L'utilità dell'inutile. Manifesto

Autore: Nuccio Ordine

Giudizio: ***

Titolo accattivante al quale non ho saputo resistere. In fondo, prossimo alla Befana, mica potevo lasciare vuota la mia calza!?!

Ho deciso scientemente di scavalcare la dozzina (stima al ribasso) di "inutili" libri non letti in stato di attesa e gettarmi su un libro che avrebbe potuto (dovuto?) aprirmi gli occhi sull'"utilità", tra l'altro, di tanti libri "inutili". Questi ultimi sono aggrappati al comodino, annidati nella libreria e sono tenacemente pronti per tendermi l'agguato finale da sferrare nel momento più opportuno: l'istante in cui termino un libro e do corso alla scelta del successivo. In questa occasione l'agguato è stato realizzata dal libro ho "trovato" nella calza della befana e, nonostante fosse l'ultimo arrivato, ho ritenuto utile "svuotarne" il contenuto immediatamente, per non lasciare traccia dell'utilità di una lettura inutile.

Premessa dell'autore necessaria, ma forse inutile, per dare una logica all'ossimoro presente nel titolo. Poi presentazione e commento di una sequenza di citazioni di grandi personaggi che difendono l'inutile nella letteratura, nella poesia, nella filosofia perché in sostanza con esse non si producono profitti, non si producono utilità e comunque queste non sono necessarie (la letteratura non va sottomessa al guadagno). Unica citazione di un grande del passato che si discosta da questa vulgata è quella di John Locke che, suo malgrado, si troverà costretto a condividere davanti ai contemporanei e davanti ai posteri le sue opinioni con l'ex super ministro delle finanze, tale Giulio Tremonti. Esagero, per fortuna di Locke i posteri non avranno a che fare con Tremonti. Comunanza che, senza innalzare di un millimetro la statura dell'ex ministro, riduce invece la levatura del filosofo inglese che non amava la poesia e le cosiddette lingue morte come il latino. E del resto la perfezione non è di questo mondo nemmeno nelle menti più illuminate.

L'autore si sofferma poi su quella magistrale istituzione che è la scuola e l'università. La considera dal nuovo punto di vista che ha sostituito il "nucleo" fondante di diffondere il sapere con la necessità di diventare azienda e produrre utilità, se non addirittura utili. Gli studenti stessi cambiano prospettive assumendo il ruolo di cliente dell'azienda università perché accorrono ai saldi studiando e leggendo compendi invece che maneggiare i testi originali. L'utilità utilitaristica del Bignami per affrontare gli esami è lo sconto che l'azienda fa al clienti.

Oggi nulla è più come prima e nel breve, per esempio, i filologi potrebbero non esistere più perché privi di una utilità intrinseca: qual è quella azienda che continuerebbe ad investire in un ramo secco della sua produzione?

Qui non si fa differenza tra materie umanistiche e materie scientifiche: anche tra queste ultime ve ne possono essere di inutili, quali per esempio la matematica, ma non solo. Eppure molte invenzioni di uomini "utili" nascono da misconosciuti e disinteressati studi di uomini "inutili". A tal proposito è assai interessante l'appendice di un pedagogo americano, Abraham Flexner, vissuto a cavallo tra '800 e '900.

Arrivato alla conclusione della lettura mi sento sollevato. La mia pesante responsabilità della reiterata inutilità è più leggera se sostenuta con argomenti determinati a definire che anche l'inutile ha una sua utilità. Ora devo trovare argomenti, altrettanto forti, per sostenere come l'assolo di chitarra di Stairway to heaven è utile nella sua inutilità, come tirare un rovescio lungo linea che muore all'incrocio delle righe lasciando inerme l'avversario trova una sua utilità che va oltre il mero conteggio di un "quindici", come emozionarsi davanti ad una meta che consente agli italiani di portare a casa il trofeo Garibaldi sconfiggendo i francesi, altro che Italia campione del mondo!