Da grande volevo fare il barista

Alle elementari (ai miei tempi si chiamavano ancora così) tutti abbiamo svolto il tema "Cosa vorresti fare da grande?". Tema assai delicato che voleva sviscerare le tue aspirazioni e le tue paure, le tue speranze e le tue certezze incrollabili sul tuo futuro. Ma devo confessare l'inconfessabile: a 8 anni le mie aspirazione e le mie speranze riuscivano a malapena ad arrivare al pomeriggio della giornata in corso, quindi il tema per me era spropositato. Io non sapevo cosa volevo fare da grande! Ok, panico, e adesso cosa scrivo? Nonostante ciò questo tema doveva essere svolto con diligenza e capacità grammaticale adeguata. Visto che la seconda caratteristica tendeva ad essere traballante meglio puntare tutto sulla diligenza. Quindi mi lanciai a capofitto a descrivere rapidamente e precisamente (diligente è sinonimo di preciso e veloce, vero?) quello che avrei voluto diventasse il mio lavoro: il barista. Del resto mentre scrivevo mi rendevo conto che era vero: cosa c'era di più bello se non il mestiere del barista?

 

Era evidente che il mestiere del barista sapeva di gratificante e gradevole. Il barista ti accoglieva sempre con il sorriso sulle labbra, ti invitava cordialmente a decidere quale colazione ti avrebbe soddisfatto quella mattina e poi restava lì a chiacchierare amabilmente con te di calcio, di meteorologia, di salute, della viabilità, di politica... Il barista aveva una risposta per tutto e per tutti, nulla gli sfuggiva! E pensavo che non poteva che essere così perché, terminato il turbinio delle colazioni, aveva tutto il tempo per leggersi i giornali che lo informavano su tutto lo scibile umano. Lo studio, si sa, è importante, ma non credo che riuscii ad enfatizzare adeguatamente questo aspetto del lavoro del barista nello svolgimento del tema e di conseguenza nemmeno accattivarmi la simpatia della maestra (captatio benevolentiae fallita). Eppoi il barista aveva la straordinaria capacità di leggere il pensiero: lui sapeva esattamente quello che avresti ordinato, tanto che ad un certo punto mi accorsi che alcuni ricevevano la colazione prescelta senza nemmeno parlare. Togo! La lettura del pensiero è forte, chissà quanto allenamento dovrà aver fatto il barista, però i benefici saranno stati straordinari. Questo non mi poteva mancare!

Il bar io lo avevo scoperto poco tempo prima quindi ero ancora soggetto ad una certa suggestione dalla sorpresa provocata da un mondo nuovo. Dopo il trasloco lontano da scuola, di solito al sabato mattina, mi accompagnava a scuola mio padre e, come farei io oggi con mia figlia, con lui non si faceva colazione a casa, ma ci si fermava al bar. Mi si aprirono centinaia, se non migliaia, di possibilità che a casa erano precluse: paste alla crema, alla marmellata, alla cioccolata, gnocco al forno, all'olio, fritto, panini dolci con salame o prosciutto, toast, tramezzini, succhi di frutta di ogni genere e specie,... La colazione casalinga che era buona e rassicurante (caffellatte con gnocchino fritto o biscotti "Merenda" come configurazione standard) veniva però sommersa dalla rivoluzione del sabato mattina. Mai più schiavo della stessa colazione seriale! Ora avevo modo di scegliere tutto quello che volevo! Nonostante questi intendimenti in brevissimo tempo il barista mi identificò come cliente abitudinario, seppur aderente al modello rivoluzionario introdotto dall'esistenza del bar. Quindi quando mi vedeva entrare nel locale preparava senza attendere un gnocchino fritto ed un succo di frutta alla pesca: non sbagliava mai! Io rimanevo sinceramente sbigottito da questa capacità di leggermi nel pensiero di volta in volta ed anche quando avessi voluto qualcosa di diverso pensavo che, in fondo, in fondo, in fondo la mia reale volontà era prendere un gnocco fritto ed un succo alla pesca, perché il barista quello aveva letto nel mio pensiero. Lui aveva ragione! :-)

Non ricordo il risultato del tema (quindi escludo un risultato trascendentale), ricordo però che il giorno in cui la maestra ci riconsegnò i temi, dopo la distribuzione dei quaderni, ci spiegò chi erano i filosofi. Ci disse cose, per me vaghissime, che mi misero in forte disagio. Ci disse che i filosofi erano persone che amavano il conoscere ed il sapere (dei sapienti, le due enciclopedie che andavano per la maggiore erano nell'ordine "Conoscere" e "Sapere") e l'indagine necessaria per sapere sempre di più sulla natura umana e non. Quindi i baristi, che sanno tutto, sono dei filosofi, anche se non hanno le due enciclopedie? I filosofi, disse la maestra, sono persone che pensavano all'uomo ed al mondo in cui viveva l'uomo per giustificarne i funzionamenti. Non il mondo inteso solo per quello che riguarda gli aspetti visibili, anche riguardo ad aspetti nascosti alla vista, ma che pure esistono. Oddio, un mal di testa terribile! Vivevamo in un mondo con elementi nascosti alla vista? E se ci sbattevo contro senza accorgermene e li rompevo come facevo a sapere che li avevo rotti ed a porvi rimedio? Vabbè, tanto nessuno li vedeva e quindi nessuno se ne accorgeva. Forse esclusi questi indagatori che erano i filosofi? Mi chiedevo: "chi sarà quel pazzo in classe che ha scritto che vuole fare il filosofo? Ora devo identificarlo! Secondo me è un po' strano, però mi deve far capire meglio chi è il filosofo, potrei anche scambiarlo con il barista, anche se mi pare che la lettura del pensiero valga di più che vedere cose che solo i filosofi vedono" ;-)

Nota: non trovai mai il compagno o la compagna che voleva fare il filosofo :-)