Autore: Walter Benjamin
Note e commenti: Alessandro Baricco
Giudizio: ***
La libreria per me è un luogo magico: con un incantesimo bianco si produce l'effetto attrattivo che mi sottrae, per qualche decina di minuti, alla vita reale. Entro anche solo per entrarci e ne
esco, quasi sempre, stringendo almeno un libro.
Non saprei dire quando l'incantesimo mi abbia colpito, anzi no, lo so benissimo: tutto ebbe inizio durante l'ora di biblioteca che la professoressa di lettere alle medie aveva istituito. In
quell'ora si apriva l'armadio della biblioteca di classe solitamente utilizzato come una porta per il calcetto giocato con una pallina di carta appallottolata pochi minuti prima della
ricreazione. Da quell'apertura, che durava una sola ora settimanale, usciva un mondo inesplorato, affascinante e mostruoso, un viaggio al centro della terra. Potevo scegliere liberamente cosa
leggere e, nonostante le poche decine di titoli, percepivo che non sarebbe stato possibile leggere ogni cosa. Infatti i volumi chiusi nell'armadio erano ampiamente più che sufficienti per me che
avevo tutto il mondo da leggere (affascinante) e comunque non avrei mai potuto esaurirli (mostruoso). Brama e limitazione, l'agognato tutto era precluso dalle limitazioni fisiche, ancora me ne
faccio un cruccio per non aver trovato la via di uscita attraverso un vulcano.
A tredici anni entrai da solo in una libreria con un obiettivo ben definito: acquistare il romanzo di narrativa scelto dalla professoressa di lettere, "Piccolo mondo antico" scritto da tale
Antonio Fogazzaro, autore a me sconosciuto che non poté conquistare la mia attenzione ed il mio apprezzamento. Fui però rapito dalle pareti del negozio: scaffali ricolmi di libri. Titoli, colori,
risvolti di copertina, nomi di autori che, anche se solo per sentito dire, conoscevo. Leggere la quarta di copertina mi avvicinava pericolosamente verso l'ignoto contenuto del volume e questo
accade ancora oggi: una magica luccicanza ancora non esaurita.
E' successo, non ultimo, con "Il narratore" saggio scritto da un autore a me sconosciuto, su un autore a me sconosciuto, commentato da un autore a me sconosciuto. Potrebbe apparire snob
l'atteggiamento che mi fa scrivere che non conosco Baricco, mentre potrebbe certificare la mia ignoranza scrivere che non conosco né Leskov, né Benjamin. In realtà conosco Baricco, ma non ho
letto mai nulla scritto da lui. Ho ascoltato solo i suoi avvolgenti contributi e commenti in una libresca e bellissima trasmissione televisiva degli anni '90: ampliava, se possibile, la mia
attrazione verso le librerie / biblioteche. Confermo invece come terribilmente vera la certificazione della mia ignoranza sugli sconosciuti, in senso letterale, Leskov e Benjamin.
La lettura del saggio mi lascia con diverse sorprese ed alcune considerazioni.
La prima, e fondamentale, sorpresa è che non sarei riuscito a leggere il testo con sufficiente consapevolezza senza la guida alla lettura che costruisce Baricco. Certamente la mediazione di
Baricco non può considerarsi neutra e potrebbe aver traviato la mia percezione del contenuto, ma senza quest'operazione di guida io non sarei riuscito ad orientarmi e mi sarei perso. Operazione
dantesca, peccato che io non sia Dante e Baricco non sia Virgilio.
La seconda sorpresa è che alla fine della lettura non so praticamente nulla di più su Leskov e sulla sua opera, cosa che non mi sarei atteso per l'accezione ed il senso che io do alla locuzione
"saggio scritto sulla sua opera". Leskov è un narratore, forse l'ultimo? Il motivo di questa scelta stilistica di Benjamin di svelare solo in parte l'opera di Leskov la spiega Baricco con
ripetuti interventi di commento. Virgilio in tono minore, ma necessario.
La terza sorpresa è che Benjamin esprime l'opinione che la forma romanzo e l'informazione giornalistica hanno poderosamente contribuito al tramonto della narrazione originaria. Una sorta di
corruzione del tempo fatta ai danni della narrazione. Narrazione originaria che collocava il narratore in posizione neutra, giusta, etica. Da ogni fiaba, da ogni racconto c'è un'attesa di giusto
consiglio che secondo l'autore non può scaturire da un romanzo o dall'informazione. Hemingway, Calvino e Garcia Marquez, per citare i primi che mi saltano in mente, non erano narratori? La
vertigine è grande, lo smarrimento è completo, ma mi consente di fare alcune considerazioni.
Benjamin ritiene il narratore un artigiano che con pazienza lavora per imitare la natura e solo con il tempo può condurre i "manufatti" alla necessaria perfezione dell'imitazione dell'originale
che discende dalla madre natura. Occhio, mano, anima sono per Benjamin inscindibili nella creazione dell'opera d'arte. Non so quanta attinenza possa esserci, ma è molto vicino a quanto ho
percepito ne "L'estasi dell'influenza. Nonfictions, etc" di Lethem. Frutto di suggestione dell'influenza? Si deve chiedere a Baricco e Lethem, non saprei rispondere.
Benjamin arriva alla conclusione che il narratore è un maestro, è un saggio capace con il suo talento di far propria anche una esperienza altrui e crearne una narrazione in grado di dare al
lettore il buon consiglio. Benjamin conclude scrivendo che "il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso". Finale pirotecnico che strappa gli applausi a Baricco e che a me
consente di scrivere che Benjamin non ha letto Hemingway, Calvino e Garcia Marquez, giusti nel posto giusto.
La magia della libreria non mi abbandona.