Come ho conosciuto la Cecoslovacchia che non esiste e che forse non è mai esistita

Note sulle vicinanze nell'inesistenza

Ricordo che un giorno la maestra ci parlò della Cecoslovacchia. Non ricordo in quale contesto si inserì questo racconto, ma ricordo con ragionevole precisione due punti: la primavera di Praga e che i cecoslovacchi leggevano, sempre. Che il racconto fosse inserito in una lezione di storia, di geografia, o fosse un invito alla lettura poco importa.
La primavera di Praga non ci venne presentata affermando le condizioni geopolitiche, che a 9 anni non avremmo capito, ma raccontando un aneddoto della ribellione contro l'ordine costituito e le romanzesche conseguenze. La maestra ci disse che nel corso degli scontri di piazza un ragazzo (poteva essere solo un ragazzo perché la ribellione è giovane e maschile) perse una scarpa che rimase per giorni nel luogo dove fu smarrita, lasciata volutamente dalle autorità per cogliere in fallo colui che sarebbe tornato a recuperarla. Però nessuno fece questo gesto di implicita ammissione di colpevolezza ed al tempo stesso di appartenenza avversa allo Stato. Certo per tutti noi era facile comprendere non tanto il perché, ma il come una rivoluzione debba essere condotta. Come prima cosa rimanere liberi e proseguirla, anche con una sola scarpa. Ce lo insegnava il nascondino. Secondariamente tutti a casa hanno un secondo paio di scarpe vecchie, ma ancora utili alla necessaria lotta di ribellione. Che fosse maschio e non femmina non turbò alcuno.
L'altra cosa che la maestra ci raccontò era una sua esperienza diretta avuta nel corso di un viaggio. Salendo sui mezzi pubblici la maestra constatò di persona che in autobus i cecoslovacchi leggono, non giornali, ma libri. E questo lo facevano indifferentemente uomini e donne. La cosa era sorprendente per noi tutti e soprattutto il riferimento ai libri ci pareva al di fuori della nostra comprensione. Libri che si spostano con persone che li leggono nei tragitti in autobus. Perché lo fanno? Questo era il loro cruccio? La primavera di Praga aveva a che fare con questa anomalia? Erano costretti, oppure erano liberi di farlo? E perché lo facevano tutti? Risposte che, se ci furono, non ricordo. Però pareva una chiara spia di allarme per il disagio di un popolo intero.

L'altro giorno ero in un corridoio del policlinico, non in un autobus, ma comunque in un luogo deputato, come l'autobus, alla conclusione di un'attesa. C'erano una trentina di persone, io con il mio libro sotto il braccio pronto a scostare il segnalibro e gli altri che stavano già leggendo. Non tutti, ma un buon 60%. Ed, a parte il mio, non c'erano altri libri e nemmeno giornali, ma solo smartphone sui quali indici e pollici garantivano lo scorrimento dei testi. L'evoluzione umana persiste grazie all'opponibilità del pollice.
Siamo tutti cecoslovacchi anche se questa categoria non esiste più e lasciamo tante scarpe nei percorsi telematici che compiamo, anche in assenza di ribellione. Così ho dissotterrato e definitivamente seppellito il mio ricordo in assenza di Praga.