema dimostra l'insopportabile sicumera di una ministra che in conferenza stampa afferma che la riforma è volta ad aumentare il tempo pieno. Nulla di più falso e questo per me apre il tema di un ministro della Repubblica che nella migliore (!?!) delle ipotesi è talmente incompetente da non comprendere gli effetti devastanti della sua riforma, nella peggiore delle ipotesi mente sapendo di farlo in modo strumentale e per ragioni legate alla riorganizzazione in classi sociali ben distinte nella nostra società (su questo torno dopo).

Il tempo pieno garantisce solo i genitori che al pomeriggio non potrebbero stare a casa con i bambini? Il tempo pieno può essere inteso come banale "badantato"? No, il tempo pieno è una conquista degli anni '70 che ha garantito anche il tentativo di realizzazione dell'occupazione delle donne (prima le mamme stavano a casa a fare le casalinghe, ora le mamme lavorano e non sono più nella condizione di tenere i bambini con loro nei pomeriggi; tra l'altro anche su questo tema, non propriamente secondario nell'organizzazione di una società, l'Europa ci chiede di fare molto di più essendo l'Italia fanalino di coda rispetto alle prospettive di emancipazione del lavoro femminile). Oltre a questo il tempo pieno è stato anche un'opportunità di sviluppare nuovi metodi di insegnamento che hanno posto la nostra scuola all'avanguardia. Oggi di quella avanguardia stiamo gestendo le macerie. Macerie che si ritroveranno i nostri figli. Per tanti aspetti noi consegneremo loro un mondo peggiore di quello che ci hanno consegnato i nostri padri, invertendo un ciclo virtuoso di crescita costante. E non parlo necessariamente di PIL, ma di benessere legato alla libertà che la maggiore "conoscenza" ti consente di avere.
Sarà su queste macerie che si consumeranno le differenza sociali dei futuri decenni. Già l'allora ministra Moratti (precedente governo Berlusconi 2001-2006) decise che era inutile che il suo ministero si definisse "Ministero della Pubblica Istruzione" e semplificò in "Ministero dell'Istruzione". Potrebbe apparire una banale semplificazione linguistica, ma in realtà nasconde una filosofia "aziendalista" che ha dato ampio spazio ai finanziamenti diretti ed indiretti alle scuole private. Era il tempo delle tre I: Inglese, Informatica, Impresa. Un bell'impegno, in parte condivisibile, se escludiamo l'ultima I che sa molto di ministro berlusconiano e poco di alfabetizzazione necessaria a formare cittadini consapevoli. La storia però ci consegna una situazione che nella 1^ A della scuola primaria Pisano di Modena, a.s. 2010-2011, gli scolari faranno 2 ore di religione ed 1 ora di inglese. La I dell'inglese si è rimpicciolita a vantaggio della R di religione. Forse perché lo Stato ha raggiunto un accordo per cui la religione Cattolica (va da sé che di quella parliamo) venga gestita da docenti nominati dalla Chiesa Cattolica e non dai provveditori agli studi tramite le modalità che invece riguardano tutti gli altri insegnanti? Che relazione c'è in tutto questo tra la roboante promessa della Moratti e quello che è stato realizzato? Possiamo iniziare a misurare l'abissale distanza tra le promesse, gli annunci e la reale volontà di migliorare la condizione scolastica in Italia? Secondo me è necessario ed è doveroso per la responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti dei propri figli.
E' evidente che in un momento di crisi economica dare finanziamenti alle scuole private significa toglierne a quelle pubbliche ed è evidente che se la scuola pubblica non è più in grado di garantire lo scopo di alfabetizzazione civile per cui una scuola pubblica si rende necessaria allora le famiglie che hanno le risorse iscriveranno i figli alle scuole private. E così il figlio del ricco avrà di base più opportunità del figlio del povero.
Io contesto per questo motivo la visione utilitarista della scuola, perché un Governo che fa del populismo la sua caratteristica operativa costruirà un futuro nel quale non sarà possibile la mobilità sociale che invece negli anni del secondo dopo guerra ha garantito lo sviluppo economico in Italia. Per intenderci se il figlio dell'operaio potrà aspirare solo a fare l'operaio, mentre il figlio del dottore potrà avere aspirazioni ben superiori non vi è solo un danno per il figlio dell'operaio, ma vi è un danno per il paese intero.

