Inidoneo a giocare per vincere

Nella Primavera del 1982 incontro al primo turno del torneo under 14 di Castelfranco un ragazzo reggiano. Ha un anno più di me, è almeno una spanna più alto e, cosa peggiore, è mancino...
Già negli scambi durante il riscaldamento sento che la sua palla è più "pesante" di qualsiasi palla abbia mai "sentito" impattare sul piatto corde della mia Rossignol in grafite; una racchetta tanto rigida che in pochi mesi accompagnerà il mio gomito ad una epicondilite che mi bloccherà per parecchie settimane e che già allora mi faceva pensare quanto mi trovassi meglio con le più flessibili Slazenger e Wip in legno, che mi perdonavano meno in termini di errori gratuiti, ma con le quali mi sentivo più a mio agio.
Siccome è mancino so che dovrò anche rovesciare la mia semplice tattica che prevede dritto lungolinea e rovescio incrociato per colpire sul rovescio dell'avversario, presumibilmente il colpo più debole: con questo schema oggi sbatterei la faccia su un dritto, bruttissimo a vedersi, ma che il ragazzo reggiano carica con una velocità del braccio, una rotazione del polso e dell'avambraccio che io non riuscirò mai ad effettuare.
Vedo come tira il servizio e penso "come farò a rispondere a quei missili ed a reggere gli scambi da fondo campo?". Forse la mia partita finisce lì, prima di iniziare, ma una possibilità, nonostante tutto, c'è l'ho avuta.
Comincia la partita e serve lui. Il game viene vinto a 0. Rispondo a tutti i servizi, non concedo nessun ace, ma lo faccio in modo talmente goffo che il punto arriva regolarmente al colpo esplosivo che segue la mia raffazzonata risposta. Penso a quello che mi ha detto il mio allenatore: non concedere mai punti senza che l'altro se li debba conquistare una seconda, una terza, una quarta volta; se non te la senti non arrischiare il colpo definitivo che porta la palla vicino alla riga, tieni la palla lunga, ma abbondantemente dentro il campo e lascia che sia l'altro a rischiare per il punto. Tattica necessaria se non hai il colpo da ko, bello a dirsi, ma i missili a cui devo rispondere consegnano al mio avversario palle lente, alte che non superano la metà campo ed il punto successivo è un gioco per il ragazzino di 14 anni.
Vado io al servizio. Decido di servire sempre la prima ad una velocità ridotta e diretta al corpo per far spostare il ragazzone e non concedergli l'angolo utile per il movimento delle sbracciate con le quali mi rimanderebbe missili ingiocabili. L'idea funziona, il reggiano rimanda nel mio campo palle che posso gestire come mi ha consigliato l'allenatore ed allora faccio sì che sia lui a rischiare per fare il punto. Devo dire che una tattica di questo tipo è noiosa e dispendiosa. Non puoi concederti la minima distrazione perché sennò verresti "sbranato". Devo essere sempre attento e non divagare, ma io sono portato alla divagazione perché quel tennis attendista non mi piace, mi annoia, non mi dà la gioia ed il divertimento di giocare: io sono lì per giocare a tennis, non per vincere a tennis per sopraggiunta noia. Il secondo game lo porto a casa, ma sono già stanco, nonostante abbia insinuato nel mio avversario il dubbio che non sarà così semplice vincere, come forse aveva pensato durante i palleggi di riscaldamento assaggiando i miei "colpetti" piatti. La partita si incanala in una strada che potrebbe essermi favorevole: l'avversario è molto più forte di me, ma preso dalla foga di dover fare il punto inizia a fare qualche sbaglio di troppo. Lo fa anche al servizio con un paio di doppi falli. Io devo rimanere lì, agganciato, non sarò artefice della mia vittoria, ma artefice della sua sconfitta?
