Il tennis è un gioco che avvicina gli atleti ad un comportamento prossimo all'autismo. Non è raro vedere giocatori che parlottano, ovviamente da soli e sistemando le corde della racchetta, per
darsi coraggio, per darsi disciplina, per rimproverarsi. Oppure che inveiscono, sommamente irascibili, contro ciò che li circonda. Poco importa che sia l'arbitro, l'avversario, il pubblico, il
sole, la riga di fondo campo. Nella vita comune una riga di fondo campo non ti sconvolgerebbe, nella vita su un campo da tennis può farti perdere le staffe, può farti perdere una partita.
Quando gli atleti entrano nel campo di gioco si accende la lampadina di un universo personale che dipende da poche ed incontrollabili variabili: l'avversario, l'arbitro, il pubblico, il campo di
gioco, il meteo (sole, vento, temperatura). I fatalisti lo chiamano "destino" dove nulla dipende da te, se non le risorse che personalmente possiedi e la capacità che hai di usarle
istantaneamente per vivere da protagonista solitario nel ristretto periodo di esistenza in quell'universo che esiste in quel campo di gioco. Essere concentrati significa focalizzare tutte le
forze su questo universo. Senza perdere la misura questa concentrazione sarà da ricalibrare all'incontro successivo, perché tutte o almeno parte delle variabili potrebbero cambiare.
Solo i grandissimi campioni hanno la capacità di concentrarsi sul loro ombelico perché ciò che li circonda è indifferente al risultato. Ma sono stati realmente pochi campioni così disinteressati
e non sono riusciti mai a godere di questa straordinaria situazione oltre un periodo ristretto. Presto o tardi è sopraggiunto qualcuno o qualcosa che li ha costretti a fare i conti anche con
tutte le altre variabili che affrontavano con spavalda indifferenza. Fino ad un dato momento avevano disposto di una forza tale che rendeva ininfluente al loro gioco ciò che li circondava, poi
quella forza svanì accompagnando chi si permise di sconfiggerli.
Anche per questo motivo quando il tennis diventa gioco di squadra nella specialità del doppio la somma dei due non è necessariamente il risultato aritmetico finale: tale dato può essere superiore
se i due sono diligenti e tennisticamente intelligenti, ma se non lo sono sarà inevitabilmente inferiore. L'autismo latente viene leggermente alleviato dall'avere un compagno, ma non sempre
questa riduzione è praticabile: l'ego del tennista singolarista che non sa adattarsi al gioco del doppio lo relega ad essere una singolarità che sta giocando incidentalmente con un compagno al
fianco. Il doppio introduce una ulteriore variabile incontrollabile che è il compagno di squadra. Variabile amica, ma non sempre.
Nel doppio il giocatore più forte della coppia deve giocare a sinistra. Il motivo è semplice: i punti decisivi vengono sempre serviti a sinistra ed è bene che il giocatore più solido della coppia
sia quello che risponderà in quelle occasioni. Si suppone inoltre che il giocatore più forte abbia una migliore padronanza di tutti i colpi, compreso il temuto rovescio, storicamente ritenuto il
punto debole, e non di forza, di ogni giocatore. Ovviamente ci sono le dovute eccezioni: Connors ed Edberg, tra quelli che ho visto in diretta, testimoniano che non è sempre così.
L'unica eccezione è quando un giocatore della coppia è mancino. In questo caso a sinistra gioca il mancino per la predetta ragione: il dritto è statisticamente il colpo migliore della
coppia.
Nella mia vita tennistica solo una volta ho visto l'infausta scelta di vedere il destro giocare a sinistra ed il mancino giocare a destra. Era un incontro di coppa Davis e la coppia male
assortita era composta da Paolo Canè e Diego Nargiso. La disposizione invertiva la logica destro/sinistro, ma al contempo confermava la logica che il più forte stava a sinistra (Canè). Non
ricordo chi erano gli avversari, ma gli azzurri furono annientati. Sintomo che la logica destro/sinistro supera la logica che il più forte sta a sinistra. Non abbiamo la controprova, ma
l'imbarazzante resa del nostro doppio già è assimilabile ad una controprova chiara: peggio di come andò non avrebbe potuto andare.
Nella mia piccolissima esperienza ho vinto una partita di doppio nella quale ho visto e sconfitto il ragazzino più forte che mi sia mai capitato di incontrare. Aveva quasi 4 anni meno di me, del
mio compagno e del suo compagno. Un dodicenne in campo con altri 3 giocatori quasi sedicenni. Era evidente a tutti che lui era il più forte tra i presenti, sia in campo che a bordo campo,
compresi quindi i giocatori seniores. Nonostante questo volle gratificare la sua superiorità giocando a destra e per questo, e solo per questo, la sua squadra perse una partita combattuta. La sua
assenza nel lato sinistro del campo li condannò. Successivamente divenne un giocatore professionista, non un top player, ma tra i primi 300 del mondo.
Io invece giocavo sempre a sinistra. Mi ero rassegnato fin dalla giovanissima età a non discutere con il compagno di turno che preferiva giocare a destra. In questo modo io imparai a giocare a
sinistra e tutti eravamo contenti. Il mio rovescio piatto, di semplice impatto anticipato sul servizio dell'avversario e senza rotazione, restava basso sopra la rete e rendeva difficile il colpo
al volo dell'avversario che scendeva a rete. Spesso ottenevo un punto diretto con risposte vincenti e più servivano forte sul mio rovescio più la palla che usciva dalla mia racchetta era veloce,
naturalmente ace esclusi. Dalla postazione di sinistra riuscivo anche ad impattare bene con il dritto con il quale colpivo con leggero ritardo andando ad incrociare con colpi che i moderni
cronisti chiamano a "sventaglio". Altro non era che un dritto anomalo di un giocatore destro che dalla sinistra del campo tira con il dritto sul lato destro, però dritto anomalo è meno cool di
dritto a sventaglio ed ora nelle cronache ci sorbiamo queste sintetiche descrizioni.
Giocare a destra, invece, mi rendeva nervoso e clamorosamente falloso. La mia risposta di dritto era sempre in ritardo, la mia risposta di rovescio era sempre in anticipo e troppo spesso la mia
palla era talmente vicina all'avversario a rete che ne approfittava per chiudere rapidamente il punto.
Ho memoria di due bruttissimi incontri di doppio dove per le ragioni tecniche già descritte giocai a destra.
Nel primo caso era un doppio misto e la mia compagna di gioco era una ragazza mancina. Accidenti alla mancina. Non potevo che stare a destra ed il risultato della mia prestazione fu talmente
sconfortante che perdemmo in due rapidissimi set.
Nel secondo incontro ero la riserva di doppio e sostituii uno dei due titolari. Per questo motivo era il più debole della coppia. Ovviamente mi toccava la posizione a destra. Fu l'unico caso in
cui il mio compagno non mi chiese di stare a destra, ma mi impose di stare a destra e garantire un rendimento accettabile, al resto ci pensava lui. Il mio rendimento fu altalenante, certamente
non all'altezza del titolare, ma certamente non disastroso. La partita fu combattuta, ma la perdemmo: all'insita insicurezza nel giocare fuori dal mio orticello si sommò l'insicurezza di non
aiutare adeguatamente il mio compagno. Come in tutti i casi di profezie che si auto-avverano il mio compagno profetizzò che non sarei stato all'altezza e così fu.