La retorica della riforma Gelmini si basa ancora una volta su annunci in parte condivisibili: chi potrebbe dichiararsi contrario al merito? Nessun lo può fare. Peccato che il giudizio non avvenga mai sul merito, ma solo sul conto economico. Non ho notizie di studi e verifiche sulle competenze, conoscenze, riqualificazioni e formazioni necessarie anche ai docenti per progredire e migliorare nei metodi di insegnamento. Insomma si parla di meritocrazia, ma poi non la si declina in nessuna forma.
Ma la Gelmini aggiunge anche un altro argomento che fa molta presa sull'opinione pubblica, ovvero la retribuzione garantita ai docenti per le poche ore di lavoro svolto. Ancora una volta siamo in presenza di un tema che ci allontana dal cuore della questione e che vuole trovare una giustificazione popolare ai tagli, la classica giustificazione che, come scriverebbero gli opinionisti navigati convincerebbe la "casalinga di Voghera". Purtroppo però le cifre ci dimostrano che tra i paesi europei i docenti italiani sono quelli che hanno gli stipendi più bassi. Quale sarà il motivo? I docenti italiani sono meno bravi dei colleghi europei, oppure gli altri stati europei ritengono necessario investire risorse nella scuola che invece il Governo italiano preferisce destinare in ponti sugli stretti o caccia bombardieri? La domanda a mio avviso è retorica e la risposta è lampante.

Naturalmente questo è un discorso molto generale. La traduzione nel concreto si può scontrare con le inevitabili difficoltà operative di rigidità e scarsa collaborazione tra gli apparati scolastici. Questo certamente attiene anche ai comportamenti dei singoli ed ovviamente non è data una soluzione univoca che possa prescindere dalle soggettività. Nella mia esperienza scolastica ricordo professori molto bravi che ci hanno dato il loro massimo impegno e ricordo professori che invece ci hanno dato poco o nulla. I secondi danneggiavano anche i primi, ma è sempre così. Per fortuna statisticamente i secondi sono decisamente inferiori ai primi. Ora la riforma Gelmini danneggia tutti colpendo allo stesso modo i primi ed i secondi, ma soprattutto danneggia noi cittadini, non solo per chi ha la ventura di avere figli che frequentano la scuola, ma per tutta la nazione riducendo la nostra capacità competitiva nei confronti delle altre nazioni. Il danno che si sta producendo potrebbe essere irreparabile.

 

C'è chi lo dice da tempo e chi invece si trincera dietro ragioni di opportunità economica. Io credo che il tema della scuola non possa essere affrontato come un'opportunità economica nel breve periodo, ma necessariamente avere un respiro più ampio legato al lungo periodo perché possa garantire realmente benefici alla collettività. Di conseguenza la ministra Gelmini, che fa la "ragioniera" senza curarsi del danno complessivo, non svolge un servizio utile alla collettività.

 

Ciao Valeria,
vorrei fare alcune considerazioni sulle cose che scrivi. La prendo un po' larga, ma poi vado al punto, non preoccuparti ;-)
Per voler dare una collocazione alle mie idee politiche, assumendo la classica definizione di destra e sinistra, io mi colloco completamente a sinistra. Per me questa collocazione si contraddistingue per tre elementi fondamentali:
- giustizia;
- uguaglianza;
- libertà.
Fuori da ogni retorica io credo che si possano realizzare queste condizioni solo se a tutti i cittadini di una nazione siano dati gli strumenti per avere piena consapevolezza nell'interpretare la realtà nella quale si trovano. Solo con questo presupposto si garantisce un vero esercizio democratico del diritto di voto ed un pieno riconoscimento nella società. Come si fa per ottenere tutto questo? Attraverso la diffusione della cultura, da intendersi come diffusione degli strumenti per interpretare la realtà. La scuola quindi diventa elemento chiave.

Probabilmente ti sto tediando con delle banalità, ma nella nostra società tutto questo non deve essere dato per scontato. Io per esempio contesto che alla scuola debbano essere applicati concetti utilitaristici tipici delle aziende private. Troppo spesso si è creduto, ed in parte c'è anche la responsabilità dell'ex ministro alla pubblica istruzione Berlinguer, che per rendere la scuola più moderna fosse necessario renderla più simile ad una azienda. In base a questo concetto si introduce l'elemento che se non c'è utile la scuola non possa sostenersi. Io invece sono convinto che lo Stato debba garantire un investimento nella scuola a prescindere e che la scuola possa anche essere in perdita. Infatti non è un investimento sul breve termine, ma un investimento sul futuro e non della scuola per la scuola stessa, ma della nazione per la nazione. La riforma che stiamo subendo non ha nulla a che vedere con un investimento, ma produce una regressione spaventosa.
Di questa regressione sei pienamente consapevole perché ti rendi conto della perdita in termini di prospettiva per i nostri figli, per esempio del tempo pieno. E lo dimostra il fatto che hai impiegato tempo e risorse per garantirvelo. Già questo dimostra l'insopportabile sicumera di una ministra che in conferenza stampa afferma che la riforma è volta ad aumentare il tempo pieno. Nulla di più falso e questo per me apre il tema di un ministro della Repubblica che nella migliore (!?!) delle ipotesi è talmente incompetente da non comprendere gli effetti devastanti della sua riforma, nella peggiore delle ipotesi mente sapendo di farlo in modo strumentale e per ragioni di classe sociale (su questo torno dopo).

