Bene o male? Giusto o sbagliato?

Il BENE è ciò che è buono in sé, utile, opportuno, vantaggioso, necessario per un essere umano che intenda seguire principi morali o etici. L'uomo retto tende al bene, aspira al suo compimento, spesso in ambito collettivo e non semplicemente individuale perché ne giova anche lui in prima persona (non solo in beni materiali, ma spesso per appagamento della propensione della propria coscienza, delle proprie idee di giustizia e di equità).
Il MALE è la negazione del BENE, è contrapposto al BENE, lo contrasta operando per cancellarlo. L'uomo malvagio tende al MALE, aspira al suo compimento perché ne giova in prima persona (spesso per appagamento della propensione alla ricerca di potere, di supremazia, di sopraffazione e di beni materiali che non sono garantiti dal BENE).
Il BENE è auto gratificante, non ha bisogno di riconoscimenti o ringraziamenti, il MALE al contrario prospera proprio su cosa può accadere dopo, quale sarà il beneficio che si trae dal comportamento maligno adottato.
Dietro al BENE ed al MALE ci sono sempre e comunque esseri umani con le personali aspirazioni, idee, passioni, debolezze, propensioni morali o etiche.
Da bambini ci hanno insegnato che il BENE ed il MALE erano nettamente divisi: due campi separati da un confine, valicato il quale tutto cambiava. L'assoluto ci è stato spacciato come il termine di riferimento: o BENE o MALE. Le storie che ci hanno raccontato, che abbiamo visto, erano caratterizzate in modo invariabile da questo canovaccio: il buono viene attaccato dal cattivo che inizialmente sembra avere la meglio, ma nel finale una forza superiore aiuta il buono a vincere, perché il buono vince sempre, è una soluzione invariabile. La fenomenologia del libro "Cuore" o de "I ragazzi della via Pal" ci consegna, al contrario, ambigui finali nei quali a volte il buono muore; ma questo accade come conseguenza dell'atto di eroismo che consente al BENE di vincere sul MALE. Insuperabile.
Poi siamo cresciuti ed abbiamo scoperto che l'equazione del buono che vince perché è il portatore del BENE è una favoletta per ragazzini. Abbiamo constatato che il buono integerrimo, coraggioso e disposto a tutto non è così diffuso, anzi i casi sono rarissimi ed a memoria in Italia mi vengono in mente solo Giorgio Ambrosoli e Guido Rossa. Non perché non ce ne siano stati altri, ma perché questi due hanno deciso addirittura di portare alle estreme conseguenze le loro scelte. In nome del BENE hanno accettato di correre il rischio di morire. E purtroppo è successo realmente. Personaggi così si potrebbero definire da libro "Cuore", purtroppo il loro sacrificio non ha garantito il successo del BENE. Certamente non con le modalità e con i tempi previsti dal libro "Cuore".
E' ovviamente difficile per un bambino confrontarsi con queste valutazioni, ma poi cresci ed hai qualche strumento in più per difenderti. E con questi strumenti abbiamo iniziato a confrontarci con una vita che non è fatta di assoluto, ma che è contraddistinta dal relativo. Ho rivalutato il contesto in cui alle elementari la maestra di religione introdusse un elemento di "relativismo a termine". Ci raccontò del "potere" del Natale (il BENE per eccellenza) che addirittura consentì ai cattivi per antonomasia, i tedeschi, di redimersi temporaneamente e festeggiare tra le trincee della I guerra mondiale un Natale con i buoni per eccellenza, gli italiani. Poi da Santo Stefano via a tirarsi schioppettate nuovamente. Naturalmente il merito della pacificazione temporanea era del potere intrinseco nella festa del Natale e noi bambini rimanemmo incantati dalla realizzazione dell'impossibile. Infatti, nel bagaglio culturale degli schemi che ci avevano fornito, quella situazione aveva solo la soluzione che dava agli italiani la vittoria e che costringeva i tedeschi alla giusta sconfitta.
Questo schema non può reggere nella vita reale dove spesso ci confrontiamo con il BENE che soccombe ai danni del MALE. È giusto dover dire ad un genitore, ad una moglie, ad un figlio della morte del loro caro? E non sto pensando solo alla guerra, sto pensando alle morti nei luoghi di lavoro, sto pensando alle morti prodotte dalla malavita, sto pensando alle morti suicide indotte dalle ingiustizie. No, non è giusto, è profondamente sbagliato, ma il mondo in cui viviamo è questo. In modo giusto o sbagliato diverse rivoluzioni hanno provato a cambiarlo, ma ad oggi lo stato dell'arte è questo. Forse dobbiamo provare a cancellare le categorie assolute di BENE e MALE e ragionare in modo meno pretenzioso e più realistico di giusto e sbagliato senza abdicare al necessario e continuo tentativo di modificare questo mondo per creare un mondo più giusto e meno sbagliato.
Capisco che rappresenta una grande discesa di livello, capisco che l'afflato ideale possa risultare definitivamente cancellato, ma almeno provare a estrapolare gli elementi giusti o sbagliati da contesti che non possono dirsi il BENE o il MALE ci consente di fare una valutazione più stringente. Ci consente di operare per migliorare, per piccoli pezzi, lo sbagliato e renderlo giusto. Forse riusciamo a realizzare una analisi che non ometta il contesto e che ci consenta di trarre conclusioni e soluzioni parziali senza soggezione rispetto all'astrattezza del BENE e del MALE.
La sfida diventerebbe quella di non restare fermi, inerti ed impotenti di fronte alla realizzazione di un BENE lontano ed irrealizzabile, ma di operare attivamente per realizzare un parziale giusto, piccolo, limitato, ma concreto e più vicino a noi.