Stiamo per giungere alla fine del primo set. Il reggiano continua a forzare ed io sono completamente svuotato dalla mia tattica. Poi mi accade il colpo della vita. Il reggiano tira un drittaccio incrociato, io non avrei il tempo di arretrare perché la palla viaggia talmente veloce che mi scavalcherebbe, quindi decido, contro ogni logica di conservazione, di correre incontro alla palla e di giocare un rovescio in controbalzo. Palla incrociata sulla riga esterna all'altezza della metà campo. Il reggiano la può solo guardare passare, ora è lui impotente di fronte all'imponderabile: aveva tirato il colpo vincente e si è imbattuto in una mia risposta inconcepibile. Mi convinco che posso riprovare, che devo riprovare su questa strada. Ora l'avversario sa che posso fargli anche male. Io conquisto il game, sia 4 pari, ora va lui al servizio ed io, rincuorato dal mio rovescio, gioco sulla risposta come se potessi disporne. Il risultato è disastroso. Forse il reggiano ha perso un po' di fiducia, forse ora è contratto e serve peggio, ma io sparacchio fuori campo 4 risposte. Lui porta a casa il servizio e nel game successivo mi sbaraglia completamente vincendo il set. Dall'euforia alla debacle totale. Il secondo set è un disastro, con la testa non riesco a rientrare nello schema di gioco che mi aveva consentito di rimanere aggrappato al mio avversario per quasi tutto il primo set ed al contempo non riesco più a rivitalizzarmi con qualche colpo vincente. Senza accorgermene perdo il secondo set a 0. Per fortuna il mio allenatore non c'è a vedere questo disastro tattico nel quale ho disperso l'opportunità di giocarmi la partita nel giro di un pazzo game. Ho peccato di presunzione e pensato di essere un matto agonista come un Jimmy Connors qualsiasi, quello che, pur essendo inferiore tecnicamente, sconfiggeva Panatta e Lendl solo per la sua stratosferica fame di vittoria e non per le sue doti tennistiche (che pure esistevano se ha vinto 2 Wimbledon a 8 anni di distanza e fatto 3/4 di slam nel 1974).


Un paio di anni dopo ritrovo il reggiano sul mio cammino, sempre al primo turno, al torneo under 16 di Albinea. Ora siamo quasi alti uguale, lui però è già classificato e si atteggia da prima donna che, gentile, saluta tutti i fans che lo incoraggiano nel cammino che dagli spogliatoi ci accompagna al campo, come se ce ne fosse bisogno. Nulla di meno necessario in quel giorno perché era già predestinato alla vittoria: era il più forte tra i due. La sua palla resta pesante per il mio gioco piatto ed il mio povero gomito, l'essere mancino aggiungerà fastidio a qualsiasi mia azione di gioco. Lui non si ricorda di me, nemmeno come di una delle tante tacche segnate sulla racchetta, ma io mi ricordo di lui e decido di non faticare inutilmente in uno stile di gioco che non mi si adatta, sapendo che tanto alla fine avrei ceduto. Resto inferiore, sono inferiore. Lui è il più forte e vincerà, forse ancora più facilmente della volta precedente, ma nella mia arruffata condotta di gioco mi tolgo il gusto di fargli qualche scherzo che, ne sono sicuro, lo indispettisce. Gioco a tennis e non vinco a tennis. Utilizzo il rovescio tagliato per rallentare la velocità degli scambi e per muovere il mio avversario a destra e sinistra. Spesso con questo colpo di approccio, rigorosamente in lungo linea, mi lancio a rete con effetti non sempre encomiabili (vengo passato spessissimo a destra, a sinistra e sopra), ma gli metto pressione costringendolo a conquistarsi il punto con fatica. Questo mio stile di gioco "impigrisce" il mio avversario che non trova utile leggere attentamente il mio rovescio perché non gli lascia significativi segni nel punteggio e la sua disattenzione mi torna utile per fare qualche palla corta che lo lascia sempre immobile, inebetito, ancorato alla linea di fondo campo. Non si raccapezza su questo tipo di "scherzo" che gli ho giocato. È una lesa maestà che dovrà essere lavata con il violento passante successivo!
Altra lesa maestà è giocare il mio rovescio piatto, incrociato o lungo linea, per trafiggerlo con rara precisione ogni volta che scende a rete. Sarà pigro nel leggere quello che faccio con il mio rovescio tagliato, ma non è stupido e dopo qualche passante, un paio diretti su discesa a rete per seguire il servizio, valuta inopportuno tornare a rete. Sceglie quindi di restare ancorato a fondo campo e di bombardarmi con la sua artiglieria pesante più utilmente ed in modo meno rischioso: in questo caso i punti sono quasi sempre suoi, io sono troppo "leggero" per reggere. Perdo in due set, questa volta non riesco nemmeno a pensare di essermi avvicinato ad un momento decisivo che avrebbe potuto invertire il corso della partita. Però me la sono giocata come mi piaceva, nonostante tutto. E la cosa è apprezzata anche dagli spettatori che prima della partita salutavano il predestinato alla vittoria e dopo la partita si complimentavano per alcune mie scelte. Effimere consolazioni di un perdente.
Il mio allenatore non c'è nemmeno in questa occasione. Certamente mi avrebbe dato una bella strigliata anche se perdere da un giocatore più forte non è grave lo diventa se non hai modificato la tua tattica per cercare di vincere. I kamikaze non sono riconosciuti come buoni tennisti. Io però con la mia cerbottana qualche punzecchiatura l'ho lasciata, a futura memoria :-)