Il tempo pieno garantisce solo i genitori che al pomeriggio non potrebbero stare a casa con i bambini? Il tempo pieno può essere inteso come banale "badantato"? No, il tempo pieno è una conquista degli anni 70 che ha garantito anche la realizzazione dell'occupazione delle donne (prima la mamma stava a casa a fare la casalinga, ora la mamma lavora, anche se l'Europa ci chiede di fare molto di più essendo l'Italia fanalino di coda rispetto alle prospettive di emancipazione del lavoro femminile). Ma il tempo pieno è stato anche un'opportunità di sviluppare nuovi metodi di insegnamento che hanno posto la nostra scuola all'avanguardia. Oggi di quella avanguardia stiamo gestendo le macerie. Macerie che si ritroveranno i nostri figli. Per tanti aspetti noi consegneremo loro un mondo peggiore di quello che ci hanno consegnato i nostri padri invertendo un ciclo virtuoso di crescita costante.
Su queste macerie si consumeranno le differenza sociali dei futuri decenni. Già l'allora ministra Moratti (precedente governo Berlusconi) decise che era inutile che il suo ministero si definisse "Ministero della Pubblica Istruzione" e semplificò in "Ministero dell'Istruzione". Potrebbe apparire una banale semplificazione, ma in realtà nasconde una filosofia "aziendalista" che ha dato ampio spazio ai finanziamenti alle scuole private. Era il tempo delle tre I: Inglese, Informatica, Impresa. Un bell'impegno, in parte condivisibile se escludiamo l'ultima I che sa molto di ministro berlusconiano e poco di alfabetizzazione necessaria a formare cittadini consapevoli. La storia ci consegna una scuola che nella 1° A della scuola elementare Pisano di Modena, a.s. 2010-2011, fa 2 ore di religione ed 1 ora di inglese. Che relazione c'è con la roboante promessa della Moratti e quello che è stato realizzato? Possiamo iniziare a misurare l'abissale distanza tra le promesse, gli annunci e la reale volontà di migliorare la condizione scolastica in Italia? Secondo me è necessario ed è doveroso per la responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti dei propri figli.
E' evidente che in un momento di crisi economica dare finanziamenti alle scuole private significa toglierne a quelle pubbliche ed è evidente che se la scuola pubblica non è più in grado di garantire lo scopo di alfabetizzazione civile per cui una scuola pubblica si rende necessaria allora le famiglie che hanno le risorse iscriveranno i figli alle scuole private. E così il figlio del ricco avrà di base più opportunità del figlio del povero.
Io contesto per questo motivo la visione utilitarista della scuola, perché un Governo che fa del populismo la sua caratteristica operativa costruirà un futuro nel quale non sarà possibile la mobilità sociale che invece negli anni del secondo dopo guerra ha garantito lo sviluppo economico in Italia. Per intenderci se il figlio dell'operaio potrà aspirare solo a fare l'operaio, mentre il figlio del dottore potrà avere aspirazioni ben superiori non vi è solo un danno per il figlio dell'operaio, ma vi è un danno per il paese intero.

La retorica della riforma Gelmini si basa ancora una volta su annunci in parte condivisibili: chi potrebbe dichiararsi contrario al merito? Nessun lo può fare. Peccato che il giudizio non avvenga mai sul merito, ma solo sul conto economico. Non ho notizie di studi e verifiche sulle competenze, conoscenze, riqualificazioni e formazioni necessarie anche ai docenti per progredire e migliorare nei metodi di insegnamento. Insomma si parla di meritocrazia, ma poi non la si declina in nessuna forma.
Ma la Gelmini aggiunge anche un altro argomento che fa molta presa, ovvero la retribuzione garantita per le poche ore di lavoro. Ancora una volta siamo in presenza di un tema che ci allontana dal cuore della questione e che vuole trovare, attraverso questo argomento, una giustificazione popolare ai tagli. Purtroppo però le cifre ci dimostrano che tra i paesi europei i docenti italiani sono quelli che hanno gli stipendi più bassi. Quale sarà il motivo? I docenti italiani sono meno bravi dei colleghi europei, oppure gli altri stati europei ritengono necessario investire risorse nella scuola che invece il Governo italiano preferisce destinare in ponti sugli stretti o caccia bombardieri? La domanda a mio avviso è retorica...

Naturalmente il mio è un discorso molto generale. La traduzione nel concreto si può scontrare nella difficoltà che dicevi di rigidità e scarsa collaborazione. Questo certamente attiene anche ai comportamenti dei singoli ed ovviamente non è data una soluzione univoca che possa prescindere dalle soggettività. Non è giustificata e non è giustificabile, ma io la vedo anche nel privato e certamente nella scuola pubblica non è percentualmente superiore.
Nella mia esperienza scolastica io ricordo professori molto bravi che ci hanno dato il loro massimo impegno e di professori che invece ci hanno dato nulla. I secondi danneggiano anche i primi, ma è sempre così. Ora la riforma Gelmini danneggia tutti noi, non solo che ha la ventura di avere figli a scuola, ma tutta la nazione riducendo la nostra capacità competitiva nei confronti delle altre nazioni. Il danno che si sta producendo potrebbe essere irreparabile.
Immagine tratta da pausacaff.blogs.teknusi.org
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